venerdì 31 ottobre 2014

LA FED VERSO LA NORMALIZZAZIONE : BASTA QE E POSSIBILE RIALZI DEI TASSI. MA LORO SI CHE SONO FUORI DAL TUNNEL



Credo che i miei amici lettori più esperti di cose economiche apprezzeranno la lucida, e come sempre infarcita di piacevole leggerezza ironica, analisi che Alessandro Fugnoli fornisce in merito ai nuovi messaggi provenienti dalla FED americana.
Signori, il pronto soccorso veramente chiude, e inizia l'ora di ricamminare di più con le proprie gambe.
Quindi basta QE, i dollari lanciati dall'elicottero di Bernanke, e presto anche i tassi risaliranno per uscire dal sottoscala dove sono stati messi per dare ossigeno all'economia americana, farla ripartire, e con essa l'occupazione, dopo la grande crisi iniziata nel 2007-2008.
Mi viene da pensare che adesso la Merkel e i suoi diranno : ecco, vedete, anche gli americani chiudono i rubinetti....Bè, un po' truffaldina come tesi, visto che per oltre un lustro li hanno tenuti SPALANCATI, laddove l'Europa tedesca si è mostrata assai arcigna e severa, da questo punto di vista.
Gli americani cercano un ritorno alla normalità finanziaria dopo aver visto un'economia reale che dà segni abbastanza costanti di buona salute. In Europa non stiamo decisamente nella stessa situazione.
Il PIL americano sta oltre il 3%, la disoccupazione al 6, in Europa questi livelli, specie il primo, anche la Germania se li sogna (noi e altri stiamo col segno meno, figuriamoci...).
Viceversa, se questo ritorno all'ortodossia avverrà senza scompensi, la ricetta americana, con tutti i suoi QE e congelamento dei tassi, si sarà rivelata quella giusta. E quella euro tedesca di conseguenza sarà stata ed è quella sbagliata.
Buona Lettura 




ORFANI O EMANCIPATI?  

Musica nuova da una Fed finalmente grintosa
 

Basta con la Fed lamentosa, iperprotettiva e mammona della Yellen. Basta con il mantra della ripresa fragile, degli occupati che in realtà hanno un lavoro finto, dell’inflazione troppo bassa e di un’economia bisognosa di Quantitative easing semipermanente e di tassi mantenuti a zero per l’eternità, ogni volta con una scusa diversa. Saremo maliziosi, ma nella svolta della Fed e nella sua nuova musica, brillante e grintosa senza essere falchesca, vediamo stagliarsi sullo sfondo Stanley Fischer, il vicegovernatore che Obama ha voluto al fianco della Yellen (che gli è stata imposta dalla sinistra del partito democratico). Il settantunenne Fischer, il professore che ha allevato la metà dei banchieri centrali d’Occidente, lo studioso che non è solo un accademico e che ha dato eccellente prova di sé da governatore della Banca d’Israele, è probabilmente l’unico, nel direttorio della Fed, ad avere la sicurezza di sé necessaria per sganciarsi dalla melassa emergenziale e buonista degli ultimi 14 mesi (calcolati dal momento in cui Bernanke ha fatto marcia indietro sul tapering nel settembre 2013) e lanciarsi sulla strada della normalizzazione. Sia come sia, a un mercato che era abituato ai Fomc che servivano zuccherini a sorpresa e che anche questa volta si aspettava un comunicato in cui la fine del Qe veniva avvolta tra mille cuscini soffici e morbidi, è stata invece servita l’idea che l’inflazione sarà bassa solo temporaneamente e che il mercato del lavoro è ben più forte di quanto non ci si era raccontati. Non bastasse, non una parola è stata dedicata a piangere sulla difficile situazione di altre aree del mondo, a partire dalla nostra.
Insomma, cari mercati, non solo vi ritiriamo il Qe, ma ci riserviamo di alzare i tassi quando sarà il momento. Poiché non siamo falchi vi lasceremo ancora qualche mese di tempo (da due mesi a due anni, ha detto Fischer nei giorni scorsi, ironico ma non troppo) ma toglietevi per favore dalla testa quell’idea balzana che abbiamo cominciato a sentire in giro, quella che dice che i tassi, con una scusa o con l’altra, non li alzeremo mai. Che cosa può avere indotto la Fed a questa svolta, che non è solo di linguaggio? Il primo elemento è che effettivamente il mercato del lavoro è più tirato di quanto non si era pensato. I disoccupati calano velocemente e cresce il numero dei settori in cui per trovare personale qualificato bisogna cominciare a pagarlo di più. Questa non è una buona notizia, né per i bond né per l’azionario. Significa infatti che la vita residua dell’espansione americana è più breve di quanto credevamo. Più breve non significa però brevissima. La crescita potrà proseguire ancora per un periodo lungo (magari non i dieci anni su cui alcuni hanno fantasticato), ma i tassi reali, almeno in America, dovranno cessare di essere negativi e portarsi a zero. Con un’inflazione pervista al 2 per cento nel 2016 questo vuole dire Fed Funds sullo stesso livello. Il secondo elemento è che il mercato deve smetterla di essere ancora più colomba di una Fed già ultraespansiva. Mentre la Fed, nell’ultimo periodo, ha fatto intendere che la metà del 2015 potrebbe essere il momento giusto per iniziare ad alzare i tassi, i futures dei Fed Funds hanno continuato a prezzare Vogliamo potere alzare i tassi in qualsiasi momento, ci sta dicendo il Fomc, e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un mercato che si faccia prendere in contropiede e si abbandoni al panico, come abbiamo visto succedere nell’estate del 2013. Per cui svegliatevi, per favore, e organizzatevi per tempo. Basta, insomma, con i corsi teorici su come sopravvivere nell’acqua bagnata dei tassi sopra zero. Basta con l’ipotesi di farvi immergere il primo mese con l’alluce, il secondo con il piede, il terzo fino alle ginocchia e così via, con l’assistente sociale che vi tiene per mano e lo psicologo che vi fornisce il dovuto supporto. A un certo punto vi butteremo in acqua e basta. Ormai siete grandi e dovrete almeno provare a cavarvela da soli. Il terzo elemento è il petrolio. Mentre i mercati ne leggono la discesa come segno della debolezza della domanda, la Fed vede probabilmente il grande shock positivo da offerta, che equivale a un consistente taglio delle imposte sui consumi. Si noti che la discesa a 80 dollari non ha finora indotto nessuno a diminuire la produzione. Le case americane hanno in larga misura confermato i loro programmi di espansione della loro attività. Con l’energia a buon mercato a perdita d’occhio cresce lo spazio di manovra per la normalizzazione dei tassi.
Il quarto elemento che può spiegare la svolta della Fed è che per aiutare davvero la malandatissima Europa non bisogna più fare le colombe a oltranza. Una Fed lamentosa che continua a rinviare il rialzo dei tassi frena il rafforzamento del dollaro e rischia addirittura di indebolirlo. Per avere un euro debole Draghi ha infatti bisogno di una Fed che alzi i tassi (o minacci credibilmente di farlo) e attiri in questo modo capitali da tutto il resto del mondo, Eurolandia in primo luogo. La reazione dei mercati, dopo il disappunto iniziale, è stata tutto sommato costruttiva. Il dollaro, che era pronto a indebolirsi, si è subito rafforzato. La borsa ha provato a scendere e a fare i capricci. È del resto una borsa viziata da anni di Qe, di tassi a zero e di continue coccole verbali. In seguito ha prevalso la considerazione che se la Fed parla in questo modo è perché pensa davvero che la crescita americana sia solida.

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