lunedì 8 settembre 2014

ALBERTO STASI E QUEI GRAFFI IGNORATI SETTE ANNI FA


Mi fa piacere, naturalmente, leggere le mie stesse perplessità ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/omicidio-garlasco-dopo-sette-anni-ci.html   ) sul nuovo "colpo di scena" dell'omicidio di Garlasco, con i graffi esistenti sul braccio di Alberto Stasi all'epoca del delitto di Chiara Poggi,  su cui nessuno indagò al tempo, e che a distanza di sette anni invece diventano ennesimo indizio importante. 
Sette anni....
Giusi Fasano, sul Corsera, evoca giustamente il gioco dell'oca, e si capisce un po' di più perché agli inquirenti non piace la prescrizione. In reati come questi peraltro non c'è, ma in generale loro gradiscono  un sistema dove possono cercare all'infinito, che non si sa mai che un nuovo sistema peritale, una neonata tecnica pseudoscientifica, gli venga in soccorso per "inchiodare" il (loro) colpevole. 
Come spesso mi accade in questi casi, finisco per augurarmi che Alberto Stasi, da sempre l'UNICO indagato di questo omicidio, sia effettivamente colpevole. Almeno l'odissea che sta vivendo da sette anni, e altri ne dovranno passare, che dopo l'appello ci sarà, comunque vada, una nuova Cassazione, sarà stata meritata. 
Ma in caso contrario ?

I nuovi Indizi nel caso Garlasco 
 e le Indagini che non finiscono mai



Come in un grottesco gioco dell’oca: siamo di nuovo alla casella di partenza. Il caso Garlasco riparte dall’ennesimo colpo di scena. Un processo di primo grado, un appello, la Cassazione, un appello bis in corso, infinite varietà di consulenze, perizie, accertamenti tecnici di ogni genere e ora che succede? Si scopre che in sette anni nessuno ha mai notato due fotografie dell’avambraccio sinistro di Alberto Stasi, l’unico da sempre sotto accusa per l’omicidio della sua fidanzata, Chiara Poggi, uccisa a colpi in testa la mattina del 13 agosto del 2007 nella sua villetta di Garlasco.
A volerla immaginare, la scena in caserma è più o meno questa: i carabinieri della stazione di Garlasco notano due piccoli segni sull’avambraccio di Alberto, li fotografano e gli chiedono come se li è procurati. L’abc di un’inchiesta. Lui dice che è stato il suo cane, la sera prima. Peccato che nessuno verbalizza la sua spiegazione, ritenuta evidentemente più che convincente. Non sarebbe stato meglio puntualizzare? Scattare immagini nitide dei due segni invece che del braccio intero? Anche a garanzia di Alberto, ovviamente: per poter eventualmente escludere che fossero i segni di una colluttazione. Non si mise a verbale niente, spiega ora un carabiniere presente all’epoca, «perché l’importante era partire dalla vittima e scoprire se sotto le unghie della vittima c’era il Dna del sospettato, non fare il percorso inverso».
Sarà. Ma allora parliamo del Dna sotto le unghie: analisi fatte, risultato zero. Salvo disporre, sempre dopo sette anni, un tipo di accertamento differente (non più sotto ma sull’intera superficie delle unghie) che rivela stavolta la presenza di cromosoma Y, quello maschile. Ma se anche risultasse con certezza che quel Dna è di Alberto (e già questo sembra sia difficile), collegarlo ai segni sul braccio e a un’ipotetica difesa di Chiara non sarà semplice: perché, appunto, chi ha visto le fotografie dei graffi le definisce «poco chiare» e perché Alberto era il suo fidanzato e quindi si possono ipotizzare anche contatti intimi in grado di lasciare tracce sulle unghie.
Quindi siamo tornati alla casella di partenza. Nel senso che, dopo sette anni, stiamo ragionando ancora una volta su dettagli che potevano entrare in scena fin dal primo giorno.
Giusi Fasano

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