Francamente mi sembra stanca la quotidianità politica di questi giorni. Gli annunci di Renzi continuano, ma sono ormai talmente tanti che la gente fa fatica a tenere il conto (magari è una strategia , così uno non si accorge se poi le tante promesse finiscono nel nulla...). E poi magari qualcuno si sarà anche reso conto che è inutile, che tanto, per distiguere il fumo dall'arrosto, tocca aspettare cosa resti di tanti proclami dopo i passaggi nelle commissioni parlamentari . In Aula no, che come TUTTI i governi della seconda repubblica, il Parlamento vero e proprio è solo un posto dove si schiacciano i pulsanti del voto di fiducia...
E quindi, come fu per la Fornero, anche il Jobs Act subisce il tritacarne della lobby sindacale e più sinistrorsa del PD, con la più probabile conseguenza che pure stavolta non solo la montagna partorirà il solito topolino, ma quest'ultimo sarà rachitico e inefficiente, quando non dannoso.
Non voglio nemmeno parlare degli 80 euro, che alla fine si stanno rivelando una delle più grandi marchette elettorali degli ultimi anni. Forse dobbiamo andare all'abolizione dell'ICI sulla prima casa, del 2008, per avere livelli di ruffianeria simili. In primo luogo, si è privilegiata una parte della popolazione (almeno l'ICI era per tutti) che, peraltro, pur non passandosela bene - sicuramente chi guadagna tra gli 11.000 e i 24.000 euro lordi, non è che ha da scialare - sta meglio di tanti altri ignorati e questo per vari motivi ripetuti da tanti :
1) intanto vanno ai dipendenti PUBBLICI. Vale a dire l'unica categoria oggi esistente in Italia che non solo ha un lavoro ma è anche certa che lo conserverà.
2) oltre allo stipendio, non ricco, ma almeno esistente, sicuro, sono persone che hanno coperture e prerogative tipiche del rapporto di lavoro dipendente : ferie, malattia, permessi di varia natura.
Insomma, questi miliardi, visto che si era deciso di spenderli, potevano essere destinati meglio, per l'Italia. Se invece si pensa al proprio elettorato, allora ha fatto bene.
In seconda battuta, come al solito, dopo la promessa che le risorse sarebbero state reperite da risparmi e tagli alla spesa pubblica superflua, senza nuove tasse, così non sarà. Poco meno di due miliardi deriveranno da un salasso fiscale alla Banche, soggetti che non stanno simpatici a nessuno, ma che sarebbe più utile pressare perché facessero bene il loro lavoro di prestatori di capitali alle imprese e alle famiglie, piuttosto che utilizzarle come nuove mucche da mungere. Poi il risparmio in generale, con vari tipi di imposte non solo sui guadagni finanziari (arrivato al 26%) ma anche sull'esistenza in sé (per ora, con l'imposta di bollo sui c/c ; in futuro, c'è sempre la patrimoniale nei sogni degli ex comunisti ).
Insomma, l'eterna, infinita caccia a NUOVI soldi, che la marea degli altri , prelevati con una tassazione insostenibile, ai vertici mondiali, sono incorreggibilmente già destinati.
In tutto questo scenario desolante, la manfrina dell'NCD di Alfano non convince. E' chiaro che si agita per motivi elettorali (perché Renzi non lo fa ? Solo quello ha mostrato di saper fare finora !!!!).
Alfano e i suoi devono superare la convinzione di tanti che siano solo dei traditori, gente che si è venduta per rimanere incollata alla poltrona, e che per 30 denari porta i voti necessari al Senato per tenere in piedi la maggioranza. Per smentire questa convinzione, come possono votare come soldati qualsivoglia parto del PD, specie quando questo è fortemente determinato dalla peggiore sinistra ?
Allora si agitano. Renzi, che è insofferente di natura, li zittisce subito col voto di fiducia e fine dei giochi.
Da qualche parte ho letto che vogliono aspettare le europee per alzare la posta...E chi ci crede ? Se i sondaggi verranno rispettati, dopo maggio Renzino si sentirà più forte, che se ha rotto così tanto le palle con il voto dele primarie figuriamoci se alle europee fa il botto e supera il 33% di Veltroni (ma gli andrà benissimo anche raggiungerlo, dopo la botta di febbraio 2013). A quel punto che faranno gli sherpa di NCD e Scelta Civica ?
No, l'unica vera opposizione Renzi ce l'ha in casa, e questo perché anche i furbi poi, per la fretta, a volte si trovano in difficoltà. E così nemmeno le elezioni europee cambieranno una maggioranza parlamentare dove gli ex bersaniani e dalemiani sono forti, grazie all'infornata del 2013. Alla dittatura nel partito non corrisponde un potere altrettanto forte alle Camere.
Per superare questo impasse Renzi dovrà vincere le politiche, ma prima vuole sistemare la questione del Senato.
E qui, come scrive la Gualmini su La Stampa, avrà bisogno di un miracolo.
Per il Senato ci vorrà un miracolo
Al momento del cambio a Palazzo Chigi, sia il nuovo centrodestra di Alfano sia la sinistra post-bersaniana del Pd hanno festeggiato (pur senza applaudire), perché Renzi garantiva una zattera di salvataggio alla legislatura. Non ci hanno pensato un attimo a scaricare Letta in cambio di un po’ di ossigeno.
Ma ora che Renzi detta l’agenda, su una sua linea molto netta, rischiano di scomparire: i primi, palesemente, alle elezioni europee e i secondi, senza che nessuno se ne accorga, dentro al Pd. Hanno quindi un ovvio bisogno di comunicare ai rispettivi constituencies la loro esistenza in vita e un punto di vista che li distingua, senza poter mettere d’altro canto in discussione il governo. Perché, è ovvio che, caduto Matteo, non resterebbe che tornare al voto. E allora sì, che rischierebbero di rimanere davvero senza fiato!
Questa «naturale» dinamica di un governo di coalizione, in Italia si svolge secondo le liturgie e i canoni del nostro scombinato assetto istituzionale. Con un Parlamento caotico, poco autorevole e vociferante che si è già abituato da un bel pezzo al gioco delle parti che prevede la moltiplicazione degli emendamenti civetta, senza speranze, presentati per parlare a segmenti organizzati dell’elettorato, in attesa che il governo tolga tutti dall’imbarazzo con il ricorso alla fiducia.
Da questo punto di vista, niente di nuovo sotto il sole. A meno che le due questioni oggi in ballo non aprano una crepa o non creino un alibi, dopo le Europee, per una rottura.
Quindi entrando nel merito della prima questione – il lavoro – siamo al solito conflitto divisivo tra difensori della flessibilità e i paladini delle garanzie a tutti i costi (un teatrino che va in scena da quasi vent’anni, dal Pacchetto Treu in avanti). Che tuttavia dà esiti molto deludenti, provvedimenti zoppi e annacquati senza alcun impatto di tipo strutturale. Come il decreto legge su cui ieri Renzi ha messo la fiducia dopo il compromesso raggiunto con la minoranza Pd. L’ennesimo (e modesto) maquillage alle regole sui contratti di impiego (diminuzione delle proroghe per i contratti a termine e più vincoli all’uso dell’apprendistato) che, sia nella formulazione originaria sia in quella addomesticata di ieri, non avrà un grande effetto sulla creazione di posti di lavoro.
La crepa sulla riforma del Senato è ancora più insidiosa. Perché su questo punto Renzi ha realmente innovato rispetto a tutte le proposte precedenti, le quali partivano dall’assunto di conservare due distinti corpi di parlamentari eletti, e di conseguenza una doppia filiera di incarichi e strutture burocratiche: il vero costo finanziario e decisionale del bicameralismo. E’ sempre stato un assunto non detto ma rigorosamente intoccabile, da cui discendeva poi, di conseguenza, la necessità di dare al Senato un ruolo, se non identico, equipollente a quello della Camera, finendo per costruire architetture ancora più bizantine dell’attuale. Gli oppositori interni di Renzi, da ultimo il senatore Chiti, mentre enunciano grandi principi, si appendono in realtà a questa consolidata resistenza corporativa e si sono infilati nella consueta traiettoria. Con il Movimento 5 Stelle che, messo in difficoltà ormai ogni giorno dall’antipolitica di Renzi, non può che andare a sposare una battaglia di retroguardia. Ma il mancato superamento del bicameralismo, al di là della sua intrinseca irragionevolezza, si porterebbe dietro anche l’inapplicabilità o l’inutilità dell’Italicum. Perché un Senato eletto (magari con la proporzionale) verrebbe sicuramente dotato di poteri in grado di intralciare il percorso del governo, che abbia o no formalmente il potere di votare la fiducia.
Quindi, sul lavoro Renzi può anche muoversi come hanno già fatto quasi tutti i governi degli ultimi anni. La rivoluzione «gigantesca» che ogni giorno ci promette, nel caso che qualcuno si distragga, non passerà da lì. Non sarà per lui o per il ritocco all’impianto giuridico che ripartirà il mercato del lavoro. Sul Senato invece si gioca la partita della vita, del suo governo e dei governi delle prossime legislature. Qui sì, pensandoci meglio, il miracolo ci vorrebbe davvero.
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