giovedì 25 luglio 2013

FACCI DALLA PARTE DI BERTINOTTI E CONTRO NAPOLITANO


Il Presidente della Repubblica, stimolato da una lettera aperta indirizzatagli da Fausto Bertinotti, storico leader comunista (come del resto lo è stato Giorgio Napolitano ) , ha preso a sua volta carta e penna e ha risposto tramite lo stesso giornale , il Corriere della Sera, utilizzato come affidabile postino.
Cosa aveva detto, in buona sostanza, il principe del comunismo radical chic, famoso per la sua erre francese e i suoi cachemire sfoggiati da Vespa ? Che un governo non è un valore a prescindere, dipende da quello che fa, da come governa. Sembrerebbe una grossa banalità, ma invece è un concetto che va ribadito visto che sono in tanti, e autorevoli, i sostenitori, oggi (ma dall'epoca Monti ) del valore dell'esistenza di un esecutivo "a prescindere"...
Sempre Bertinotti ricordava che, tra l'altro, non è nemmeno così scontato, anzi, che la fine dell'attuale governo, guidato da Letta, comporterebbe le elezioni anticipate, con i tempi e le incognite di una nuova tornata elettorale. L'ex capo di rifondazione comunista è infatti persuaso che un governo di sinistra, magari appoggiato dal centro di Monti se proprio Grillo non si sposta, e si dovesse - potesse contare solo sui transfughi del M5Stelle, sarebbe assolutamente alla portata. Se così fosse, sostiene sempre il comandante Fausto, sarebbe sicuramente meglio di questo delle lerghe intese. Bertinotti rivendicava anche una maggiore autonomia dell'esecutivo nazionale, quale esso fosse, rispetto a Bruxelles e insinuava il timore che forse è per questo che un esecutivo mediocre rivela una sua utilità "comunque", in quanto in realtà mero esecutore delle direttive che vengono da  oltre confine...
Napolitano ha risposto con la lettera che segue :

Il Parlamento è libero di decidere
senza danneggiare la democrazia

Gentile Direttore, la «lunga consuetudine» e il reciproco rispetto consentono anche a me un discorso schietto e amichevole in risposta alle domande rivoltemi, attraverso il Corriere , da Fausto Bertinotti. O meglio alla domanda essenziale e più attuale, non potendo raccogliere il vasto arco di valutazioni e questioni, storiche o ideologiche, toccate, in ambiziosa sintesi, nella «lettera aperta». La domanda, posta in termini stringenti, riguarda quel che il presidente della Repubblica «non può». Ed è in effetti molto quel che egli non può, sulla base del ruolo e dei poteri attribuitigli dalla Costituzione repubblicana.
Ne sono ben consapevole, essendomi attenuto rigorosamente a quel modello, negli ultimi mesi come sempre nel settennato trascorso: a partire da quegli anni 2006-2007 quando con l'allora presidente della Camera collaborammo strettamente e in piena sintonia istituzionale.
Non posso certo «congelare» né «blindare» (termini, entrambi, di fantasia o di polemica a effetto) un governo ancor fresco di nomina - nemmeno tre mesi - che è, scrive Bertinotti, solo «una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese». Ma c'è bisogno di ricordare l'insuccesso del tentativo dell'on. Bersani, che ebbe da me, dopo le elezioni di febbraio, l'incarico, senza alcun vincolo o limite, di esplorare la possibilità di una maggioranza parlamentare diversa da quella che è stata poi posta a base del governo dell'on. Letta? E i successivi e più recenti sviluppi politici hanno forse fatto delineare quella possibilità di cui l'on. Bersani dovette registrare l'insussistenza?
Comunque, nessun «congelamento» ovvero «impedimento» - parole grosse - «alla libera dialettica democratica». Il Parlamento è libero, in ogni momento, di votare la sfiducia al governo Letta. Ma il presidente ha il dovere di mettere in guardia il Paese e le forze politiche rispetto ai rischi e contraccolpi assai gravi, in primo luogo sotto il profilo economico e sociale, che un'ulteriore destabilizzazione e incertezza del quadro politico-istituzionale comporterebbe per l'Italia. So bene che «in caso di crisi», resta «il ricorso al voto popolare» e che da qualche parte si confida nella possibilità «di dare vita» così «a un'alternativa di governo». Ma di azzardi la democrazia italiana ne ha vissuti già troppi. Dovetti io stesso sciogliere le Camere nel febbraio 2008, prendendo atto dello sfaldamento di una maggioranza che si presumeva «omogenea» e dell'inesistenza, allo stato, di una diversa maggioranza di governo. E dovetti penare per evitare lo scioglimento delle Camere nel novembre 2011 e - all'indomani dell'insediamento del nuovo Parlamento - nella primavera del 2013. Si comprenderà che da presidente - guardando anche a decenni di vita repubblicana - io consideri il frequente e facile ricorso a elezioni politiche anticipate come una delle più dannose patologie italiane.
Presidente della Repubblica

Oggi ho trovato su Libero.it il commento di FAcci a questo scambio epistolare, il quale si è schierato - se non è la prima volta nella sua vita, sarà la seconda... - dalla parte del comunista duro e puro, con la riflessione che segue e che merita secondo me un momento di attenzione :

I dubbi senili di due vecchi comunisti sulla libertà dal Parlamento

Bertinotti e Re Giorgio si scambiano epistole sul ruolo dell'aula. Che non è libera, ma al giogo dell'Europa

I dubbi senili dei vecchi comunisti sulla libertà dal Parlamento

Bertinotti vi piacerà o meno, ma in una lettera rivolta a Napolitano e pubblicata sul Corriere della Sera (ne riferiamo all’interno) ha messo nero su bianco la questione democratica forse più importante del nostro tempo. Questa, più o meno: non è che possiamo vivere sotto il perenne ricatto dell’Europa economica e quindi accettare che la caduta di un qualsiasi governo - prima Monti, poi Letta - comporti per forza dei «danni irreparabili» che rendano la governabilità un mito assoluto. In democrazia non funziona così. Non è che ci sono dei processi economici imprescindibili coi governi che devono esistere e resistere solo per arrancarvi dietro: i governi servono anche e soprattutto per influenzarli, i processi economici, non solo per inseguirli; con le politiche economiche e sociali che imperano in Europa, del resto, si potrebbe anche non essere d’accordo, così come l’idea di «interesse generale» potrebbe variare da Roma a Bruxelles. Ergo, i vincoli alla nostra sovranità - che già ci sono - non possono spingersi al punto di demonizzare ogni alternativa di governo o il vituperato ritorno al voto popolare, che farà anche schifo ma resta il cardine della democrazia rappresentativa. Certo, in ogni momento il Parlamento è libero di votare la sfiducia al governo, ma il punto è proprio questo: il Parlamento è libero? Notevole che per riparlarne si debba ricorrere alle epistole di due ex comunisti. 

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