Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
mercoledì 19 febbraio 2014
NOMI NUOVI RICETTE ANTICHE ? RENZI E IL DEFICIT SPENDING
Obiettivamente, con un debito che supera i 2.000 miliardi e rappresenta il 130% del PIL sembra difficile immaginare che sia insistere sulla strada del deficit spending quella virtuosa. Eppure sono in tanti in Italia, e non necessariamente solo politici - che si comprende non abbiano altra linea economica che quella - che continuano a difendere questa linea. I più accorti però suggeriscono importanti correzioni, in modo da cercare di avviare un circuito virtuoso che sostituisca il vecchio e disastroso vizio di finanziare la crescita solo col debito. Alesina e Giavazzi più volte sul Corsera hanno suggerito un piano che preveda lo scambio che oggi, sostanzialmente, Polito ripropone nel suo intervento, "suggerendolo" a Renzi : scambiare con Bruxelles riforme con deroghe temporanee al limite di deficit fissato al 3%. In buona sostanza si tratterebbe di tagliare le tasse, soprattutto alle Imprese (ma non solo, che c'è poi bisogno che i prodotti delle prime poi ci sia qualcuno che abbia soldi per comprarli) in modo consistente, tipo 30 o 40.000 miliardi (!!), e proporre riforme con tagli alla spesa per una somma equivalente, MA da realizzare in un arco temporale di 5 anni. Durante questo lustro, sccome i tagli saranno inevitabilmente graduali mentre la riduzione delle tasse, ai fini dello stimolo alla crescita deve essere immediato, l'Europa ci deve consentire di sforare il deficit, dandoci fiducia che porteremo a termine il piano economico virtuoso : meno spese, meno tasse più sviluppo (e quindi, più entrate). Bello no ? Ma non deve essere semplice perché non si fa.
Allo stesso modo deve essere assai complicato anche procedere alle famose dismissioni di patrimonio pubblico per abbattere il debito. Fabrizio Barca propone una patrimoniale di 400 miliardi sui beni, mobili e immobili, degli italiani...Immagino che sia più semplice mettere le mani in tasca ai cittadini che complicarsi la vita con la vendita di beni pubblici male o per nulla utilizzati, che non è cosa agevole e soprattutto non è veloce. Invece, come Amato ben dimostrò nel 1992, basta una notte per rastrellare decine di miliardi al popolo bue.
Vedremo quale strada verrà scelta, ma un timore ce l'ho.
Lo scambio che Renzi può fare in Europa. Riforme contro aiuti agli investimenti"
Il Pd ha cambiato tutto in un anno, ma non la sua idea per uscire dalla crisi italiana: spera ancora nella clemenza dell’Europa per finanziare un po’ di crescita in deficit. Già durante la campagna elettorale Pier Luigi Bersani scommise su una svolta a sinistra: i socialdemocratici in Germania e i socialisti in Francia avrebbero consentito più spesa e garantito più debito. Ma il sogno di avere in mano il passero dei conti pubblici e sul tetto il piccione della crescita, per usare una metafora a lui cara, non si è realizzato. Una volta al governo, la Spd ha sottoscritto il rigore europeo di Angela Merkel, e François Hollande ha preso la strada «neo-liberale» di forti tagli alla spesa. Finora Matteo Renzi non ha dato segnali di aver appreso la lezione. Nella sua comunicazione è anzi riapparso, insieme con molti provvedimenti da finanziare con più spesa ordinaria, il proposito di violare il tabù del 3% di deficit, una specie di formula magica usata da tutti coloro che vorrebbero risolvere la crisi italiana sbattendo i pugni (quali?) sul tavolo di Bruxelles. C’è da sperare che non sia questo il programma del nuovo governo. Si tratta infatti di una via senza uscita. L’Italia ha troppo bisogno di negoziare un percorso più lento di riduzione del suo immane debito (fiscal compact ) per poter chiedere più deficit, che produce più debito. D’altro canto l’Europa sta per entrare in campagna elettorale, e di qui all’autunno, quando si insedieranno il nuovo presidente e la nuova Commissione, a Bruxelles non ci saranno neanche i tavoli dove sbattere i pugni. C’è però una terza via, tra l’ubbidienza e la ribellione, che il premier incaricato può seguire. Si basa su rigore in patria e politiche espansive su scala europea. Per non essere distruttivo, il rigore deve comportare una riforma della spesa pubblica, unico modo di liberare risorse nell’era del deficit zero. Intanto c’è da sperare che il cambio di governo non fermi i tagli «tecnici» della spending review di Carlo Cottarelli. Ma serve anche qualcosa di più politico: togliere a corporazioni e settori protetti per dare a imprese e lavoratori una drastica riduzione della pressione fiscale. È la via maestra della crescita, ma è anche la più difficile per un governo senza mandato elettorale: di solito viene imboccata da premier freschi di voto nei primi anni della legislatura, perché è impopolare e dà risultati solo a lungo termine. La seconda leva, è cioè un’azione a livello dell’eurozona, richiede invece di andare con le carte in regola al negoziato già in programma al Consiglio di ottobre. È possibile puntare a un contratto-scambio tra riforme strutturali e aiuti per progetti di investimento, da finanziare anche attraverso emissione di debito garantito a livello europeo: i cosiddetti project bond . È una partita che Renzi può giocare. Il Pd, aderendo tra qualche settimana al Pse, si appresta a chiedere agli italiani un voto alle europee per far eleggere un tedesco presidente della Commissione Ue: un vero azzardo politico di questi tempi. Ha dunque tutto il diritto di legare questo patto elettorale a una battaglia per ottenere a livello federale quello stimolo alla domanda che è illusorio e dannoso promettere da Palazzo Chigi.
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