giovedì 5 settembre 2013

ADRIANO SOFRI E IL PERCHE' DELLE "LINEE ROSSE"


LIBERO è tra i giornali schierati contro l'intervento in Siria. Non per pacifismo ma per opportunità : Assad, alla fine, è considerato il male minore. In quei paesi è inutile illudersi possa arrivare mai la democrazia, che chi vince le elezioni, poi cerca di usare il potere acquisito per non rifarne più...come fecero fascisti e nazisti (oddio, non è esatto dire che vinsero nelle urne. Ebbero un forte successo elettorale ma non la maggioranza. Usarono però quel consenso, in momenti di crisi e disordine, per farsi affidare il governo, e da lì, instaurare la dittatura). Almeno, con gli autocrati, come Gheddafi, Mubarak, Ben Alì e anche Assad, al comando c'erano uomini non dediti al fanatismo religioso, e anche il leader libico, dopo la "stranita" di Reagan (non è vero che le azioni di rappresaglia non servono, e Israele lo ha insegnato bene a tutti ), si era molto tranquillizzato con l'Occidente. Insomma, come detto all'inizio, il male minore. Poi ci sono i giornalisti, come Pierluigi Battista, che dicono che è facile ragionare così quando ad essere privati di ogni libertà, sottoposti a torture per qualsiasi cenno di dissenso, sono gli "altri". In Siria si è andati oltre, con la repressione delle manifestazioni di piazza trasformatasi in massacri da parte dell'esercito e con la deflagrazione di una vera guerra civile. 
Dopo oltre 100.000 morti, due milioni di profughi che hanno abbandonato la Siria e più del doppio che si aggirano per le campagne dopo aver abbandonato le loro case nelle città dove si combatte e si bombarda, il problema viene innescato dal fatto se Assad abbia usato il suo arsenale chimico.
E siccome improvvidamente (dal suo punto di vista, che di infilarsi in queso conflitto proprio non gli va ) Obama aveva fissato lì la sua REd Line, ecco che l'America è costretta a intervenire, e i pacifisti hanno tutti un rigurgito adrenalinico, come sempre quando sono gli USA di mezzo. Anche il santo padre ha alzato il suo livello di attenzione, eppure la guerra, contro la quale giustamente lancia il suo monito, lì c'è da due anni...
Ho letto i unmerosissimi interventi di chi è pro e di chi è contro. Roberto Toscano (La Stampa), Sergio Romano (Il Corriere) Maria Govanna Maglie (Libero) sono sfavorevoli, chi suggerendo di insistere per l'azione diplomatica, chi schierandosi per Assad, nell'ottica cinica ma molto real politik di cui dicevo in apertura. Tra i favorevoli, oltre al citato Battista, soprattutto scrittori , come Glucksman, Levy e Adriano Sofri. 
Posto l'intervento di quest'ultimo, pubblicato su Repubblica e anche sulla pagina FB dell'autore


La linea rossa


Fra i danni collaterali della tragedia siriana c'è il rischio di una precipitosa perdita di distinzioni costruite attraverso i decenni. Ian Buruma ("La moralità delle bombe" pubblicato ieri) raccoglie un argomento che sembra di buon senso a tanti nell'angustia di questi giorni: che senso ha stabilire "linee rosse" sulle armi chimiche? Forse che gli ammazzati a colpi di proiettili e bombe convenzionali sono meno morti? Dalla Convenzione di Ginevra del 1925 a quella del 1993 è cresciuto l'orrore per le armi chimiche, da Ypres 1917 alla nostra Eritrea, alla guerra Iraq-Iran, alla curda Halabja 1988 e ai sobborghi di Damasco.

Orrore per gli effetti, per i bersagli indiscriminati, e disgusto per la slealtà estrema, erede dell'avvelenamento dei pozzi. In gara con l'orrore cresceva l'avidità di potenze grosse e piccole per il possesso di armi chimiche e biologiche che ne autorizzassero la prepotenza e promettessero, se non l'espansione vittoriosa, la rappresaglia dopo la sconfitta. Gli Stati Uniti ora segnano il passo davanti alle linea rossa che hanno voluto tracciare: può darsi che Obama avesse pronunciato l'intimazione come un esorcismo, per avere un alibi all'inerzia, e contando che Assad non ardisse di oltrepassarla. Ma le armi chimiche, con l'aggravante di colpire i civili, sono per la civiltà internazionale - cioè per la riduzione della barbarie planetaria - una cosa diversa e più grave delle armi convenzionali.

Fa impressione vedere come l'argomento apparentemente di buon senso, in realtà fra qualunquista e cinico, sull'indistinzione delle armi mortifere, faccia dimenticare, perfino a tanti che vi si sono impegnati, battaglie come quella per il bando alle cluster bombs, le bombe a grappolo, o le mine antiuomo cosiddette, che uccidono squartano e mutilano come un bombardamento "normale" - ma con un di più di inganno e adescamento di inermi. O per il bando all'uranio impoverito. Vogliamo passare dallo scandalo della manipolazione sull'esistenza di armi di distruzione di massa, alla dichiarazione della loro irrilevanza? Per far culminare questa liquidazione alla leggera di distinzioni sulle quali si costruisce pietra su pietra, frana dietro frana, riparazione dopo riparazione, la storia della civiltà - della riduzione della barbarie, delle unghie tagliate agli artigli - si chiamano in causa anche l'arma atomica e la nozione di genocidio.

"Esiste davvero una grande distinzione morale tra uccidere circa centomila persone sganciando una bomba atomica su Hiroshima e ammazzarne un numero addirittura superiore provocando una pioggia di bombe incendiarie lanciate in una sola notte sul cielo di Tokyo?" Le vittime di Tokyo furono più numerose, certo. E i bombardamenti al napalm e ai defolianti sul Vietnam non furono meno infami, e Dresda, e... Ma a Hiroshima e Nagasaki gli umani emularono per la prima volta Dio nell'unico modo in cui potevano, mostrandosi capaci di distruggere la terra di colpo, in una creazione alla rovescia. Per la prima volta e per l'ultima, finora: l'unico caso in cui hanno rinunciato a ripetersi. Finora, insisto: perché custodiscono decine di migliaia di ordigni nucleari, e decine di paesi sono pronti a dotarsene. L'ipocrisia e l'inadeguatezza del Trattato di non proliferazione nucleare saranno una ragione per liberarcene - tanto si muore comunque ammazzati?

Infine, il genocidio. "Tollerare il genocidio è intollerabile... A che punto esatto, però, occorre tracciare una linea? Quanti omicidi costituiscono un genocidio? Migliaia? Centinaia di migliaia? Milioni?". Che sia Buruma a proporre simili interrogativi mi lascia interdetto. Riformulateli a proposito di Auschwitz. Fatto? Non occorre altro, se non ricordare che il genocidio - la parola, e poi la tormentata definizione, e la Convenzione delle Nazioni Unite, insoddisfacente quanto si voglia - venne dopo, dopo che nessuno volle tracciare quella linea rossa.
Io, che sono "amico" di Sofri sulla sua pagina del socialnetwork,ho commentato così : 
"seguo con attenzione le riflessioni di Sofri. Sempre e in particolare in questa vicenda. E sono d'accordo con lui nell'ipotizzare un intervento di "polizia" finalizzato a difendere la popolazione. Però, confesso, non riesco a immaginarlo concretamente. Può fare un esempio di precedente efficace? In una situazione degenerata a livello siriano ? Stare fermi, sono d'accordissimo con lui, è infame. Ma intervenire, senza schierarsi da una parte (come più spesso avviene) , come in Siria sarebbe sommamente auspicabili visto che se i cattivi sono noti, meno facile trovare i buoni (non parlo delle vittime, che stanno in mezzo, e che Sofri giustamente dice che BISOGNA difendere), come si fa ?  "
 

Nessun commento:

Posta un commento