martedì 13 gennaio 2015

PRIMARIE PIDDINE IN LIGURIA. VOTI COMPRATI E/O INQUINATI. UN SISTEMA CHE NON FUNZIONA


Il declino di Sergio Cofferati personalmente lo guardo con soddisfazione. Non avevo simpatia per lui ai tempi della sua trionfale leadership come segretario della CGIL ( in realtà, chiunque rivesta quel ruolo, finisce per starmi invincibilmente antipatico), peggio dopo, coi suoi girotondi strani, le scelte di vita curiose. Adesso, nonostante il suo ruolo di eurodeputato, si è candidato alle primarie piddine in vista delle elezioni regionali in Liguria, ed è stato trombato dalla candidata "renziana", tale Raffaella Paita, e, come detto, la cosa non mi dispiace affatto, in sé.
Sono peraltro perplesso leggendo i rilievi mossi da Antonio Polito, che riporta le polemiche e le accuse, fino agli esposti in Procura, di come si svolgono queste selezioni. In primo luogo, pare proseguire lo scandalo dell'improvvisa infatuazione per la partecipazione politica di persone improbabili, quali gli immigrati. Un brutto vizio che pare avvelenare i pozzi anche delle associazioni meno in vista, con improvvisa moltiplicazione degli iscritti in prossimità degli appuntamenti elettorali, e che nelle primarie del PD ha raggiunto livelli non più tollerabili. A parte il problema, non piccolo, del voto prezzolato (questa gente è pagata, questa l'accusa assai verosimile, per mettersi in fila ai gazebo, pari pari a come troppo spesso avviene nel voto delle regioni mafiose), c'è poi l'altro, pure rilevante, di quello "inquinato". 
Vale a dire alle primarie PD partecipano persone che poi, alle elezioni, non lo voteranno quel partito nemmeno se a presentarsi fosse il candidato da loro prescelto. E questo francamente non è accettabile. Entro nella disputa di un ALTRO partito, che non è il mio, che non voterò comunque, unicamente per cercare di favorire tizio rispetto a caio, magari perché lo penso più debole, in prospettiva elettorale generale, o semplicemente perché mi sta sulle palle (appunto il mio caso, che avverso Cofferati e quindi decido di favorire la sua avversaria, che poi NON voterò alle regionali). 
Già diverso il caso in cui chi partecipa alle primarie lo fa con l'onestà intellettuale di chi ha scelto LA PERSONA, e la seguirà, se prescelta, anche nel voto successivo. Ma come si fa a stabilire questo ? 
Antonio Polito invoca un intervento legislativo, che francamente mi sembra eccessivo. Dovrebbe essere sufficiente stabilire delle regole statutarie chiare, in merito alla questione, che disciplinino bene questo sistema in modo da evitare o comunque arginare i problemi suddetti. Nel caso non fosse possibile, che si rivelasse una sorta di quadratura del cerchio, rinunciassero. Il giocattolo è stato carino, ha fatto pubblicità alla ditta, ma rivela più difetti che pregi.
Se non sono redimibili, lo mettessero in soffitta. 




Voto «cammellato»
primarie al tramonto



  La storia delle primarie regionali del Pd sembrava destinata a fermarsi a Eboli, e invece è finita a La Spezia. C’è infatti un punto oltre il quale il simbolo della riconquistata freschezza giovanile e democratica del Pd si trasforma nello specchio di Dorian Gray. Lo specchio delle primarie all’improvviso restituisce l’immagine, piena di rughe e anche un po’ ripugnante, della politica più vecchia e decrepita: quella dei capibastone, delle correnti, dei brogli e dei sospetti.
Questo limite è stato varcato domenica in Liguria, dove la vincitrice Raffaella Paita, «quarantenne renziana che promette anni rock», come la descrivono le cronache del nuovismo, viene accusata dall’attempato, grigio e antirenziano Sergio Cofferati di aver vinto anche grazie a numerose irregolarità: roba da Procura a suo dire, contro le quali ha presentato ricorso. Come al solito, il sospetto si appunta sul voto «cammellato»: non perché troppo multietnico (sarebbe paradossale prendersela con i numerosi elettori cinesi per non aver votato il «cinese»; né di questi tempi si può criticare l’entusiasmo democratico di marocchini e rom, pure loro accorsi alle urne in numero abnorme); ma perché suscettibile di essere stato organizzato e fors’anche retribuito.
In più, in Liguria è di nuovo esplosa la polemica che fu al centro dello scontro tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi nelle primarie per la scelta del segretario: gli elettori di centrodestra, e addirittura i sindaci e i dirigenti del centrodestra, possono partecipare alla scelta del candidato del Pd? Sì per la vincitrice, che ha ricevuto il sostegno esplicito di pezzi di Forza Italia ormai orfani di padrini; no per lo sfidante Cofferati, perché avrebbero «inquinato» il voto.
Ora la gatta da pelare è direttamente sul tavolo di Renzi: la commissione di garanzia dovrà decidere se annullare o confermare un risultato così contestato. Ma non è l’unica grana. Un’altra, potenzialmente più grossa, sta scoppiando in Campania. Dove, a dire il vero, detengono il copyright delle primarie finite in Procura. Quelle per scegliere il candidato sindaco di Napoli, nel 2011, furono annullate per brogli aprendo la strada al suicidio del Pd e al trionfo di de Magistris: su di esse è aperta un’inchiesta della Procura antimafia, così come per il voto nel salernitano in occasione della vittoria di Renzi nel 2013. Roma vorrebbe evitare ad ogni costo un nuovo armageddon in Campania, anche perché non si fida dei due maggiori concorrenti, Vincenzo De Luca e Andrea Cozzolino, stagionati e discussi dirigenti in prima linea fin dai tempi del Pci, entrambi già candidati cinque anni fa (De Luca è anche in attesa di sentenza per peculato). Ma i plenipotenziari del segretario, che pure hanno imposto già per due volte il rinvio del voto, non sono ancora riusciti a farlo saltare regalando una candidatura octroyée a Gennaro Migliore, transfuga vendoliano. Cosicché se ora le primarie si fanno, Renzi ci fa una brutta figura; e se le impedisce, ce la fa lo stesso.
Una cosa sembra ormai chiara: il sistema delle primarie locali è giunto al capolinea. Per una ragione giuridica e una politica. La prima è che nessuna consultazione può dirsi democratica se prima di iniziare non c’è un elenco di chi ha diritto al voto. Anzi, diventa un raggiro della democrazia, e in quanto tale non è più un affare interno al Pd. Il fatto che in molti casi le primarie siano andate bene (in Veneto e Puglia, per esempio) non assolve il metodo, perché se può fallire anche una sola volta vuol dire che non ci si può mai fidare dei risultati. Sono ormai in molti, anche nel Pd, a dire che senza una legge dello Stato non si possono più fare.
La ragione politica è che lì dove il partito è spaccato in correnti e gruppi di potere le primarie rischiano addirittura di peggiorare le cose, offrendo l’occasione per una lotta nel fango senza esclusione di colpi. Comprare gli elettori non è infatti meglio che comprare le tessere.

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