domenica 27 ottobre 2013

RENZI, L'ULTIMO MOHICANO DEL SISTEMA MAGGIORITARIO


Renzi e Berlusconi sono gli ultimi sostenitori del sistema maggioritario, cui si approdò grazie al referendum proposto da Mario Segni con l'appoggio dei radicali. 
L'Italia sembrava stanca dei 45 governi in 45 anni, della repubblica dei reciproci veti, del consociativismo come unica possibilità. Con la seconda repubblica però si è sperimentato che le maggioranze sono solo fittizie se a raggiungerle sono coalizioni non omogenee, senza un vero programma comune di governo. Nei governi di sinistra si è visto di più, caduti sempre per il fuoco "amico", ma Berlusconi ha giustificato il suo non aver mantenuto la promessa della "rivoluzione liberale" a causa degli intralci degli alleati. E del resto, non facile mettere d'accorso statalisti centralisti come Casini e Fini con il federalismo acceso dei leghisti.
Il problema è che da noi radunare forze eterogenee (anche tanto) nel nome del comune nemico (che si tratti di Berlusconi da un lato, della Sinistra dall'altro), si può, e quindi in questo modo riuscire anche a vincerle le elezioni, ma poi, come detto e visto, governare, nel senso di riformare e cambiare, risulta pressoché impossibile per i reciproci ricatti, a volte anche di un pugno di onorevoli...
Il Porcellum tanto vituperato ( ma che da sette anni resiste e ha già regolato ben tre tornate elettorali) cerca di risolvere un po' il problema con due modi, entrambi in forte odore di incostituzonalità : 1) il blocco delle liste. Sono i partiti a stabilire l'ordine degli eletti, ritenendo in questo modo di renderli più fedeli, che chi "tradisce" al prossimo giro il seggio se lo scorda 2) il premio di maggioranza, con il 55% dei seggi a chi arriva prima, A PRESCINDERE dai voti ottenuti. 
Il primo espediente non ha mostrato di funzionare troppo, o meglio, pare che vada così : il "responsabile" (così vengono chiamati dai compratori  i voltagabbana  ) di turno, in primo luogo difende la poltrona al presente ( e quindi istintivamente, se sta all'opposizione, prende in considerazione di soccorrere l'esecutivo per evitare il riorno alle urne, se sta nella maggioranza, non obbedisce al partito che ha deciso di ritirare la fiducia), e in secondo cerca di vedere se potrà essere premiato in futuro per il suo trasformismo. 
Il secondo andrebbe alla grande, se non fosse che, sia nel 2006 che a febbraio ultimo, chi ha vinto, sia pure di un soffio, alla Camera (prendendosi col 30% dei voti espressi, il 55% dei seggi !), non lo ha fatto al Senato e questo per la semplice ragione che lì il premio scatta su base REGIONALE e non nazionale. Così volle Ciampi, quando il Porcellum fu partorito, pensando di fare un favore alla sinistra...  La modifica del Porcellum, nel sogno dei favoriti di turno, consisterebbe quindi SOLO nell'estendere  il principio valido per la Camera anche al Senato. Certo, un minimo rischio di risultato non conforme c'è (che gli elettorati sono diversi, in quanto i giovanissimi, quelli dai 18 ai 25 anni non compiuti, NON votano) ma insomma non è che si può prevedere proprio tutto . In fondo, anche con altri sistemi elettorali c'è il rischio che il sogno di Renzi, sapere la sera chi ha vinto, non si realizzi solo per magia della legge : negli USA oggi le due camere hanno maggioranze diverse, in Francia è capitato non di rado che il Presidente abbia dovuto governare con un Parlamento non amico (e si prevede riaccadrà alle prossime elezioni, con Hollande in cantina nei sondaggi), in Germania il successo largo della Merkel non le è comunque stato sufficiente per avere la maggioranza assoluta, e sta trattando con la SPD. Possibile che non ci sia un cacchio di giornalista che queste cose le faccia presente ai cultori della governabilità senza consenso  (ieri Bersani, oggi Renzi ) ?
Personalmente, ho votato il referendum Segni, e non amo il proporzionale puro, anche se comprendo sia il sistema astrattamente più democratico, ritenendo che favorisca troppo la già nostra fin troppa ampia predisposizione alle tribù frammentate. 
Però nemmeno può accadere che un partito, col 20 - 25% dei voti possa governare sulla testa del restante 80% !
Insomma, uno sforzo di sintesi efficace per cercare di avere un consenso ampio, almeno il 40% di quelli che votano toccherà che lor signori riescano a farlo !
Ciò posto, Panebianco, nel suo editoriale, paventa proprio il ritorno al proporzionale puro, con le larghe intese che diventeranno così la regola, non l'eccezione. 
Dei compromessi utili ci sarebbero, copiando gli altri, ma sembra una strada che ci fa schifo. Infatti, da 20 anni non la percorriamo.
Il risultato non sembra ottimo, ma chissene.

  • La tentazione dei nostalgici" 


    Nel 1993, con un referendum, gli italiani tolsero di mezzo la proporzionale, misero fine a una stagione, durata più di quarant’anni, durante la quale le trattative postelettorali fra i partiti, non le elezioni, decidevano le alleanze di governo e i nomi dei primi ministri. Venti anni dopo, come nel gioco dell’Oca, si torna alla casella di partenza: sembra proprio che la proporzionale stia per essere reintrodotta. E poiché in Italia non si gioca mai in modo trasparente, la resurrezione avverrà (a meno che qualcuno non si metta di mezzo) in modo surrettizio, fingendo di fare altro. Per schivare la sentenza della Consulta (prevista per il 3 dicembre) sulla costituzionalità o meno del premio di maggioranza contenuto nella attuale legge elettorale, è già pronta la soluzione: basta stabilire che il premio scatti solo se un partito o una coalizione superino il 40% dei consensi. Poiché si prevede che nessun partito o coalizione possano arrivare a quella soglia, il gioco è fatto: la proporzionale pura è ristabilita. Naturalmente, si tratterebbe, come si premurano tutti di dire, di una soluzione «provvisoria», di un «provvedimentoponte», in attesa di una più organica riforma. Ma tutti sanno che in Italia nulla è più duraturo e longevo del provvisorio. Questo significa forse che non bisognerebbe cambiare l’attuale legge elettorale, non bisognerebbe mettere fine — come giustamente esorta il presidente della Repubblica — a un sistema che consente a un partito col venticinque per cento dei voti di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi? Certo che è necessario. Ma ci sono due modi per farlo: ristabilire la proporzionale o scegliere una differente soluzione maggioritaria che elimini le patologie dell’attuale sistema elettorale. La spinta proporzionalista è fortissima, probabilmente assecondata dalla quasi totalità degli attuali parlamentari (poiché la proporzionale accresce le chance di rielezione di ciascuno). Fino a pochi giorni fa sembrava che solo due leader avessero interesse a bloccare l’operazione: Berlusconi e Renzi. Se Berlusconi, come pareva, avesse avuto davvero a cuore l’unità del suo partito, avrebbe presumibilmente sbarrato il passo alla proporzionale (al fine di bloccare la secessione di Alfano e i suoi). Ma Berlusconi ha scelto ora un’altra strada, vuole cacciare i traditori. E dunque, probabilmente, non sarà più un ostacolo. Resta solo Matteo Renzi. Renzi sì che ha tutto da perdere se si torna alla proporzionale. Addio ai sogni di gloria, addio al bipolarismo, addio all’uomo solo al comando, addio, insomma, al progetto Renzi (mi prendo il partito e poi vinco le elezioni e mi prendo anche il governo). Tutte cose da maggioritario, non da proporzionale. Per questo egli è rimasto «l’ultimo giapponese», l’ultimo che continua a combattere per una soluzione maggioritaria. Solo che fin qui Renzi lo ha fatto male, in modo troppo guascone. Proporre il doppio turno (da far passare alla Camera contro il Pdl) è una forzatura e una guasconata. Ha valore identitario, non pratico. E non sembra che ciò che Renzi ha detto ieri sulla riforma elettorale, al meeting della Leopolda, segni un vero cambio di passo. Senza il Pdl la riforma elettorale non si può fare e il Pdl può (forse) accettare il doppio turno solo se abbinato alla riforma costituzionale (presidenzialismo o premierato). Dato che le sue future fortune si giocano proprio sul tema della riforma elettorale, Renzi farebbe meglio a muoversi in modo più abile, più politico. Dovrebbe abbandonare le formule vaghe e generiche fin qui usate (come quella sul «sindaco d’Italia»). Dovrebbe dire: visto che esiste già sul tavolo una proposta, quella di Luciano Violante, il doppio turno di coalizione (in parte ispirata alle idee di due politologi: Gianfranco Pasquino e Roberto D’Alimonte) che, per giunta, è coerente con un progetto di riforma costituzionale (il premierato) su cui si è già realizzata una forte convergenza di esponenti del Pd e del Pdl, la si adotti subito, come primo passo verso la riforma costituzionale. Da parte di Renzi ciò implicherebbe un sacrificio: la rinuncia a ottenere al più presto le elezioni anticipate e un impegno a favore della riforma costituzionale. Chi scrive, come gli è già capitato di dire su questo giornale, ha diverse riserve nei confronti della proposta Violante. Però, bisogna essere realisti: in politica il meglio è nemico del bene, e va riconosciuto che, per lo meno, si tratta di un sistema elettorale che salverebbe lo schema bipolare e la competizione maggioritaria. Essendo Renzi l’unico vero ostacolo, l’esito più probabile è che l’abbiano vinta i fautori della proporzionale. D’altra parte, le classi politiche possono essere spinte ad adottare regole del gioco più rischiose (come sempre sono, per le prospettive di rielezione dei singoli parlamentari, i sistemi maggioritari) solo se costrette da una fortissima pressione esterna. Fu un referendum a imporre il maggioritario venti anni addietro. Un altro referendum, quello messo in piedi da Arturo Parisi un paio di anni fa, avrebbe potuto esercitare oggi una analoga pressione. Ma la Corte costituzionale ha ritenuto di non doverlo ammettere. E adesso non ci sono più difese da opporre alla deriva proporzionalista. Spiace dirlo ma è facile prevedere che il prezzo che il Paese pagherà, in termini di instabilità e ingovernabilità, sarà, nei prossimi anni, molto alto .

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