Io non condivido di frequente il pensiero di Giovanni Sartori, però ultimamente si sta dedicando a riflessioni sulle questioni economiche e sociali (che pure non sono la sua materia di insegnamento ) con approccio apprezzabilmente realista. In particolare lui parte da un dato che spesso invece viene dimenticato,concretamente, ancorché citato nelle premesse : la rivoluzione epocale della globalizzazione e quindi l'invasione del mercato europeo e nazionale di merci prodotte da paesi dove il costo del lavoro è infinitamente più basso, con conseguente spietata concorrenza sui prezzi.
Perché c'è da riflettere su una cosa : se la concorrenza fa un gran bene ai prezzi applicati ai consumatori, ha un effetto contrario sui profitti dei produttori. Certo, questi ultimi possono abbassare i loro margini , ma opereranno anche su altre voci, quali ad esempio quelle dei COSTI, e quindi cercheranno di contenere sia i salari che il numero dei dipendenti. Si dà il caso che il consumatore abbia bisogno di un reddito per comprare... Insomma, il mercato può essere pure che alla fine si riequilibri da solo, come noi liberali auspichiamo, ma quando la concorrenza assume confini così ampi e aspri, poi i conti del riequilibrio tocca farli con gente che è abituata a vivere con un decimo di quello che noi riteniamo "indispensabile e irrinunciabile".
Cerco di spiegare meglio i miei dubbi con un esempio : io faccio l'avvocato, e da sempre vivo una situazione di concorrenza spietata a dispetto del regime di non liberalizzazione contestata al settore (per via della regolamentazione dell'accesso tramite esame di abilitazione, e la presenza dei minimi tariffari oggi aboliti ).
250.000 avvocati iscritti , in Germania sono 150.000 con 20 milioni di abitanti in più, in Francia poi si sa, ci sono tanti avvocati quanti a Roma (20.000 !! ma non litigano mai i francesi ??).
Inevitabilmente un numero così alto , cui si è accompagnata la lievitazione dei costi della giustizia (per quanto ancora bassi rispetto al costo della stessa...anche qui, qualcosa si dovrà ripensare, almeno a livello di condanne alle spese in caso di soccombenza non solo alla controparte ma anche allo Stato ) , ha inciso sulle parcelle degli avvocati che si sono abbassate. Ovvio che qui non si parla di avvocati come Coppi, per fare solo un nome noto a tutti grazie alla sua bravura e anche alla fama dei casi di cui si occupa ( attualmente per esempio il processo a Sabrina Misseri ) , che come tutti i fuoriclasse è rincorso e quindi "non ha prezzo".
Parliamo di quelli "normali" e che si sono dovuti adeguare alle leggi della concorrenza. Dunque parcelle più basse, clienti soddisfatti ( non poi tanto visto che la giustizia non funziona lo stesso ), ma avvocati con meno soldi in tasca. Mettiamo che su 250.000 iscritti ad esercitare veramente siano 180.000, avremo gente che investe di meno (segretarie dimezzate, almeno a livello di orari, ma grazie ai tanti servizi internet, molti ne fanno proprio a meno ) , ma soprattutto paga meno tasse (incassa di meno ) e SPENDE di meno.
Ora, questo esempio credo si possa moltiplicare per tutti i settori o quasi. Quindi le persone che spendono di meno, sono milioni, non decine di migliaia (come i soli legali) , e questo non può non portare una contrazione degli occupati nei vari settori, non solo delle merci ma anche dei servizi.
Insomma una spirale diabolica, che è confermata dai dati della crescente povertà ( 8 milioni i poveri "relativi" che mi pare di capire siano quelli che se la passano male, ancorché non proprio indigenti come invece sono ben altri 3,5 milioni di connazionali. Dati Censis ) e disoccupazione : nel 2012 abbiamo sfiorato il 12% e il -1% di recessione prevista anche per il 2013 porterà ad un ulteriore aumento dei senza lavoro.
Prima di lasciarvi all'articolo di Sartori, un'ultima considerazione : la SCUOLA.
Deve cambiare. Su due ordini di livello : 1) i licei devono eliminare i "somari". Quei ragazzi che proprio di studiare NON gli va, e quindi non riescono. Io assisto sbigottito all'aumento di genitori che parlano tranquillamente di figli che fanno ripetizioni in tutte le materie principali della scuola scelta. Ma forse che non era il liceo la scuola adatta ?? Su questo tema scrisse benissimo Paola Mastrocola nel suo imperdibile libro "Togliamo il disturbo" , che ho citato in vari post tra cui appunto "Licei Uber Alles" http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2011/05/licei-uber-alles.html. . 2) devono migliorare esponenzialmente le scuole tecniche.
Questo potrebbe favorire una migliore qualità dei "dottori" italiani, che si riverberi in una auspicabile eccellenza dei settori di cui questi si impiegheranno (servizi e produzione) e quindi maggiore competitività anche all'estero, e da un altro lato una crescita dell' occupazione con persone preparate e capaci di impegnarsi in settori da riscoprire e/o valorizzare, come agricoltura, economia "verde", artigianato...
Insomma, un'occupazione maggiore e anche "utile".
Buona Lettura
L'ECONOMIA DEL PROZAC
Fino all’Ottocento l’economia
era soprattutto agricola. C’erano anche l’artigianato (le botteghe) e i
commerci; ma prima di tutto, tutti dovevano mangiare. Poi arrivò, all’inizio
dell’Ottocento, la prima rivoluzione industriale con l’invenzione del telaio
meccanico, e per esso delle fabbriche tessili.
La seconda rivoluzione
industriale fu quella della catena di montaggio delle automobili di Henry Ford,
del quale si ricorda il detto: comprate l’automobile del colore che volete
purché sia nero. Ma già negli anni Sessanta si profetizzò l’avvento della
«società dei servizi» che può essere considerata anch’essa una rivoluzione
industriale perché fondata sull’avvento dei computer. Difatti il paesaggio
esibì sempre meno fabbriche e sempre più uffici. Il guaio della società dei
servizi è che si è gonfiata oltremisura, e che è diventata parassitaria nella
misura in cui assorbe la crescita della disoccupazione. Nel contempo abbiamo
incautamente sposato una dottrina sprovveduta della globalizzazione, che
avrebbe inevitabilmente spostato grosse fette delle merci prodotte in Occidente
in Paesi a basso, molto più basso, costo di lavoro.
Ma ecco la novità: è in arrivo
una quarta rivoluzione industriale che sembra ancora più radicale di tutte
quelle che l’hanno preceduta. Non ha ancora un nome ufficiale, ma io la
chiamerò «rivoluzione digitale». In questo contesto un prodotto viene disegnato
su un computer e poi stampato su una stampante 3D che a sua volta produce un
conforme oggetto solido fondendo assieme successivi strati di materiali. Non
chiedetemi di più. Sono troppo vecchio per capirlo, e poi a me interessa che
fine farà, in questo radioso futuro, l’occupazione o meglio la disoccupazione.
È vero che, in condizioni
normali, l’economia «tira» di più se siamo ottimisti. Questo principio è stato
consacrato negli Stati Uniti dalla formula della consumer confidence, la
fiducia del consumatore, e del positive thinking, del pensare positivo. Ma la
severissima recessione di gran parte dei Paesi benestanti oramai incrina questa
fiducia nella fiducia. Un libro molto letto, oggi, nelle università americane,
è Prozac Leadership di David Collinson: un titolo che dice tutto, e cioè che il
crac è figlio di una cultura che «premiando l’ottimismo ha indebolito la
capacità di pensare criticamente, ha anestetizzato la sensibilità al pericolo».
Come si sa, il Prozac è la pillola della felicità; e dunque il testo di
Collinson si potrebbe anche intitolare «l’economia del Prozac». E un indiano
rincara la dose: «Se non vedi le cose negative del mondo che ti circonda vivi
in un paradiso per idioti» (Jaggi Vasudev).
Bankitalia ha testé
peggiorato le stime sul Pil (Prodotto interno lordo) che nel 2013 scenderà
dell’1% e altrettanto scenderà l’occupazione. Che in verità scenderà di più,
perché le statistiche non contano gli scoraggiati, chi non fa nemmeno domanda
di lavoro. E il livello della nostra disoccupazione giovanile è davvero
intollerabile.
Le imminenti elezioni non ci
illumineranno su niente di tutto questo. Ma urge lo stesso occuparsene. Da noi
vige ancora la corsa per fabbricare «tutti dottori». Ma il grosso dei dottori
che produciamo e che andremo a produrre saranno inutili. O anche peggio, perché
abbiamo troppe università scadenti, di paternità clientelare, che andrebbero
chiuse. Alle nuove generazioni occorrono istituti tecnici e scuole di
specializzazione collegati alla «economia verde», al ritorno alla terra, e
anche alla piccola economia delle piccole cose. Altrimenti saremo sempre più
disoccupati.
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