martedì 10 settembre 2013

IN FRANCIA SPAZIO ALLA "RELIGIONE REPUBBLICANA". ASSOLUTISMO DI STATO AUSPICATO ANCHE DA MOLTI ORFANI DEL FATTORE K


Giovanni Belardelli, uno degli opinionisti di pensiero liberale sul Corriere, dà voce ad una sensazione che da molto tempo ho guardando ai cugini d'oltre alpe, che a mio avviso hanno pericolosamente generato un mix di due nevralgici momenti della loro storia nazionale : la rivoluzione francese e l'assolutismo monarchico, poi trasformatosi nella grandeur imperiale.
La democrazia da loro non ha mai avuto l'attenzione per la libertà dell'individuo cara invece ai pensatori prima e ai politici poi di lingua anglosassone.
Un fortissimo senso dello Stato, sentito come divinità severa ma giusta e soprattutto assistenziale,  è assolutamente trasversale, non c'è grossa differenza tra destra e sinistra in questo, e non a caso il Presidente della Repubblica è accettato come una sorta di monarca costituzionale.
In Italia sono tanti gli ammiratori di quel modello, specie ovviamente a sinistra, dove l'idea di uno Stato che "guidi" (in realtà IMPONGA) una certa crescita etica dei cittadini è assai gradita.
Proprio qualche giorno fa, in vacanza, durante una cena, mi sono imbattuto in una discussione, avente per oggetto il problema Cultura in Italia, dove questo problema emergeva evidente e la Francia veniva citato come esempio.
"La politica deve guidare il popolo"....mmmmm, ci muoviamo su una lastra di ghiaccio MOLTO sottile. 
Io in queste discussioni, vi sembrerà strano, intervengo poco e il motivo è che non mi fido, di fronte ad interlocutori molto assertivi (eufemismo), di non tracimare  a mia volta in una verve polemica eccessiva.
A me piace dialogare, e con persone di idee diverse (opposte meno, perché lo trovo inutile) di più perché capita spesso di sentire qualcosa che non sapevi, sulla quale non avevi riflettuto. Però ecco, ci deve essere questo ascolto aperto, disponibile. Da entrambe le parti. Se mi trovo di fronte ad un comiziante, che ci parlo a fare ? 
Così, nella fattispecie, a questa donna che con fervore lamentava l'abbandono della cultura in Italia (c'era anche un forte interesse personale in questa perorazione), e per la quale  l'unica soluzione fosse un governo che  facesse una politica di EDUCAZIONE della cittadinanza, che questo è il ruolo di chi fa politica, mi sono limitato a dire :"eh ma hai mai pensato che potrebbe arrivare al governo uno che NON la pensa in questo modo ? che pensa che la cultura deve essenzialmente trovare risorse per conto proprio ? Ci sono vasti movimenti, io conosco quelli del Tea PArty, che non ne possono più di questo onnicomprensivo intervento statale. E se ci fosse uno di loro alla "guida" ?.
Nemmeno mi ha risposto, che doveva essere terrificante il solo pensiero.
Eppure, quando parliamo di stati educatori, nella pratica, di recente, ne abbiamo avuti esempi decisamente tragici...Insomma, quando entri nell'idea di colui che formerà un cittadino "nuovo", poi mica puoi essere certo che questo sarà come piace a te.
Possibile che sia stato già dimenticato ?
Ma vi lascio alla lettura di Belardelli

"Quella carta francese della laicità che ferisce i principi liberali"


 
 Ieri mattina è stata affissa in tutte le scuole francesi, in forma solenne, la Carta della laicità fortemente voluta dal ministro dell'Istruzione Vincent Peillon. Chi ne scorra gli articoli avrà forse difficoltà a comprendere subito la ragione delle polemiche che la Carta sta suscitando in Francia. Accanto ad affermazioni piuttosto ovvie relative all'eguaglianza tra maschi e femmine o al rispetto e comprensione dell'altro, il documento ripropone quell'idea della laicità come divieto di ogni simbolo religioso che sarà pure discutibile, ma certamente non è nuova. In realtà l'iniziativa va letta alla luce del più generale progetto politico-pedagogico del ministro, quello di dar vita a una vera e propria «religione repubblicana». Secondo Peillon si tratterebbe niente di meno che di completare la Rivoluzione francese: se questa aveva dovuto arrestarsi alle trasformazioni politiche e sociali, ora la nuova scuola laica dovrebbe finalmente realizzare una profonda trasformazione morale e spirituale. A dire il vero, la «filosofia» che ispira il ministro sembra poco laica e poco liberale. Poco laica, almeno per chi ritenga che la laicità non implica l'assenza o il divieto di manifestare la propria fede religiosa (è ben nota la questione della proibizione del velo nelle scuole per le giovani di religione islamica), ma si accompagna al libero manifestarsi di tutte le credenze — religiose o meno — su un piano di eguaglianza. La laicità del ministro francese è invece fondata su un principio di esclusione, giustificato dall'idea che la religione sia incompatibile con la libertà umana: «Non si potrà mai costruire un Paese libero con la religione cattolica», ha sostenuto il ministro Peillon presentando il suo libro La Révolution française n'est pas terminée (il relativo video su YouTube è stato ampiamente citato da Giulio Meotti sul Foglio del 29 agosto). Si tratta dunque di una concezione attivamente antireligiosa della laicità, che ha profonde radici nella storia francese degli ultimi due secoli e mezzo. In ogni caso è un'idea che contiene un concreto rischio di discriminazione: non a caso l'ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, redatto da una commissione federale americana a carattere bipartisan, ha criticato la «laicità troppo aggressiva» della Francia, che non permette alle persone di esprimere pienamente la propria fede.
È altrettanto evidente che si tratta di un progetto ben poco liberale, perché animato da un'idea troppo vasta dei poteri dello Stato, certamente invasiva della libertà di individui e famiglie.

 Secondo il ministro, infatti, la scuola «deve strappare il bambino da tutti i suoi legami prerepubblicani per insegnargli a diventare un cittadino». È un'idea che si afferma soprattutto con la Rivoluzione francese, che vedeva tra i suoi compiti principali quello di «rigenerare» i cittadini, di rieducarli politicamente e soprattutto di renderli eticamente migliori. Ma è un'idea che è stata anche ripresa dalle dittature di massa del Novecento, animate da una analoga concezione pedagogico-autoritaria dei compiti dello Stato; uno Stato cui ad esempio Giovanni Gentile (riferendosi a quello fascista) assegnava la funzione di «educatore e promotore di vita spirituale». È ovvio che l'idea di cittadinanza di Peillon è diversa da quella di Gentile e che diversi sono gli strumenti cui intende far ricorso. Ma che ci sia dietro, anche nel caso del ministro socialista, un rischio autoritario pare innegabile.
Tutto questo, però, non toglie che la questione che cerca di affrontare (male) la Carta della laicità abbia un fondamento reale. Riguarda il fatto che una democrazia non può vivere soltanto dell'accettazione di procedure e norme giuridiche fondamentali, come sono gli articoli di una costituzione, ma ha bisogno anche che i suoi cittadini condividano alcuni valori. Ne sappiamo qualcosa in Italia, dove tutti riconoscono l'assenza o la debolezza di valori comuni, anche in conseguenza di decenni di modernizzazione e secolarizzazione che hanno incrinato o forse distrutto l'antica struttura etica della società senza che ne emergesse una nuova. Il punto è se questi valori debbano essere comunque cercati nella società, rispettandone le peculiarità storiche e il pluralismo, o se invece vengano attivamente promossi attraverso forme pedagogico-autoritarie, che in qualche modo rieduchino i cittadini. Questa seconda via, criticabile in sé, ha oltretutto una potenziale, ulteriore conseguenza negativa: mutato magari il governo dopo nuove elezioni, un altro responsabile del ministero dell'Istruzione potrebbe voler cambiare tutto da capo, consegnando agli insegnanti — a quel punto ormai ridotti a meri funzionari-esecutori — nuove direttive per una diversa «religione repubblicana».

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