E SERGIO ROMANO RICORDA DI QUANDO IL PCI PRENDEVA I SOLDI DAL "NEMICO" E LA DC CHIUDEVA GLI OCCHI
Sono rimasto abbastanza sorpreso dalla risposta che Sergio Romano ha dato ad un lettore chiaramente stizzito dalla perplessità manifestata dall'ex ambasciatore e da tempo affermato opinionista del Corriere della Sera in ordine alla vicenda della decadenza di Berlusconi dal seggio senatoriale.
L'uomo, che confessa il suo pregiudizio anti Cav (oddio, non è che se non lo scriveva non si capiva), non vuol sentire parlare di fairl play istituzionale, galateo politico.
Romano, nella sua risposta, non si limita a ricordare all'astioso lettore che la commistione giustizia - politica è pericolosa, anche perché non si può mai sapere a chi toccherà un domani l'avviso di garanzia, il rinvio a giudizio, la sentenza di condanna (guardate Renzi, accanito contro la Cancellieri e poi messo in imbarazzo dalle accuse legali ad uno dei suoi "grandi elettori", il sindaco di Salerno De Luca , oppure Vendola, altro sacerdote della morale, divenuto ormai un pluri inquisito, tra questioni sanitarie e Ilva).
Invocare poi il principio di legalità, in un Paese come il nostro, per giustificare l'accelerazione e lo stravolgimento delle prassi parlamentari (il rifiuto di chiedere il parere alla Consulta sulla costituzionalità della legge Severino, l'adozione del voto palese al posto di quello segreto, il tutto a spron battuto come se da questo dipendesse ilriscatto della classe politica) farebbe ridere se non ci fosse da piangere.
Ma Romano va ben oltre tutto questo, ricordando a chi gli scrive che ci sono cose ben più gravi sulle quali i partiti, e gli uomini alla loro guida, hanno in passato chiuso ben più di un occhio, altro che accuse di frode fiscale o festini licenziosi. E tira fuori niente di meno che i finanziamenti russi ricevuti dal PCI negli anni della guerra fredda e fino alla vigilia della caduta del muro di Berlino.
Per concludere, testualmente : "
Giudichi lei, caro Brambilla, se i
festini di Arcore siano moralmente più gravi del denaro che il Pci
riceveva ogni anno da uno Stato potenzialmente nemico."
Secondo me, stavolta a Romano era saltata la mosca al naso.
Secondo voi ?
Buona Lettura
QUANDO NON È FACILE CONCILIARE POLITICA E MORALE
Non mi sono piaciute le sue due recenti riposte a lettori che
trattavano la faccenda di Berlusconi espulso dal Senato. Premetto che il
personaggio, da sempre, cioè da quando era un palazzinaro ed io un
ragazzo, non mi è mai piaciuto, e sempre più nel tempo con la sua
entrata in politica, esempio eclatante di arrogante potenza e di
sfacciata ricchezza. Nella prima lettera lei parla di galateo politico.
Nella seconda lettera della signoraMangini di Genova, che sottoscrivo
pienamente per quanto riguarda il personaggio Berlusconi con i suoi
atteggiamenti, le goliardate e io aggiungo soprattutto con l’arroganza
sua e della «cricca» di politici che lo sostiene, lei dice che il Pd
conosceva da principio le esuberanze del medesimo prima di accordarsi
con il Pdl. Ripeto: Berlusconi, e tutto ciò che rappresenta, mi è
estremamente irritante: ciò mi rende forse molto prevenuto. Comunque
finalmente l’hanno cacciato (anche se temo che lui indirettamente e la
sua «cricca» continueranno a condizionarci la vita). Penso, inoltre, che
tale sorte dovrebbe essere riservata a molti altri politici di
qualunque parte. In definitiva ho ritenuto i suoi interventi troppo
concilianti con il personaggio noto anche come «il magliaro di Arcore».
Caro Brambilla, La sua lettera non mi ha sorpreso. Nel corso della sua
vita pubblica Berlusconi ha suscitato contemporaneamente grande
devozione e grandi ostilità: due sentimenti che hanno malauguratamente
rafforzato la tendenza degli italiani a dividersi in campi nemici. A me
sarebbe piaciuto invece che i critici di Berlusconi in Parlamento, in
occasione del voto, s’interrogassero sugli effetti politici della loro
scelta per il futuro del governo Letta. Sarebbe sopravvissuto alla
estromissione di Berlusconi dal Senato? Avrebbe avuto maggiori o minori
possibilità di realizzare un programma che tranquillizzi i mercati e
permetta all’Italia di non essere più, come in questi ultimi anni, il
vigilato speciale della Commissione di Bruxelles, del Fondo monetario
internazionale e delle Agenzie di rating? Le ricordo, caro Brambilla,
che vi fu almeno un’altra occasione, dopo la costituzione della
Repubblica, in cui venne fatta una scelta che a molti italiani dovette
sembrare moralmente e politicamente intollerabile. Accadde quando Giulio
Andreotti, nel luglio 1976, formò un governo di solidarietà nazionale
con la «non sfiducia » del Partito comunista italiano. Da quel momento
il Pci, pur senza partecipare alla distribuzione dei ministeri, divenne
il partner necessario della Democrazia cristiana per tutto ciò che
atteneva all’ordine pubblico, alla lotta contro il terrorismo e persino
alla ripartizione delle spese fra i maggiori capitoli del bilancio. Le
ricordo ancora che il Pci, nonostante qualche interessante
manifestazione d’indipendenza, era ancora infeudato all’Unione
Sovietica, veniva finanziato ogni anno dal partito «fratello» dell’Urss e
addirittura accettava una consegna di ricetrasmittenti del Kgb per il
giorno in cui avrebbe dovuto scegliere la clandestinità. Tutto questo
accadde perché Aldo Moro e altri esponenti della Dc erano convinti che
il Pci fosse necessario alla lotta contro il terrorismo e a una migliore
organizzazione della vita politica nazionale. In linea di principio, se
il criterio della legalità avesse prevalso su quello delle esigenze
politiche, non sarebbe stato impossibile incriminare alcuni esponenti
del Pci per alto tradimento. Ma la creazione di un fronte nazionale
contro la minaccia eversiva dei gruppi rivoluzionari fece premio su
qualsiasi altra considerazione. Giudichi lei, caro Brambilla, se i
festini di Arcore siano moralmente più gravi del denaro che il Pci
riceveva ogni anno da uno Stato potenzialmente nemico.
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