mercoledì 10 aprile 2013

SE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E' DIVENTATO COSì ESSENZIALE, E' ORA CHE LO ELEGGANO GLI ITALIANI


La Costituzione più bella del mondo in realtà , come ogni cosa degli uomini, ha pregi e difetti, anche legati al tempo in cui fu scritta, e ai condizionamenti ed equilibri dettati da questi.
Il rispetto della stessa è doveroso, così come la corrispondenza delle leggi ai principi in essa contenuti. Allo stesso tempo sono legittime le critiche e i propositi di modifica, che infatti sono costituzionalmente contemplati.
Tra le cose da rivedere ci sono il ruolo e i poteri del Presidente della Repubblica. In un ben fatto libricino pubblicato dal Corriere della Sera in occasione di elezioni del Presidente che MAI come in questa occasione sono investite di importanza fondamentale, è ben rappresentata la netta demarcazione del passo presidenziale da Pertini in poi. Fino a quel momento l'inquilino del Quirinale aveva esercitato con scrupolo e profilo defilato il suo ruolo di GARANTE delle istituzioni, il suo essere Super Partes, non coinvolto normalmente nella gestione della vicenda politica . Certo, c'erano stati anche prima momenti in cui il Capo dello Stato avevo assunto un ruolo più incisivo (viene citato spesso di recente  l'incarico di Premier che Luigi Einaudi conferì a Pella senza previa consultazione coi partiti, che già allora era ritenuto un passaggio istituzionale doveroso) , ma erano eccezioni. Fino a Pertini il Presidente appare lontano agli italiani....Con lui le cose cambiano, e con la crescita della popolarità cresce anche l' "interventismo" presidenziale.
Si arriva quindi a Napolitano che, anche costretto dai tempi eccezionali che stiamo vivendo, è il primo presidente di origine parlamentare che si comporta come uno eletto direttamente dal popolo, quindi un "presidenzialista".
Il potere di sciogliere le camere un tempo appariva un atto notarile alla stregua di altri attribuiti al Presidente, ma ora non è più così. Lo abbiamo visto a suo tempo con Scalfaro, che ingannò Berlusconi con il governo Dini, che doveva durare pochi mesi e invece restò oltre un anno e mezzo, e con il governo tecnico di Mario Monti, parto della mente di un Presidente che vede le elezioni - in fondo il momento più alto dell'espressione democratica - come una sorta di sciagura...
Questa cosa andrebbe approfondita....Capisco che le elezioni costano, però insomma di soldi ne buttiamo tanti per cose inutili e anche dannose che tutto sommato questi , se necessario, non sono quelli peggio spesi. Dopodiché, guardiamo l'esempio greco : il 5 maggio 2012 le elezioni avevano partorito uno scenario simile al nostro, col partito radicale di sinistra Syriza in grado di impedire qualsiasi maggioranza che non lo coinvolgesse, ma non certo in grado di formarne a sua volta una.
Bene, il presidente greco diede incarico ai tre leader principali di vedere se riuscivano a formare un governo, tutti e tre fallirono, e il 17 giugno la Grecia tornò a votare. Stavolta il partito conservatore batté in manierà sufficiente la sinistra di Syriza (secondo partito) e con i socialisti del Pasok ha costituito il governo che faticosamente cerca di uscire dalla drammatica crisi economica e finanziaria. Insomma in un mese la disastrata Grecia è stata in grado di votare due volte e darsi un governo. Che poi questo non abbia la bacchetta magica, è una realtà, con la quale ci scontreremmo (scontriamo...) anche noi.
Non è quindi detto che nuove elezioni non cambierebbero politicamente lo scenario attuale, come in tanti sostengono.
Gli elettori di Grillo per esempio ....quelli che "hanno sbagliato a votarci", come ha chiaramente detto il guru genovese, che vorrebbero un'alleanza col PD,  rivoterebbero il M5S o prenderebbero atto del loro "sbaglio" , tornando alla casa madre ?
E il PD, si ripresenterebbe con Bersani, ora che sa di rischiare di non prenderlo stavolta il premione di maggioranza garantito dal Porcellum ? (i sondaggi danno la coalizione di sinistra a guida Bersani 4 punti indietro rispetto a quella di centrodestra...) oppure , pur di vincere, stavolta manderebbe in campo Renzi ?
E Berlusconi, se veramente come antagonista ci fosse il sindaco fiorentino e non il malridotto cantore di metafore di Crozziana ispirazione, si ripresenterebbe ?
E i centristi ? Con un Monti asfaltato dal risultato elettorale deludente, il caso Marò, i dati pesanti di un anno e mezzo di governo che emergono spietati, proverebbero ancora ad andare da soli o farebbero una scelta diversa (Casini lo ipotizza...anche se ormai parla per sé...)., alleandosi e spostando gli equilibri del voto ?
Insomma, io non sono così sicuro che se si tornasse a votare non accadrebbe NULLA. E basterebbe già che qualche protagonista di ora, anche UNO SOLO, si facesse da parte, che la situazione sarebbe mutata.
Eppure questa cosa non si vuole fare...perché le elezioni sarebbero "sciagurate", come lo erano a novembre 2011... Mah....Invece meglio questo ?
Con Bersani che fa consultazioni col Saviano, gli ambientalisti e il birraio di Bettolla ? O i comitati dei saggi che si autodefiniscono inutili ?
Certo, Napolitano non può sciogliere le camere, essendo in scadenza di mandato. Ma non lo farebbe nemmeno se fosse nei pieni poteri.
E qui si ritorna al punto di partenza. A me, e a tanti altri, starebbe anche bene un Presidente con siffatti poteri, ma SE LO ELEGGO. Non se lo fanno i parlamentari, oltretutto con numeri drogati dal Porcellum !
Come ha ricordato giustamente Polito, la Costituzione nacque con un sistema elettorale proporzionale puro (che io non amo ) e prevede che il Capo dello Stato sia eletto con due terzi dei voti del Parlamento. E' logico, visto che il Presidente è GARANTE di tutti. Però è previsto, dopo tre scrutini, l'elezione a maggioranza. Ma col sistema proporzionale, la maggioranza in parlamento corrispondeva pur sempre a quella degli elettori....NON è più così oggi, con un premio di maggioranza monstre che scatta sempre a favore del primo partito, a prescindere dai voti ottenuti !. E così il PD, con meno del 30% dei voti, è in grado di eleggere quasi da solo il Capo dello Stato.....
Può andar bene questo ? Evidentemente no. Vi immaginate se le elezioni del capo dello Stato ci fossero state nel 2008 o nel 2001 ? Sapreste chi ci sarebbe al Colle ? Berlusconi !
Immaginatevi metà Italia....
Tutti questi problemi sono ben trattati dal Prof. Panebianco nel suo editoriale di oggi sul Corsera.
Buona Lettura


LA SCELTA DEL CAPO DELLO STATO

Due scenari da evitare

I parlamentari che fra meno di due settimane dovranno scegliere il prossimo presidente della Repubblica sono certamente consapevoli delle poste in gioco secondarie connesse a quella scelta, ma non sembrano esserlo altrettanto di quella principale. La posta in gioco principale non è, detto con tutto il rispetto, il destino personale di Bersani o di Berlusconi. E nemmeno la scelta fra un governo di tregua e le elezioni. La posta in gioco principale è il destino della Repubblica. Parole grosse, certamente, che richiedono una spiegazione. Che sia in gioco il destino della Repubblica dipende dal fatto che la concomitanza di tre crisi (economica, politica, istituzionale) fa della Presidenza l'unico possibile «luogo» di difesa e di (parziale) stabilizzazione della democrazia rappresentativa. Un ruolo altamente politico, politicissimo, che va molto al di là della pura funzione di garanzia. Un ruolo imposto dalla forza delle cose e non dalla volontà di chicchessia. Un ruolo non previsto in questi termini dalla Carta del 1948, checché ne dicano certi costituzionalisti esperti nel gioco delle tre carte, che inventano sempre nuovi argomenti ad hoc per dimostrare che nulla è mai cambiato.
Tutti oggi si concentrano, comprensibilmente, sullo stallo politico prodotto dalla mancanza di una maggioranza parlamentare. Ma questo è forse il minore dei nostri guai. Chi pensa che sarebbe sufficiente riformare la legge elettorale non capisce o finge di non capire. Gli sfugge la gravità e la profondità della crisi. Significa che nemmeno il clamoroso successo del Movimento 5 Stelle è riuscito a scalfire tante pseudo-certezze. Non si tiene conto di quanto sia ormai profonda la crisi dello Stato: come testimonia la condizione in cui versa l'amministrazione pubblica (che dello Stato, qui come altrove, è il cuore). Né si tiene conto del fatto che la fragilità della classe politica parlamentare non ha facili soluzioni. Se anche dalle prossime elezioni dovesse uscire una maggioranza di governo, quella fragilità non verrebbe meno. Perché ha a che fare con la debolezza e la precarietà dei rapporti fra i partiti e gli elettori. Voto di protesta, frammentazione politica e etero-direzione (gruppi extrapolitici di varia natura che impongono le proprie scelte a una classe partitica priva di forza e di autorevolezza proprie) ne sono la conseguenza.
In queste condizioni, sulle spalle del presidente della Repubblica, grazie alla durata del suo mandato, ai suoi poteri formali e di fatto, e al carisma che circonda l'istituzione della Presidenza (un carisma cresciuto nel tempo a partire da quando, negli anni Ottanta, iniziò la crisi della Repubblica dei partiti), è stato caricato un peso da novanta. Spetta a lui, o a lei, con le sue scelte, tenere insieme la Repubblica. Le sue qualità e capacità personali diventano decisive.
Non si tratta, moralisticamente, di deprecare il fatto che i politici badano, anche nella scelta di un Presidente, ai propri interessi di breve termine. È così, è un fatto. Deprecarlo è come prendersela con la legge di gravità perché ci impedisce di librarci nell'aria. Si tratta però di pretendere la consapevolezza che l'inevitabile perseguimento degli interessi di breve termine, partigiani, delle varie forze politiche, debba conciliarsi con il carattere strategico (per la sorte della Repubblica) della elezione del nuovo Presidente.
Nelle circostanze presenti, significa evitare che si realizzi l'uno o l'altro di due scenari, entrambi potenzialmente esiziali. Lo scenario A (da evitare) è quello di un accordo al ribasso: si sceglie una figura di scarsa rilevanza, in grado di svolgere solo un ruolo notarile, una figura che non riuscirebbe a entrare in sintonia con l'opinione pubblica, ad acquistare quella popolarità, e anche quel carisma personale, che, ormai, la dilatazione del ruolo politico della Presidenza impone.
Lo scenario B (anch'esso da evitare) è quello della scelta di una persona, magari anche dotata di un certo prestigio personale di partenza ma che, per le modalità della sua elezione, appaia all'opinione pubblica, come il Presidente di una sola parte. Il che accadrebbe oggi (il pericolo non è ancora del tutto rientrato) se un partito come il Pd, reduce da una non-vittoria elettorale, si eleggesse qualcuno di sua scelta acchiappando voti grillini in libera uscita. Quel Presidente sarebbe, fin dall'inizio del suo mandato, un'anatra zoppa. Ogni sua mossa verrebbe interpretata alla luce di quel vizio d'origine, sarebbe accompagnata da cori (applausi e fischi) da stadio. Le tante decisioni difficili e sofferte che dovrebbe prendere, nel corso del suo settennato, stante la persistente fragilità della classe politica parlamentare, avrebbero sempre l'effetto di dividere e mai di unire il Paese. Aggravando ulteriormente la crisi della Repubblica.
Uomo o donna che sia, il prossimo Presidente non potrà essere né una mezza figura né un'anatra zoppa. Perché dovrà unire (come è riuscito a Giorgio Napolitano), in tempi cupissimi per la nostra democrazia, la funzione del garante di tutti e le qualità politiche ormai richieste a un Presidente. Per questo è così strategica la sua scelta.
Naturalmente, sarebbe anche tempo di capire che, se si vorrà mettere in sicurezza la Repubblica, non si potrà ancora a lungo pretendere di «contenere» il ruolo del Presidente entro le formule costituzionali vigenti, occorrerà decidersi a ricomporre il rapporto fra potere e responsabilità mediante la sua elezione diretta. Ma questo passo, così logico e così necessario, richiederà alle classi dirigenti del Paese molta più energia morale e intellettuale, e molta più forza, di quelle oggi disponibili.

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