martedì 4 novembre 2014

OGGI 4 NOVEMBRE. VITTORIO VENETO E LA FINE DELLA GRANDE GUERRA SCOPPIATA 100 ANNI FA


Quando iniziai la scuola elementare, il 4 novembre era ancora festa nazionale : si celebrava Vittorio Veneto, il nostro esercito che sconfiggeva gli austriaci, vendicando Caporetto. A dire la verità non sono sicuro che il fatto che fosse festa non fosse più dovuto  a San Francesco d'Assisi, patrono d'Italia. Visto che l'8 dicembre è rimasto come festivo, ed è una ricorrenza religiosa (l' Immacolata), così come il 26 dicembre (santo Stefano) e il Lunedì dopo Pasqua, mi viene da pensare che sulla festività del 4 novembre pesasse più il Santo che la celebrazione delle forze armate vittoriose. 
Comunque fu eliminata. In compenso abbiamo tenuto il 25 aprile, che qualche perplessità in molti (tra cui lo scrivente) la suscita, e non per motivi nostalgici, ma perché se dobbiamo celebrare la caduta del fascismo, come regime imperante in Italia, allora la data è quella del 25 luglio, mentre il 25 aprile è si la fine di una guerra tragica, ma pur sempre una guerra persa. Non è che la lotta contro i nazisti dopo l'8 settembre 1943 ci ha poi consentito di sedere al tavolo della pace dal lato dei paesi vittoriosi...
E quando De Gasperi, alla conferenza di Pace di Parigi, nel 1946, prese la parola, esordì  così  : " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
Tornando però al 4 novembre, mi piace che qualcuno lo ricordi ancora sui giornali, anche se quest'anno facile sia complice la data particolare : è il centenario dallo scoppia della grande guerra, che veramente rivoluzionò il mondo come si era assestato nel secolo precedente (e gettò le premesse per il secondo mostruoso eccidio del 1939-1945). 
Con l'occasione, mi sono andato a ripassare la Storia di quella guerra, che ebbe 10 milioni di morti, 650.000 italiani. 
Non andò molto bene, dal punto di vista militare, dove generali mediocri - Cadorna su tutti, e infatti era il comandante in capo..- e la natura del terreno da conquistare - le Alpi erano un forte naturale per gli austriaci, più facilmente difendibile - fecero sì che per vincere dovemmo aspettare il crollo generale degli imperi centrali. Vittorio Veneto, secondo molti, non fu una battaglia ma una spinta e una rincorsa a nemici già in ritirata. 
Ma se non fummo determinanti, come sarebbe potuto se avessimo sfondato e marciato su Vienna, mentre sul fronte occidentale regnava lo stallo, almeno tenemmo impegnato parte dell'esercito austriaco sul nostro fronte, e siamo riusciti a non perdere (come per esempio ci accadde nella terza guerra d'Indipèndenza, dove poi andò bene grazie alla vittoria di Napoleone III. Da quell'episodio  nacque la frase irridente "che battaglia importante hanno perso stavolta gli italiani per pretendere così tanto ? "), il che, nella nostra storia militare nazionale, è già un grosso risultato.
Il tentativo di Aldo Cazzullo di riprendere le fila di quella storia per incoraggiare gli italiani di oggi a stringere i denti, serrare le fila e uscire da questo brutto periodo, è apprezzabile, al di là degli accostamenti azzardati. 


Il filo sottile della memoria
di Aldo Cazzullo
 
 

Oggi il presidente Napolitano consegnerà la medaglia d’oro al valor militare ad Andrea Adorno, alpino di Catania, ferito in combattimento sulle montagne dell’Afghanistan. Una cerimonia che in altre democrazie sarebbe routine; ma non in Italia. È la prima volta che si tiene al Vittoriano. È la prima volta che il soldato insignito non è un ufficiale, ed è vivo. In altri tempi, l’alpino siciliano sarebbe parso un ossimoro. Oggi l’esercito ha riconquistato prestigio, grazie ai militari in missione di pace nei territori più difficili del pianeta. E grazie anche al nostro legame con la storia e l’identità italiana, che si sta rivelando più forte di quanto pensassimo.
Quest’anno l’Europa ha celebrato i cent’anni della Grande guerra. Il 4 novembre, anniversario della vittoria, chiama in causa l’Italia, che il prossimo 24 maggio ricorderà l’ingresso nel conflitto. Fu l’inizio di un calvario, dagli assalti sconsiderati alle decimazioni, che costò sofferenze terribili. Davanti ai centomila morti di Redipuglia, papa Francesco ha già avuto parole di condanna per tutte le guerre; e sarebbe giusto che lo Stato italiano, unico a non aver riabilitato i fanti fucilati per volontà di una casta militare sprezzante delle vite umane, trovasse parole di pietà per tutte le vittime. Nello stesso tempo, non è inutile ricordare che quella guerra l’Italia la vinse. Poteva essere spazzata via; invece superò la prima prova della sua storia unitaria. E dimostrò di non essere più un nome geografico, come la volevano gli austriaci, ma una nazione.
Ogni paragone con il passato è fuorviante: il Paese che oggi si allarma per Ebola non è lo stesso che seppellì 350 mila morti di febbre spagnola in un mese. Ma ogni generazione ha la sua guerra da combattere. Quella contro la crisi è lontana dall’essere vinta. Siccome la capacità di resistenza e la forza morale che i nostri antenati dimostrarono cent’anni fa non possono essere andate disperse nel tempo, sta a noi ritrovarle dentro noi stessi e riaccenderle dentro i nostri figli. Questo vale per gli uomini e a maggior ragione per le donne, che un secolo fa dimostrarono di saper prendere il posto dei mariti, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle università.
Oggi i fanti non ci sono più. La memoria è un dovere nei confronti dei nostri padri, e ancor più nei confronti dei 650 mila ragazzi che padri non sono diventati. La riscoperta dei simboli dell’unità può essere retorica, quindi inutile, e consolatoria, quindi controproducente. Ma si rivela utilissima, quando sentiamo che la vicenda nazionale incrocia quella delle nostre famiglie. È di noi, come sempre, che parla la storia.

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