giovedì 29 agosto 2013

BERLUSCONI NEI LIBRI DI STORIA. ANCHE QUESTO TOCCA MANDAR GIU'...

 
Anni fa assistetti ad una "lectio magistralis" sul giornalismo tenuta da Eugenio Scalfari alla Sapienza, su invito del suo amico e sodale, Alberto Asor Rosa. Il Grande vecchio del giornalismo italiano (l'ultimo sopravvissuto di una generazione che vide la guerra, e qualcuno la fece pure, come Montanelli e Bocca) nell'occasione parlò ovviamente della sua creatura, La Repubblica, la sfida al Corriere della Sera, con il realizzato sorpasso ( in realtà, se è vero che qualche volta accade che la tiratura del primo superi quella del rivale, mediamente nell'anno non c'è partita. Un po' come avviene tra TG1 e TG5, per fare un esempio televisivo), e con l'orgoglio di avere in ogni caso il pubblico "migliore", perché più giovane, più istruito, con più professionisti tra i propri lettori. 
La conferma di una visione molto snob dell'essere di sinistra, che peraltro non è certo una novità.
Al momento delle domande , ovviamente diverse toccarono l'argomento Berlusconi, e l'argentato decano sfoggiò diverse battute caustiche, citando anche il suo grande amico (ora deceduto), il Cardinale Martini, tra coloro che non avevano nel cuore il Cavaliere.
Anche io feci una domanda, l'ultima.
Ricordai, come premessa, che l'unico statista della repubblica italiana che ebbe anche responsabilità di governo (bene assolte), fu De Gasperi. Che giustamente è nei libri della storia italiana. Ebbene De Gasperi governò solo dal 1948 al 1953. Un lustro, poco più. Morì nel 1954. Lasciò la sua impronta, senza dubbio, ma alla fine attraversò la storia italiana per meno di 10 anni (dal 1946 alla sua morte appunto). In precedenza, un altro statista, pure molto discusso, fu Giovanni Giolitti, che invece durò, con alterne fortune, una ventina d'anni (escludendo dal conto la sua prima, breve, esperienza governativa, risalente agli anni 1891-1893, non continuativi). Non c'era alcun dubbio, conclusi, che anche Berlusconi, che aveva così fortemente caratterizzato l'Italia post democristiana, governato più di De Gasperi e  durato quanto Giolitti, fosse ormai nella storia del nostro paese.
Bene o male, era così. E domandai a Scalfari quali, secondo lui, ne potessero essere le ragioni.
Sia il fondatore di Repubblica che Asor Rosa rimasero un po' stupiti della domanda - il pubblico presente  non era di quelli che poteva gradire la prospettiva, per quanto realistica, dell'approdo del Berlusca nei libri del liceo e dell'università - ma il primo rispose di buon grado.
Berlusconi incarnava, letteralmente, caratteristiche molto diffuse nell'animo più profondo degli italiani. Sicuramente della maggior parte. Di questa maggioranza, alcuni con volontà e cultura, si erano affrancati dalla propria natura anarcoide, restia alle regole, punto civica. Gli altri no, rimanendo però in penombra. Berlusconi, arrivando al potere, aggiungendo al successo imprenditoriale quello politico, li aveva "sdoganati", fatti uscire alla luce del sole. Essere in un certo modo, individualisti, ambiziosi per sé, egoisti, mettere al primo posto se stessi e il proprio clan, limitando ad esso la "socialità", non era sbagliato, anzi. 
Ovviamente, aggiungeva Scalfari, lui non era per nulla d'accordo con un simile animus, però era un fatto che Berlusconi aveva dato legittimità ad un modo di essere molto diffuso, e questo gli era valso un consenso fedele, duraturo, a prescindere. 
In fondo gli italiani hanno amato - e amano - Alberto Sordi, e le sue rappresentazioni dei nostri difetti tipici, per immedesimazione.
Concluse che comunque non vi era dubbio : Berlusconi era nella storia d'Italia (con suo grande rammarico).
Ed ecco, a conferma di tutto quanto sopra, che, ancora prima del tempo normalmente richiesto, iniziano ad uscire i primi libri di impronta storiografica del "berlusconismo". Francamente, essendo ancora in corsa la vicenda politica e umana del Cavaliere, i libri di Orsina e Gibelli (nessuno dei due agiografico, anzi, specie il secondo...) mi sembrano decisamente prematuri. Che poi, la storia sarebbe meglio che non la scrivessero i contemporanei.
Però così è.
E Pierluigi Battista parla delle due pubblicazioni in un suo intervento sul Corriere della Sera.
Buona Lettura




Le librerie italiane rigurgitano da quasi un ventennio di una mole imponente di volumi, opuscoli, pamphlet dedicati a Silvio Berlusconi. Ci sono case editrici consacrate alla demolizione di Berlusconi. Altre dedite alla glorificazione di Berlusconi. Demonizzatori e santificatori di Berlusconi si sono contesi con generoso dispendio di forze anche gli scaffali delle librerie. Eppure la contesa tra libri che studino con rigore il fenomeno berlusconiano, anche se da punti di vista diversi se non opposti, non è così frequente come sarebbe auspicabile. Solo negli ultimi tempi, però, gli anni di Berlusconi sono diventati oggetto di una competizione storiografica. Forse è la fine di un ciclo che trasferisce la cronaca alla dimensione della storia e consegna il berlusconismo ai cataloghi dei libri di studio, lontani dai fanatismi dei professionisti dell’anatema e degli incensatori senza limiti. È di questi giorni l’uscita del libro di Giovanni Orsina «Il berlusconismo nella storia d’Italia» (Marsilio), che si affianca e si contrappone al libro di Antonio Gibelli, «Berlusconi passato alla storia» (Donzelli). Non sono libri privi di un forte punto di vista (quello di Gibelli, per non lasciare dubbi al lettore, porta come sottotitolo «L’Italia nell’era della democrazia autoritaria»). Non sono indulgenti nei confronti di Berlusconi, ma pretendono di afferrare quello che per i demonizzatori irriducibili appare come un mistero, se non come una degenerazione sociale: la costanza di un consenso elettorale durato almeno vent’anni. I demonizzatori hanno sostituito l’analisi con l’invettiva. Per darsi ragione delle numerose vittorie di Berlusconi se la sono presa con i suoi elettori, bersaglio di quel «razzismo etico», come lo ha chiamato Luca Ricolfi, di quel disprezzo antropologico che rafforza lo spirito della comunità della sinistra ma si dimostra assolutamente incapace di capire le ragioni del successo dell’avversario. Questo ventennio di così scarsi approfondimenti analitici forse si sta finalmente riscattando. Ora, da Gibelli a Orsina, si cerca di fare i conti con la realtà. Orsina, addirittura, definisce il berlusconismo non «complesso», ma «molto complesso». Generalmente, l’enfasi sulla «complessità» di un fenomeno finisce per offuscare dietro una formula elegante ed enigmatica la difficoltà di interpretarlo, e di dar conto delle sue mille sfaccettature. Ma sia Orsina che Gibelli, pur approdando a conclusioni diverse se non opposte, cercano di trovare quell’armonia nascosta che ha legato indissolubilmente Berlusconi e il suo elettorato. Così indissolubilmente da suggerire a Orsina l’ipotesi che non possa esistere «berlusconismo senza Berlusconi». E dato che il berlusconismo è stato la forma concreta e strutturata del centrodestra a partire dal 1994, e anzi, dato che il centrodestra italiano è stato e rimane una creatura plasmata integralmente da Berlusconi, la conclusione logica cui si perviene è che non possa esserci centrodestra senza Berlusconi. Ma non è paradossale che la rappresentanza di milioni di elettori sia indissolubilmente legata a una persona? Il centrodestra che si interroga angosciosamente sul dopo-Berlusconi non ricaverà dalla lettura del libro di Orsina grandi motivi di conforto. Anche l’analisi più spassionata, meno legata allo schema manicheo di questo ventennio, descrive il centrodestra italiano nel suo rapporto di totale e irriducibile identificazione con un uomo. Dopo di lui il diluvio, o almeno un destino di totale irrilevanza politica. Gibelli non traeva conseguenze molto diverse: anche per lui Berlusconi non è che lo specchio di un carattere, di un modo di pensare e di sentire condiviso da molti italiani che hanno trovato nel loro leader il riflesso delle loro aspirazioni (e anche dei loro vizi, aggiunge l’autore certamente poco in simpatia con il personaggio che sta studiando). Ma se lui dovesse venir meno, politicamente, sulla scena nazionale, allora un elettorato si ritroverebbe irrimediabilmente orfano o acefalo. L’anomalia berlusconiana è tutta qui: nel non saper neanche lontanamente immaginare un futuro per metà dell’elettorato italiano privato senza rimedio del suo punto di riferimento. La cronaca che si fa storia ritorna alla cronaca di questi giorni, con un centrodestra che si dibatte in una convulsione dolorosa mentre il suo leader sta vivendo la crisi più profonda di un oramai lungo tragitto politico. Forse, irrevocabilmente, alla fine.

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