mercoledì 12 giugno 2013

ANCHE CAROFIGLIO CRITICA INGROIA...POVERO ANTONIO, DA PERSECUTORE A PERSEGUITATO...

 
Di Gianrico Carofiglio ho parlato diverse volte. Lo apprezzo come scrittore, amando il personaggio dell'avv. Guerrieri - che lo ha reso famoso - e giudicando godibili altri suoi libri ( con "Il passato è una terra straniera" vinse il premio Bancarella). Non so come fosse come Magistrato (PM) , qualche collega di Bari non ne ha un bellissimo ricordo. Nel 2008 venne eletto come senatore nelle liste del PD , come il collega D'Ambrosio, ed entrambi non hanno tratto grandi gratificazioni dall'esperienza parlamentare.
Coerentemente, va detto, tutti e due non si sono ricandidati. D'Ambrosio perché proprio deluso, Carofiglio perché non apprezzava le parlamentarie bersaniane....
Ma la cosa più pregevole non è tanto la non ricandidatura, quanto le dimissioni dalla Magistratura, con la rappresentazione del ruolo del Giudice che inizia ad essere sconosciuta a troppo dei suoi colleghi.
 Carofiglio non riprende la toga per due ragioni fondamentali.
1) Ormai la sua attività di scrittore , ma anche di insegnante di scrittura ( ne avevamo scritto qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/03/che-fine-ha-fatto-il-senatore-e.html ),  non gli consente di fare due cose importanti bene. Doveva scegliere, e ha preferito la sua nuova vita.
2) In ogni caso non ritiene più di avere l'approccio giusto di riservatezza (ormai troppo forte la voglia di dire ciò che pensa ) e l'immagine di imparzialità che sempre un magistrato deve avere di fronte ai cittadini, specie quelli che è chiamato a giudicare.
Espliciti i riferimenti a quei colleghi....Ingroia su tutti, che non si attengono alle regole, scritte e deontologiche, di un ruolo così delicato (e così sputtanato...).
Chissà il Dr. Sabelli (attuale capo della ANM) quanto si dispiacerà che uno che ha vestito entrambi i ruoli, Magistrato e Politico, ammetta esplicitamente che esista un problema di contrasto tra i due poteri anche dovuti all'arroccamento burocratico e corporativo del primo, nonché ad improvvide iniziative giudiziarie.
Devo dire che leggerò con più gusto il prossimo libro dell'ex giudice Carofiglio...
Ecco l'intervista rilasciata a Giovanni Bianconi del Corriere della Sera 

 

Carofiglio lascia la toga: voglio dire cosa penso e nei panni del giudice non avrei potuto farlo


ROMA — La politica attiva l'aveva lasciata cinque mesi fa, quando decise di non ricandidarsi al Parlamento. E adesso che doveva rientrare in magistratura e prendere possesso della destinazione assegnatagli — giudice a Benevento —, Gianrico Carofiglio abbandona anche la toga. A 52 anni appena compiuti, di cui 22 trascorsi negli uffici giudiziari e gli ultimi 5 in Senato, sui banchi del Pd, resta uno scrittore di successo, impegnato nella cosiddetta «società civile».
«È stata una decisione difficile ma necessaria — spiega — perché non potevo più svolgere la mia funzione con la dignità e l'impegno necessari, come ritengo di aver sempre fatto».
Qual è la ragione dell'improvvisa incompatibilità?
«Prima facevo il magistrato e scrivevo libri nel tempo libero, ora quel ruolo è divenuto predominante e dovrei fare il magistrato nel tempo libero, tra la scrittura, un convegno, la presentazione di un libro. Non sarebbe dignitoso».
I cinque anni passati in Parlamento col centrosinistra non c'entrano?
«Sì e no. In questo periodo ho imparato ad avere una libertà di espressione che facendo il magistrato non potrei più esercitare; giustamente, peraltro. Ci sono degli obblighi di riservatezza che chi veste la toga deve osservare, e sinceramente non mi va di rinunciare a dire quello che penso. Non solo come politico, ma anche come cittadino che ha a cuore la vita collettiva. Perciò me ne vado. Penso pure che i magistrati non siano cittadini di serie B, e dunque abbiano diritto di tornare a fare il loro lavoro una volta usciti dal Parlamento, come tutti. Rispettando delle regole, però».
Quali?
«A parte quelle imposte dalla legge e dal Csm, come il cambio di sede e di funzioni, credo che quando uno rientra debba farlo senza tentennamenti, tornando a immergersi nel proprio ruolo. Ogni cittadino ha diritto di trovarsi di fronte un giudice che fa solo il giudice, senza pensare ad altro. I rientri perplessi, mentre si continua a fare politica in maniera più o meno esplicita, non mi piacciono».
Sta criticando qualche suo collega che è rimasto a metà strada?
«Dico che non si può rimanere con un piede in politica e uno in magistratura».
La sua decisione di lasciare la toga sottintende qualche critica alla magistratura?
«Devo ammettere che negli uffici giudiziari si respira un clima di burocratizzazione e spirito impiegatizio che in parte è figlio del conflitto con la politica. La sfiducia reciproca tra i due mondi ha prodotto un arroccamento dei magistrati sulle proprie posizioni. Insieme al contrasto pressoché permanente col potere politico s'è instaurata una visione del ruolo molto incentrata sui carichi di lavoro, anche per timore di procedimenti disciplinari, che non mi entusiasma».
A proposito di conflitto tra magistratura e politica, ora che è uscito da entrambi i ranghi in che posizione si colloca?
«L'anomalia berlusconiana ha prodotto i guasti che tutti ormai riconoscono e di cui continuiamo a pagare le conseguenze. Detto questo, s'è instaurato un clima di diffidenza, una contrapposizione quasi culturale che in parte è fisiologica, ma in parte no. Ne sono derivate iniziative legislative, ma a volte anche giudiziarie, poco commendevoli. Negli anni in cui sono stato senatore ho registrato un clima di sospetto nei miei confronti, da parte dei colleghi magistrati, quasi pregiudiziale, che mi ha lasciato molto perplesso».
E la politica? Perché l'ha lasciata?
«A parte il fatto che non si fa politica solo in Parlamento, ho rifiutato di partecipare a quella falsa prova di democrazia interna che sono state le primarie per le candidature alla Camera e al Senato. Giusto farle per posti di responsabilità diretta e a elezione diretta, come quello di sindaco, ma per il resto mi sono parse un'operazione molto discutibile. Sono state il primo errore del Pd, di cui continuo ad essere un elettore, proseguito con l'incapacità di comunicare le scelte politiche. Io immagino che un messaggio politico, oltre che credibile, debba essere semplice, inatteso, concreto, sorprendente e capace di produrre emozioni. Purtroppo Bersani, che sarebbe stato un ottimo presidente del Consiglio, era solo credibile. Per questo abbiamo perso».
Però le comunali di domenica e lunedì sono andate meglio.
«Sono molto contento di questo risultato, ma sarebbe un ulteriore errore per il Pd pensare che tutti i problemi siano risolti. Non lo sono affatto. Può sembrare un luogo comune, ma penso che questa vittoria sia un'opportunità che non va sprecata».

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