venerdì 12 dicembre 2014

PERCHE' SI VOTERA' NEL 2015



Maurizio Ferrera sul Corriere torna a piangere per la sparizione dai radar di ogni politica di reale spending review, più prosaicamente il proposito di tagliare la spesa pubblica se non altro dal lato degli sprechi (in realtà andrebbe fatto purtroppo anche laddove la spesa assistenziale è utile, ché non ce la possiamo permettere a questi livelli, ma sarebbe già un successone agire sui primi). E' uno dei motivi per cui a Bruxelles sono parecchi scontenti di noialtri.
I conti italiani non tornano, e il fatto di aver rinviato a marzo la loro verifica a che serve ?
A preparare le elezioni, giura Giacalone
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Per non fare i conti






L’accordo europeo s’è fatto. I conti non tornano e si dovranno rifare a marzo. Dentro l’accordo c’è un non detto assai pericoloso. Questa volta sì che la presidenza italiana ha lasciato il segno, conducendo l’Unione europea all’accordo del fare finta: io fingo che abbiano un senso i conti che presento, tu fai finta che abbia un senso rifarli fra tre mesi e tutti facciamo finta di non vedere che la voragine della crisi s’allarga. Ma che senso ha guadagnare tre o quattro mesi? Che ci si guadagna? L’Italia nulla. Chi la governa, però, spera nell’improbabile ripresa, o nel crollo dei conti europei, sì da nascondere i nostri nel caos, oppure, più realisticamente, nel far saltare prima il banco, sostituendo i conti economici con quelli elettorali. Lo andiamo ripetendo dall’estate scorsa, benché da Palazzo Chigi si giuri e spergiuri che si voterà a scadenza naturale. Se così fosse non avrebbe alcun senso quel che stanno facendo, compreso l’accordo a far finta.
L’ottimo Pier Carlo Padoan continua a stupirmi. Ogni giorno che passa mi domando chi glielo fa fare di affermare e firmare l’inverosimile. Ora sostiene: è vero che la Commissione europea prima e l’Eurogruppo poi hanno affermato che i conti italiani (e non solo) saranno rivisti a marzo e che dovremmo e dovremo fare di più, ma intendono dire che dobbiamo farlo nell’attuazione delle riforme già approvate, non certo preparare una manovra correttiva. Le riforme è una riforma, quella del lavoro, che è una legge quadro: qualsiasi cosa si faccia da qui a marzo non cambierà di un decimale i conti.
Certo, il governo può ben dire di avere chiuso l’accordo, cantando vittoria. Me ne compiaccio. Ma è un accordo scritto sulla sabbia in una giornata di vento. E se prima la comunicazione governativa continuava a ripetere che l’Italia mai e poi mai avrebbe sfondato il tetto del deficit, comodamente collocato al 3% del pil, laddove dovrebbe essere significativamente più basso, ora si mormora e sussurra quel che l’aritmetica già gridava: potremmo superarlo. Oibò, che è successo? E’ in programma una politica di spesa pubblica anticiclica, per la gioia di tutti i magnaccioni, che siano stati terroristi neri, mezzani sinistri, o criminali della società civile? No, temo che la faccenda sia (ove possibile) più prosaica: sappiamo già che a marzo i conti non torneranno e allora si mettono le mani avanti, annunciando come possibilità quella che sarà neanche una necessità, ma la logica conseguenza di numeri messi a capocchia, supponendo crescite che non ci saranno. Non supereremo il 3% per scelta politica, ma per prepotenza contabile. Questo temo.
E come potrà giustificarlo, il governo Renzi? Basta aguzzare l’orecchio, per capire l’antifona. Già si sente dire: l’Europa non sia solo vincoli, ma sviluppo. Concetto profondo. Tanto che ci vuole un sommergibile per scorgerlo. Dagli abissi non tornerà certo a galla allargando il deficit, quindi poi il debito, mettendo soldi in tasca a italiani cui lo stesso Stato poi li toglie con la mano fiscale. Perché questo è tale spesa pubblica, incarnata dalle emergenze sociali e dagli 80 euro: un modo per distribuire quel che poi si ripiglia, salvo che a quelli più lesti, che lo portano via nel frattempo. L’antifona, però, è quella di dare la colpa all’Europa. Ah, se non ci fossero loro, a stringerci il cilicio!
Ma dove porta una simile impostazione? Porta al voto. Perché mica puoi tenere la minestra in caldo per anni. A fine marzo non succede nulla, ma entro primavera ci sarà chiesto di onorare le promesse a vanvera. A quel punto che fa, Padoan, risponde loro che il 70% dei decreti attuativi del Job Act sono stati fatti? Ne prenderanno act e ci domanderanno se abbiamo problemi di comprendonio: i conti sono disallineati. Quindi, fra aprile e giugno, chi governa si deve mettere sulle spalle la loro correzione. O invoca la rivolta smutandata contro l’Europa. Altrimenti no, semplicemente fa osservare che siamo in campagna elettorale e che la democrazia va rispettata. Ci vediamo subito dopo.
E’ vero che guadagnare ancora uno o due mesi non serve a nulla, ma vale solo per gli italiani, non per quel ristretto gruppo fra loro che andrà a popolare le due (leggasi due) aule parlamentari e a formare il nuovo governo. Poi si vedrà. Non brilla in lungimiranza, ma almeno ha un senso. Far finta che siano solidi conti già in fase di smontaggio neanche è lungimirante, ma è pure privo di senso.

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