AI tempi dell'insediamento dell'unto del Colle (Mario Monti, qualcuno ricorda costui ? era il salvatore dell'Italia...adesso ne abbiamo un altro...), Abete, già presidente di Confindustria, disse in una trasmisisone televisiva una cosa saggia : signori, qui c'è bisogna di fare due cose, e di farle insieme : tagliare le spese e recuperare l'evazione fiscale. Vanno fatte INSIEME, contemporaneamente, in modo che non ci sia il solito rimpallo delle due parti in campo (la sinistra che chiede il cappio agli evasori, la destra che tuona contro l'assistenzialismo becero e lo spreco dei denari pubblici). In realtà, spiegava ancora l'ex presidente, in materia fiscale c'è bisogno di una riforma globale, copernicana, che semplifichi il sistema, riduca l'imposizione e la riscuota. Promulgata una legge siffatta, sarebbe lecito varare un condono fiscale generale, con il messaggio preciso : da domani il sistema cambia, e nel cambiamento, l'equità e l' efficienza riguarderanno anche la riscossione; per il passato, versa X e ci mettiamo una pietra sopra.
Abete sapeva benisismo di fare un discorso politically incorrect, ma di fronte ad un debito pubblico come il nostro, l'idea di recuperare velocemente un tesoretto dall'evasione nel mentre si introduce un fisco diverso, suonava bene.
E' un po' come quando in molti ammettono amnistia e condono ma solo DOPO la riforma della giustizia, che dovrebbe creare i presupposti per cui di quei provvedimenti, che sono una sconfitta dello Stato, non si debba poi più parlare.
Insomma una "ultima volta" resa credibile dal cambiamento radicale del sistema sottostante.
Pensavo queste cose leggendo l'intervista della Orlandi, nuovo capo dell'Agenzia delle Entrate al posto di Befera ( alla fine se ne vanno...), che con chiarezza e sincerità parlava di 600 miliardi accertati come dovuti all'erario ma di fatto non recuperabili, perché somme vecchie, molte irrecuperabili, comunque a rischio prescrizione (naturalmente anche la Orlandi chiede di allungare i tempi...5 anni le sembrano pochi...Eppure qui l'interruzione dei termini c'è ! ). Meglio quindi concentrarsi sull'evasione "fresca", recente.
Il discorso, pragmaticamente, non farebbe una piega, ma a quel punto, invece di un condono di fatto, dal quale lo Stato e la collettività non ricaverebbero nulla, non sarebbe meglio tornare all'idea di Abete ?
Ne parla, senza false ipocrisie, Davide Giacalone nel suo post odierno, nel quale tra l'altro, facendo degli utili conti della serva, spiega come quei 600 miliardi sono tali solo nelle carte dell'Agenzia, ché la realtà è poi un tantino diversa.
Buona Lettura
Conti d’evasione
Sono anni che contestiamo l’irragionevolezza dei dati sull’evasione fiscale, diffusi dall’Agenzia delle entrate. Da anni ripetiamo che non ha senso aizzare l’opinione pubblica contro un’evasione non recuperabile, contestando 100 e portando a casa 10. Ora che la nuova direttrice dell’Agenzia, Rossella Orlandi, ci conforta con la sua convergente opinione, però, non vorremmo s’eccedesse. Non possiamo semplicemente scordarci il passato, lasciando che chi ha evaso il fisco la faccia franca e non sborsi un tallero. Vediamo, allora, in quale contesto la parolaccia potrebbe non essere una bestemmia. Mi riferisco al condono.
Proviamo a dare una qualche dimensione quantitativa. L’anno scorso l’Agenzia rese noto, e i mezzi di comunicazione acriticamente strillarono, che dal 2000 al 2012 si erano accumulati 807,7 miliardi che sarebbero dovuti andare al fisco e che, invece, mancavano all’appello. Un’evasione pazzesca. Se la si recuperasse il debito pubblico sarebbe ricondotto al di sotto di ogni soglia del pericolo. Facemmo i conti, a spanne, basandoci sui dati della stessa Agenzia: da quella montagna si dovevano togliere 193,1 miliardi, perché i contribuenti interessati avevano già dimostrato di non doverli; 69,1 erano stati pagati; 20,8 erano ancora in contestazione. Già si scendeva da 807,7 a 524,7. Da quelli si dovevano togliere altri 107 miliardi, perché dovuti da soggetti falliti, quindi a decidere sarebbero dovuti essere i giudici fallimentari, escludendosi le normali procedure di recupero. 19 miliardi erano già stati rateizzati, quindi in corso di riscossione. Da 807,7 si passava a 398,7. Che non è la stessa cosa. Era un conto della serva, ma utile a capire. A questo si aggiunga che una fetta assai rilevante di quel gettito mancante era ed è composto da sanzioni: il contribuente che non aveva pagato (o si supponeva non lo avesse fatto secondo il dovuto) veniva gravato di ulteriori oneri. Il che, forse, risponde a una logica di presunta equità, ma non è molto logico sperare che chi non ha dato 100 dia 200. Dato tutto ciò, che si fa, ora, si molla la presa e ci si dedica agli evasori più freschi e perseguibili? La si può considerare una scelta pragmatica, ma non giusta.
Il Parlamento ha già approvato la delega fiscale. Tocca al governo provvedere al riordino della materia. Posto che l’obiettivo principale deve essere quello di far scendere la pressione fiscale, perché di tasse ne paghiamo troppe e il terrore (fondato) della loro crescita è la principale causa della mancata ripresa dei consumi, e posto che il secondo obiettivo è quello di avere un fisco che non agisca da despota svincolato dalle leggi, talché prima prende e poi ascolta la contestazione, degno compare di uno Stato che pretende d’incassare ma continua a non pagare, posto tutto ciò, una volta provveduto ai decreti delegati e riformato il fisco, ci può anche stare che si chiuda il passato con un condono. Lo so: fa schifo. Ripugna anche a me che lo scrivo. Ma agli evasori veri è meglio togliere qualche cosa, piuttosto che continuare a far bau bau. Anche perché quel cane è feroce con chi evade per necessità, ma sdentato contro chi lo fa con voluttà.
Tanto più che sono già due i ministri in carica che, interrogati sulla possibile manovra autunnale, rispondono: Pier Carlo Padoan la esclude e noi ci fidiamo di lui. Prima Marianna Madia e poi Maurizio Martina. Lasciamo perdere che ai due deve essere sfuggito che il Consiglio dei ministri è un organo collegiale, e prima di giurarci sopra la Costituzione potrebbe anche essere letta, ma le loro parole significano una cosa precisa: il governo non ha collegialmente discusso dei conti, chiarendo a tutti i ministri in quali condizioni reali si trovano, sicché loro, in mancanza di numeri, si affidano alla fede. Con un pizzico di viltà: perché Padoan ha ripetutamente segnalato che ci sono dei problemi, quindi la garanzia che non ci saranno manovre è da intestarsi al capo del governo, Matteo Renzi.
Non è né piacevole né produttivo mettersi a fare i rompiscatole. Tanto più che il conto lo pagheremo tutti. Ma puntare sulla furbizia e l’arte del maneggio non è saggio. Il Paese ha bisogno di un’operazione verità. Abbiamo la forza di rimediare a conti squilibrati, ma ce la giocheremo e la neutralizzeremo se continuiamo a prenderci in giro da soli, strizzando l’occhio a qualche fetta di elettorato. Tanto più che una parte degli italiani adora farsi prendere in giro, campando alle spalle dell’altra. La forza ce la giochiamo, se lanciamo una chiamata autarchica contro le istituzioni europee, chiedendo a Mario Draghi di farsi gli affari suoi, come se la riduzione dello spread e il minor costo del debito lo dovessimo a qualche politica di risanamento e riduzione e non all’intervento della Bce.
Operazione verità, quindi. Sui conti e sul fisco. La direttrice dell’Agenzia ha dimostrato che vedevamo bene nel contestare quelle declamazioni propagandistiche (e ha maliziosamente aggiunto che un funzionario non usa la propria posizione per pavoneggiarsi, chissà che al predecessore siano fischiate le orecchie). Ma servono fatti, quantificabili e incolonnabili.
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