Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
mercoledì 19 febbraio 2014
LA BICICLETTA CHE INCONTRA LA SALITA
Avuta la bicicletta tanto agognata, Renzino si accorge che la salita che lo aspetta è più impervia di quanto si fosse aspettato. Si consoli, che non è successo solo a lui. E' restata famosa la frase di Nenni, il quale, approdato al governo col primo centro sinistra, commentò "ho scoperto che nella stanza dei bottoni questi non ci stanno...".
Non parliamo di Berlusconi, che da anni ormai andava lamentandosi di come il Presidente del Consiglio ha meno poteri di un sindaco. Renzi è abituato a Firenze,una bellissima città ma di dimensioni medie, che non arriva a 400.000 abitanti, e con pastoie e resistenze decisamente meno grandi di quelle imposte all'esecutivo nazionale ( gli assessori sono 10 ? il voto del sindaco vale 11...altro aneddoto, stavolta del Matteo primo cittadino). Se ne sta accorgendo già solo al momento di scegliere i ministri del suo futuro governo, che oltre a rifiuti inaspettati, trova resistenze su nomi a lui graditi ma che non lo sarebbero, pare, ad autorità "altre".
Ne è contrariato, e ne ha ben donde. Però questa è la realtà di oggi, con la sovranità nazionale ridotta, i vincoli europei, l'assenza di una Banca Nazionale e la conseguente dipendenza da quella Europea. Di qui le perplessità forti sul fatto che basti l'UOMO; con tutta la migliore volontà, a potere, solo con essa, imprimere delle svolte addirittura rivoluzionarie. Oltretutto con una maggioranza abbastanza risicata e variegata.
Questo lo sfogo di Renzino ai primi tornanti, che la solita Maria Teresa Meli ha saputo carpire.
Mi chiedo sempre come fa ( e qualche volta sospetto pure che un po' inventi...colorando e arricchendo, pssando per vere cose verosimili).
Lo sfogo del segretario con i suoi: è meno facile di quanto pensassimo
«È meno facile di quanto avessimo pensato»: con i suoi, nel corso dell’ennesima interminabile giornata, Renzi lascia libero sfogo a sentimenti, pessimismi e pronostici. E aggiunge: «Avevo sottovalutato la forza della conservazione nel nostro Paese. Per tanti sono un marziano e vogliono farmi pagare questo». Ma al di là delle parole amare, ci sono i fatti, che Renzi deve cogliere al volo: «Correre, correre, correre», ripete il segretario del Pd a tutti. Eppure c’è lo scoglio del ministro dell’Economia. Lui quella casella l’aveva già occupata con Delrio: «In quel dicastero — è il ragionamento che il leader è andato facendo in questi giorni — ci deve andare una persona competente, con cui sono in sintonia e con cui posso collaborare. Non si può creare una situazione di diarchia, che paralizzi il governo, perché è da lì che deve partire il cambiamento». Meglio un politico, dunque, affiancato da due viceministri di peso (un nome per tutti, quello di Padoan). I renziani dicono che su questa ipotesi Draghi sia d’accordo, il Quirinale un po’ meno. Sennò bisognerà passare direttamente a un tecnico, ma anche in questo caso, a una persona «che lavori fianco a fianco con il leader». Insomma, Renzi non è disposto a farsi imporre nessun nome. «Quando arriveremo alla stretta finale deciderò io», spiega ai suoi, prima e dopo essere entrato a Montecitorio e aver depositato come un novellino i documenti in portineria, nonostante sia il premier incaricato. E continua così: «Questo è il mio governo, non ho nessuna intenzione di fare il Letta bis e se Alfano non lo ha capito lo capirà. Io devo marcare la differenza non solo perché non sono Letta, ma perché devo mandare un segnale a tutti gli elettori che sono rimasti delusi dalla staffetta. Sennò che avremmo fatto a fare tutto questo casino?».
Il segretario è preoccupato, per quanto lo neghi anche ai fedelissimi. Non lo intimoriscono certo le richieste del Nuovo centrodestra. «Non mi pare che loro abbiano grandi alternative. Non possono andare alle elezioni, quindi anche i loro diktat sono inefficaci. Capisco invece che abbiano dei problemi — ragiona con i suoi — perché escono ridimensionati nei numeri da questo governo. Non solo, se quello Letta era un esecutivo di compromesso guidato da un esponente del Partito democratico, il governo che andiamo formando sarà invece del tutto diverso. Sarà molto caratterizzato dal Pd, perché lo guiderà il segretario di quel partito che è appena stato eletto dalle primarie. Inevitabilmente, il nostro ruolo sarà più forte, e non sto parlando di poltrone». Mentre immagina con la stretta cerchia dei collaboratori l’esecutivo che sarà, Renzi spiega che almeno «due terzi del governo Letta dovrà andare via»: «O facciamo una cosa seria, o svoltiamo, o ci asfaltano». Quindi aggiunge: «Del resto, non voglio fare un governo a tutti i costi...». Come a dire, alla peggio si può sempre andare alle elezioni anticipate. Scenario che il segretario del Pd non si augura. E che però si tiene come arma di «riserva», non si sa mai qualcuno voglia giocargli brutti scherzetti. Ma con tutti, comunque, pure Vendola, che resterà all’opposizione, anche se su singoli provvedimenti potrà convergere, ha fatto capire che l’orizzonte «auspicato» è «quello del 2018». Però l’obiettivo è quello di riuscire a mandare in porto l’Italicum nella prima settimana di marzo, perché è sempre meglio tenere un’arma carica nella palude romana: «I palazzi non mi cambieranno, io rimarrò sempre lo stesso», assicura lui parlando con quelli trai suoi che mostrano maggiori diffidenze e timori per questa avventura governativa. E aggiunge: «Non abbiate paura, mica mi sono rammollito». Lo sperano tutti. E gli danno credito, quando lui spiega: «Farò il premier come il sindaco d’Italia, stando in mezzo al Paese, girando una regione a settimana, partendo la mattina da Roma per arrivare in una città e visitare una scuola, un centro anziani, un museo, un’azienda...». Del resto, dice scherzando a Guerini e Delrio, che hanno guidato rispettivamente Lodi e Reggio Emilia, «io sindaco lo sono stato sul serio, non come voi due». Vero, ma la prova del fuoco resta sempre quella del ministero dell’Economia. Lì si vedrà se quello che nascerà sarà veramente il Renzi uno o il Letta bis con un altro premier.
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