domenica 11 maggio 2014

EUROPEE E I VOTI IN LIBERA USCITA DI ANDREOTTIANA MEMORIA



Nella Prima Repubblica era pressoché costante il diverso andamento delle elezioni politiche da quelle amministrative, specie comunali. Nelle prime, la Democrazia Cristiana confermava sempre il suo primato, nelle seconde il PCI, ma anche gli altri partiti, crescevano. "Voti in libera uscita" li definiva quell'istrione cinico ma acuto di Andreotti, e tali si rivelavano.
La cosa parzialmente si è ripetuta nella seconda repubblica, con Berlusconi molto più bravo nelle elezioni politiche rispetto alle altre. La ragione è palese, specie in un paese dove il centralismo statale è stato lungamente dominante e tuttora il localismo funziona relativamente e spesso male. 
E' quindi nelle consultazioni politiche che la gente si mobilita di più, e il voto è maggiormente influenzato dagli interessi personali, per i quali ben si può decidere di "turarsi il naso". 
Votare idealmente, come ha fatto quasi sempre chi scrive, da ultimo lo scorso febbraio votando FARE, speso significa sacrificare il proprio voto, che si rivela ininfluente se non peggio . Giannino si è vantato molto di aver tolto qualche centinaia di migliaia di voti che avrebbero significato il clamoroso sorpasso del centrodestra sulla Sinistra...francamente non condivido questo suo pensiero, tanto più che si trattava di una coalizione PD-Sel guidata da Bersani...già magari oggi, con Renzi meno radicato a gauche, sarebbe diverso .
La differenza della natura delle elezioni, e quindi l'erroneità di trasferire automaticamente i voti espressi in una competizione ad un'altra, viene ribadita dal professor Angelo Panebianco nel suo editoriale odierno sul Corriere della Sera.
I sondaggisti prevedono facilmente un alto grado di astensione, che se toccasse veramente i livelli pronosticati, vedrebbe percentuali "drogate" rispetto al voto delle ultime politiche. E così all'eventuale raggiungimento o sorpasso del 33% veltroniano da parte del PD, non corrisponderebbe un aumento dei voti effettivi. E parimenti  Grillo, ripetendo o addirittura superando il 25% del 2013, si ritroverebbe con meno degli 8 e passa milioni di voti di allora. 
Questi voti, finiti in frigorifero, tornerebbero, in parte, alle politiche e muterebbero decisamente l'attuale prospettiva che vede, nel sistema proporzionale puro delle europee, il PD largamente primo e Grillo secondo, con distanziata nettamente Forza Italia. 
Ecco, immaginare questo esito riproporsi automaticamente in una consultazione politica nazionale sarebbe sbagliato, a meno che effettivamente non si produca la da tempo pronosticata implosione del partito di Berlusconi, con conseguente incapacità-impossibilità dei vari gruppi di centro destra di coalizzarsi utilmente, privi ormai di un riferimento aggregatore forte. 
Se accadesse questo, in Italia si riproporrebbe quel bipartitismo imperfetto che caratterizzò 50 anni di maggioranza democristiana, col PCI eternamente all'opposizione. 
Uno scenario decisamente deprimente per noi liberali. 
 


Troppi voti in frigorifero
 
Il sospetto è che diverse persone abbiano cominciato da qualche tempo ad accarezzare l’idea che sia possibile ricostituire in Italia il «bipartitismo imperfetto». La formula fu coniata nel secolo scorso dal politologo Giorgio Galli. Descriveva la democrazia senza alternanza, con un partito dominante inamovibile e una fortissima opposizione anti-sistema, che fu propria del Paese per tutto il periodo della Guerra fredda.
Consideriamo due ipotesi, una plausibile e una molto meno. L’ipotesi plausibile è che alle elezioni europee di maggio il Pd risulti il primo partito e i 5 Stelle si collochino al secondo posto superando di parecchio Forza Italia. Si noti che, al momento, è solo un’ipotesi plausibile. I sondaggi vanno presi con le molle e, inoltre, è nota la capacità di Berlusconi di fare grandi rimonte partendo da una posizione di svantaggio. Per giunta, non è detto, contrariamente a ciò che molti pensano, che le nuove inchieste sulla corruzione debbano per forza tradursi, al momento del voto, in ulteriori consensi per Beppe Grillo. Comunque, soprattutto in presenza di un elevato astensionismo — che è la norma nelle elezioni europee —, è possibile, e forse anche probabile, che il risultato indicato dai sondaggi (Pd primo, 5 Stelle secondo) si realizzi.
La seconda ipotesi è che alle elezioni politiche successive (tra un anno o quando saranno) ci sia la replica: ancora una volta il Pd primo e i 5 Stelle secondi. A grande distanza da tutti i rimanenti partiti. Questa, a differenza della prima, non è affatto un’ipotesi probabile. Perché le elezioni politiche nazionali sono assai diverse da quelle europee: nelle Politiche, il grosso degli elettori ha idee chiare su quale sia la posta in gioco e, in più, la maggior parte di loro vota con un occhio al portafogli. Sono due condizioni che non si danno nelle elezioni europee. Il che ne spiega gli altissimi tassi di astensione e il fatto che molti elettori votino «in libertà», in modo difforme da come fanno nelle elezioni politiche. Un’eventuale replica alle Politiche dei risultati delle Europee è, per lo meno, improbabile.
Ma, ancorché improbabile, si tratta di uno scenario che va preso in considerazione. Se non altro, per esorcizzarlo. Potrebbe realizzarsi solo se il centrodestra, incapace di risolvere il problema della successione a Berlusconi, si spappolasse definitivamente. Un esito che potrebbe essere favorito anche da una nuova sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Se fossimo costretti a votare con un sistema proporzionale puro, il centrodestra non riuscirebbe a ricompattarsi, non potrebbe formare una coalizione elettorale.
Con una destra polverizzata, resterebbero in campo solo il Pd e i 5 Stelle.

Il Pd si troverebbe nella condizione (paradossale, data la sua origine storica) di diventare la «diga»
(contro Grillo) sulla quale finirebbe per convergere, sommando i propri voti a quelli della sinistra tradizionale, anche il grosso dell’elettorato di centrodestra.
Si ricostituirebbe, in forme inedite, il bipartitismo imperfetto. Il Pd governerebbe senza alternative e senza troppa paura di perdere le elezioni successive. Ottimo per il Pd, pessimo per il Paese. Così come, ai suoi tempi, per quasi un cinquantennio, fu ottimo per la Dc, perché ne garantì inamovibilità e predominio, ma pessimo per il Paese, il fatto che la più forte opposizione fosse un partito antisistema
(percepito come tale dal grosso degli elettori).
Chi spera che la leadership di Matteo Renzi serva a fare del Pd il nuovo partito dominante, forse non guarda con preoccupazione all’annunciato successo dei 5 Stelle. Ma non calcola che, nelle condizioni turbolente del XXI Secolo, un nuovo bipartitismo imperfetto porterebbe presto al disastro la democrazia.
Quali che saranno i risultati delle elezioni europee, lo scenario del bipartitismo imperfetto resta poco probabile.
Ma per essere certi di scongiurarlo abbiamo bisogno di riforme serie, della Costituzione come del metodo di voto. I pasticci, invece, hanno il potere di rendere possibile ciò che pareva improbabile. 

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