giovedì 24 luglio 2014

STAMINA : PERCHE' I GIUDICI SI SOSTITUISCONO AI DOTTORI ? PERCHE' " 'O POSSONO FA"


Con Sergio Romano non sono sempre d'accordo, direi che accade una volta su due, poco di più. Però la sua rubrica di posta coi lettori la guardo sempre, per vedere l'argomento trattato, e spesso mi persuado di leggerla.
Su un aspetto sicuramente ci troviamo sulla stessa linea : contestiamo la tracimazione sempre più frequente dei magistrati dal loro alveo istituzionale. Stavolta la questione è l'applicazione o meno del metodo Stamina, che ha già riempito faldoni di polemiche. 
Il lettore pone benissimo il problema. E Romano risponde con una interessante divagazione storica che dimostra come, dato un potere, la tentazione dei detentori di estenderlo oltre i confini iniziali è irresistibile.


SE I GIUDICI FANNO I DOTTORI 
STORIE DI MEDICINA ITALIANA 
Il 12 luglio un’ordinanza del Tribunale dell’Aquila ha imposto che una bimba di 2 anni tornasse a essere sottoposta a infusioni del metodo Stamina. Si tratta dell’ultima di una serie di ordinanze che si sono espresse in modo simile. Ma quale legge attribuisce a un giudice il potere di curare un ammalato con metodologie non riconosciute dalla scienza medica? È giusto che un simile enorme potere sia scevro da responsabilità? 

Pietro Volpi

 
Caro Volpi,
C ercherò di risponderle servendomi degli studi di Carlo Cipolla, uno dei più geniali storici economici della seconda metà del Novecento. Dopo avere scritto libri su temi poco convenzionali come l’influenza degli orologi sulla vita sociale del tardo Medioevo, Cipolla studiò a lungo la peste e le misure adottate nel XVI e nel XVII secolo per combatterla e, soprattutto, prevenirla in città dell’Italia settentrionale e nel Granducato di Toscana. Con parecchi anni d’anticipo sugli Stati dell’Europa centro-settentrionale furono istituite speciali magistrature che avevano in materia sanitaria competenze legislative, giudiziarie ed esecutive. In una serie di conferenze pronunciate all’Università del Wisconsin nel settembre 1978, Cipolla spiegò che questi magistrati della Sanità allargarono progressivamente la sfera delle loro prerogative sino a occuparsi di funerali, sepoltura dei morti, trattamento dei beni alimentari, sistemi fognari, ospedali, locande, prostituzione. La frontiera della buona sanità giungeva sino alla Toscana meridionale. A Roma i funzionari della Sanità venivano nominati soltanto quando vi erano sospetti d’epidemia; a Napoli vi erano strutture sottosviluppate caratterizzate da corruzione e inefficienza.
Col passare del tempo, tuttavia, i magistrati della Sanità divennero sempre più rigorosi e quindi spesso invisi alle popolazioni. Ordinavano l’isolamento dei malati e dei loro familiari, la chiusura dei mercati, la distruzione di tutto ciò che poteva essere contaminato, la requisizione dei monasteri da usarsi come ospedali. Erano misure molto utili, ma accadeva anche che certe decisioni, in parecchi casi, finissero per collidere con i criteri e i metodi dei medici. Cipolla ricorda, a questo proposito, un episodio interessante. Quando la Sicilia fu colpita da una influenza epidemica nel 1557, il dottor G. F. Ingrassia inviò all’amministrazione di Palermo questa comunicazione:
«Le vostre Signorie non dovrebbero pretendere da noi medici informazioni sulle nostre terapie perché la responsabilità di fornirle al singolo paziente è soltanto nostra; ciò che le Signorie possono pretendere da noi è una consulenza sul modo migliore di rendere un servizio alla collettività»

In altre parole, osservò Cipolla, la terapia doveva riguardare soltanto il medico, che ne era responsabile di fronte al paziente, mentre i magistrati della sanità dovevano provvedere soltanto alla prevenzione nell’interesse della collettività.

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