Il pessimismo resta la cifra costante dell'umore italico e del resto dopo 15 anni di stagnazione e 2 di recessione, con una disoccupazione che non flette, anzi si aggrava, specie per i giovani (ma quelli che perdono il lavoro a 50 anni non è che fischiano...) , con tasse crescenti, governi che si divertono a cambiare loro nome e con l'occasione le ritoccano all'insù, perché non dovremmo esserlo ?
Anche gli ottimisti, come Alessandro Fugnoli, annunciano che la borsa, che sembra in questi due anni aver ignorato l'andamento faticoso dell'economia reale, registrando andamenti sostanzialmente positivi (meno quella italiana, ma sì quelle europee e soprattutto quella USA) , prima o poi darà un'altra scossa, anche se si ha motivo di sperare che non sia ai livelli del 2002 e 2007.
Davide Giacalone è un altro che, anche sottolineando doverosamente tutti i gravosi fardelli che ci portiamo dietro, cerca sempre di valorizzare le sopravvissute positività, un'industria manifatturiera che ancora riesce ad esportare in maniera non insignificante, nonostante le condizioni di svantaggio rispetto alla concorrenza (denaro più raro e caro, costo dell'energia quasi doppio ) per dire che non bisogna rassegnarsi ad un declino irreversibile. Ma anche da lui lo scoramento per lo più prevale.
Questi sono i due NON pessimisti tout court. Tutti gli altri, a partire da Giuseppe Turani (che credo sia rimasto particolarmente scottato dall'esperienza Monti, sia governativa, a parte gli esordi, che politica) , tendono al cupio dissolvi. Il Fondatore e Direttore di Uomini & Business arriva addirittura ad augurarsi la punizione "divina", con l'arrivo della Troika, vale a dire UE, BCE e FMI, ad imporci ricette simil Grecia, o anche Portogallo e Irlanda. Siccome facciamo solo promesse, e non affrontiamo MAI i nodi strutturali (ma come, non era solo Berlusconi a fare così ??) , allora che venga chi ci costringa a fare ciò che dobbiamo. Come faranno a costringerci ? Semplice, chiudono il rubinetto del finanziamento del debito. Pensate che qualcuno comprerà ancora titoli italiani se l'Italia fosse lasciata alla sua sorte dalla Banca Europea ? Del resto, perché Grecia, Irlanda e Portogallo (ma anche Spagna) si sono piegati ? Mica erano contenti di tagliare posti pubblici, tredicesime, servizi, inasprire norme sul lavoro e la previdenza. Eppure l'hanno fatto e lo stanno facendo.
Non è la ricetta giusta, quella dell'austerità, sono in tanti a dirlo, ma non perché si difenda l'allegro spendere di prima quanto perché questo modo si è rivelato recessivo, e quindi rischia di ammazzare il malato.
Ma la malattia resta data dalle spese divenute inarrestabili !
Sappiamo, e l'abbiamo riportata più volte, la soluzione prospettata dal duo Alesina-Giavazzi, economisti che scrivono spesso sul Corsera : ottenere dall'Europa uno sforamento sul deficit per una politica di investimenti e quindi favorevole alla crescita, barattandola con un serio piano di abbattimento del debito sia tramite le famose dismissioni (indicando in modo chiaro ed operativo COSA, COME, QUANDO ! ) sia tramite l'indicazione dei tagli che si effettueranno, da spalmare magari in un periodo medio lungo per abituarci alla cosa...Insomma, soldi subito, per gli investimenti ( e SOLO per quelli !) e diminuzione delle Tasse (sul Lavoro, e SOLO sul lavoro) a fronte di un piano Serio e Credibile, sul medio periodo, di diminuzione di Debito e Spesa Pubblici.
Abbiamo visto come noi italiani , TUTTI , reagiamo ogni volta che un taglio ci colpisce direttamente, qualunque esso sia, e la pavidità dei politici ad affrontare l'impopolarità inevitabile.
Potrei postare dieci articoli sul tema. Propongo l'editoriale odierno di Panebianco, un altro, come me, che inizia a temere che anche la novità Renzi, semmai dovesse arrivare al DUNQUE, si rivelerà incapace come gli altri, anche perché quello che lamenta il solito demonio (Berlusconi) in realtà è VERO : da noi proprio le istituzioni sono costruite per favorire i Veti e NON le Decisioni.
Dire molto per fare poco
La bocciatura, che però il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni nega essere tale, della nostra legge di Stabilità da parte della Commissione europea, è il segnale del cul de sac in cui ci troviamo, l’indice di un circolo vizioso che da molto tempo caratterizza il rapporto fra Italia e Europa: non siamo ritenuti affidabili, credibili, il che ci rende deboli nelle negoziazioni, ci toglie la forza che sarebbe indispensabile per strappare condizioni a noi più favorevoli. Gettare la croce sul governo in carica è, per molti versi, ingiusto (anche se, in democrazia, è inevitabile: con chi altri prendersela?). Il governo è bloccato o procede a stento perché subisce un quotidiano bombardamento come effetto delle lotte per il potere che scuotono la sua divisissima maggioranza parlamentare. A dimostrazione del fatto che le Grandi Coalizioni possono funzionare relativamente bene solo se i partiti che le compongono sono organizzazioni coese, saldamente controllate dai loro leader. L’opposto di ciò che accade in Italia. Si aggiunga il vincolo che pesa su tutti i governi italiani: le nostre istituzioni premiano i poteri di veto, non il potere di decisione. Da qui la tradizionale politica degli annunci: «Faremo questo, faremo quello». Poiché, in realtà, si può fare poco, poiché c’è sempre qualcuno che può porre veti (si veda cosa è successo appena il governo ha cercato di mettere mano ai conti della Sanità), i governi, anziché fare, devono limitarsi a promettere che faranno. Privatizzazioni? Spending review con quel che segue in termini di razionalizzazione della spesa? Riduzione delle tasse? Non ci crediamo noi. Perché dovrebbero crederci gli altri? O si consideri il caso di Matteo Renzi, l’astro nascente. Se non gli gettano la proporzionale fra i piedi forse vincerà le prossime elezioni. Magari riuscirà anche a stravincerle. E si troverà a seguire le orme di Berlusconi: grandi maggioranze, scarsi risultati. Il nostro sistema politico-istituzionale è costruito per premiare la conservazione, non l’innovazione. Come ha scritto Adriano Sofri (sul Foglio del 16 novembre): chi parla di «Costituzione più bella del mondo» ne ha mai lette almeno due? Il che ci porta al nostro rapporto con l’Europa. Romano Prodi ha lanciato una idea (Il Messaggero, 2 novembre) molto discussa. L’Europa, e l’Italia più di altri, hanno bisogno di politiche pro crescita. Ma la Germania — osserva Prodi — è irremovibile. Occorre un cambiamento nei rapporti di forza. Occorre una alleanza strategica fra Francia, Italia e Spagna che negozi con la Germania una rimodulazione della politica europea.
Prodi ha ragione. Sulla carta, non c’è altra strada. Ma gli ostacoli sono formidabili. Dovuti alle condizioni di Francia e Italia. In Francia, un presidente ormai debolissimo, ai minimi storici di popolarità, difficilmente potrebbe trovare l’energia per dichiarare ufficialmente chiusa la stagione delle finzioni e delle illusioni: l’illusione, soprattutto, di potere ricostituire un giorno quell’asse franco-tedesco che, per decenni, diede alla Francia il ruolo di co-gestore della politica europea. Occorrerebbe un presidente assai più forte di Hollande per un così marcato cambio di strategia. E ci sono poi le strutturali debolezze dell’Italia di cui si è detto. La cattiva notizia è che abbiamo necessità di costruire nuove alleanze in Europa ma non ne abbiamo la forza. La buona notizia, se così si può dire, è che, per lo meno, la storia è sempre imprevedibile, e magari ci sbagliamo.
Nessun commento:
Posta un commento