giovedì 4 luglio 2013

QUANDO IL GOLPE PIACE ALLA GENTE CHE PIACE


Com'era facile prevedere, un golpe, se fatto dagli "amici" - o se li favorisce, come in questo caso - non è più una brutta cosa...anzi. Da voltastomaco. L'editoriale di Antonio Ferrari - che infatti è giornalista che non apprezzo - è di questo tenore, e in coda si leggono commenti demenzialidi lettori affini,  tipo "In qualunque Paese (anche in Italia) la presenza di manifestazioni massicce volte a chiedere dimissioni genera l'obbligo di dimettersi. Anche in Italia le prassi costituzionali prevedono che il governo si debba dimettere a fronte di manifestazioni ponderose di protesta che siano sintomatiche di una maggioranza politica nel paese reale mutata. E stato il rifiuto di dimissione un atto illegittimo. Qui non si può parlare di golpe".
Un delirio fazioso. Perché in Egitto a manifestare massicciamente NON è tutto il popolo , ma la parte che avversa chi le elezioni le ha vinte. E Morsi non si è dimesso , è stato arrestato.
In realtà per certe persone vale il principio leninista per cui il conseguimento del potere non è il mezzo per realizzare poi "altro" (una società migliore in genere si dice...). ma è proprio il FINE ULTIMO. E come ci si riesce non conta, va bene tutto.
Ferrari scrive che non furono i Fratelli Musulmani a creare i presupposti per il rovesciamento di Mubarak. Vero. Però poi, grazie all'eliminazione dell'autarchia, nel 2012 si sono tenute le prime libere elezioni nella storia d'Egitto, e sia quelle parlamentari - nettamente - che quelle presidenziali - meno marcatamente ma sempre col 51% - sono state vinte dagli esponenti del movimento islamista. Stando ai voti, i laici, che si presentato rigorosamente DIVISI, hanno meno voti anche dei Salafiti, che sono i fondamentalisti.
Insomma, caro Ferrari, stavolta la parte di popolo a voi gradita ha avuto   bisogno del tanto detestato esercito per ottenere l'obiettivo, e stavolta non per far fuori un dittatore ma un presidente non gradito.
Si faranno nuove elezioni. Cautelarsi ed eliminar eil diritto di voto alle formazioni confessionali ? 
DOpodiché, come si può leggere in una analisi degna di chiamarsi tale, scritta infatti da osservatore di ben altra onestà intellettuale e professionalità, Maurizio Molinari, sulla Stampa, Morsi è stato un PESSIMO presidente, e l'Egitto , che già si era rivoltato a Mubarak per mancanza di pane che di libertà civili, ha visto le sue condizioni peggiorare ancora.
In particolare, è crollata l'industria turistica, che una mano la dava. Difficile immaginare che questo settore migliori, con un paese sull'orlo della guerra civile. 


Le Primavere fra ideali e povertà

maurizio molinari
Il rovesciamento del presidente egiziano Mohammed Morsi da parte di generali e opposizione lascia intendere che il vento della Primavera araba sta cambiando direzione. Fino ad ora a prevalere, nelle urne e nelle piazze, erano stati i partiti islamici capaci di esprimere la volontà della maggioranza delle popolazioni in rivolta contro despoti ed autocrati ma al Cairo a fallire è proprio questo modello: il patto fra i Fratelli Musulmani, vincitori delle elezioni politiche, e l’esercito, custode dell’identità nazionale, non ha funzionato. Nel 2011 furono l’Emiro del Qatar, Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani, e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, a spingere l’America di Barack Obama a condividere la previsione che sarebbero stati i «partiti islamici moderati» a prevalere nelle Primavere arabe.

è un approccio che ha spinto a guardare con occhio diverso, e maggiore attenzione, a partiti e fazioni fondamentaliste solo in ragione delle loro vittorie nelle urne. Ma la previsione di Al Thani ed Erdogan non si è avverata al Cairo. E questo è avvenuto non per un rifiuto ideologico dell’Islam né perché i Fratelli Musulmani hanno tentato di imporre a ritmi accelerati su una società in gran parte liberale e laica modelli culturali fondamentalisti. Il fallimento di Mohammed Morsi ha origine altrove: nell’incapacità del suo governo di dare risposte, veloci ed efficaci, alla crisi economica che sta devastando la più popolosa, antica e orgogliosa nazione del mondo arabo. Ironia della sorte vuole che un partito islamico come i Fratelli Musulmani, con la stessa vocazione per il sostegno alle fasce più povere della popolazione che accomuna Hamas a Gaza e gli Hezbollah in Libano, una volta arrivato a governare l’Egitto non sia riuscito ad evitare un aumento della povertà rispetto agli ultimi anni dell’autocrazia di Hosni Mubarak. Le esitazioni sulla trattativa con il Fondo monetario internazionale per la concessione dei prestiti, l’incapacità di evitare la fuga degli investimenti stranieri da una gestione instabile del governo, il crollo inarrestabile delle riserve valutarie, la carenza di protezione nelle strade testimoniata dalle frequenti aggressioni contro le donne e l’incapacità di impedire alle tribù beduine di spadroneggiare nel Sinai hanno trasformato i 29 mesi passati dalla caduta di Mubarak in un vortice di povertà e insicurezze che ha allontanato i turisti stranieri, polverizzato le risorse nazionali e accresciuto gli stenti di una nazione abituata a guidare il mondo arabo. E’ la desolazione delle piramidi egizie la cartina tornasole del peggioramento della crisi egiziana che ha messo in luce i gravi limiti dell’azione dei governi dei Fratelli Musulmani.

Generata in Tunisia nel gennaio 2011 da proteste alimentari, continuata contro Mubarak e Gheddafi nella richiesta di migliori condizioni di vita, esplosa in Siria in opposizione allo strapotere economico della famiglia degli Assad, la Primavera araba continua a nutrirsi della necessità di milioni di famiglie arabe di emanciparsi dalla povertà e dal sottosviluppo come dell’aspirazione ad una vita migliore da parte delle nuove generazioni. L’interrogativo che resta senza risposta riguarda quali saranno i leader e le forze, politiche o religiose, arabe e musulmane, capaci di rispondere a tali istanze facendo prevalere la necessità concreta di premiare i bisogni delle famiglie sulle opposte ideologie che continuano a combattersi da Tangeri a Hormuz.

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