Saranno contenti alcuni miei amici, grandi tifosi della madre Russia e del suo nuovo zar, Vladimir Putin.
Una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la cui conclusione, a precisa domanda, è "non ho niente da rimpiangere". Nemmeno quel bamba di Bush Junior credo avrebbe dato una simile risposta.
Riporto solo la metà dell'intervista, molto lunga, che il Corriere Digitale non rende importabile per intero.
Nella parte che manca i concetti fondamentali espressi, con parole devo dire suadenti, sono :
1) In Ucraina facciamo decidere i popoli. Se l'est vuole essere indipendente, se ne prenda atto, come lo si è fatto per esempio in Kossovo
2) La Russia non ha nessun atteggiamento aggressivo. Semplicemente si difende. Non vi è nessuna base militare russa al di fuori dei confini nazionali, mentre non si contano quelle americane nel mondo. Le spese militari USA sono superiori a quelle di TUTTI gli altri paesi della Terra messi insieme, e vi sono missili americani che possono arrivare a Mosca in soli 17 minuti.
3) I Russi sono disposti a dialogare e collaborare su tutto con tutti, e di più con Europa e America. Questo dialogo, nonostante la crisi Ucraina, peraltro prosegue utilmente in materia di disarmo nucleare (USA e Russia sono in sintonia sull'evitare le proliferazioni di simili arsenali, specie in altri paesi) e di lotta al terrorismo internazionale (l'ISIS non piace nemmeno a lui).
4) Non è vero che la Russia sia un paese autoritario, con una democrazia debole. Ci sono tanti partiti, e se agli oppositori i media danno poco spazio la colpa è la loro che non suscitano sufficiente interesse....
Alla fine, ero quasi convinto.
«NON SONO UN AGGRESSORE,
PATTO CON L’EUROPA»
di Paolo Valentino
Il presidente russo si aggiusta sulla poltrona, gli occhi sembrano farsi più brillanti. Resta per qualche secondo in silenzio, poi con la sua voce sottile e sempre a basso volume, dice: «Sarò assolutamente sincero con voi. Non posso adesso ricordare qualcosa. Evidentemente il Signore ha costruito la mia vita in modo tale che non ho niente da rimpiangere».
Dopo più di quindici anni al vertice della Russia da presidente o primo ministro, dopo 5.538 giorni al potere, Vladimir Putin non si pente di nulla.
Due ragazze dello staff presidenziale ci hanno accolti all’ingresso della Torre Spasskaya, di fronte alla cattedrale di San Basilio, scortandoci dentro le mura del Cremlino fino al Palazzo del Senato, dove Putin ha il suo ufficio. Il luogo preparato per l’intervista era la Predstavitelskij Zal, la stessa sala di rappresentanza dove in marzo Putin ha ricevuto Matteo Renzi. È uno spazio ovale, le pareti color verde pallido, la volta a cupola, le decorazioni in stucco bianco e oro. Dalle nicchie poste agli angoli, le statue in bronzo di quattro imperatori russi dominano la scena: Pietro il Grande, Caterina II, Alessandro II e Nicola I. Previsto per le 19, l’inizio dell’intervista è scivolato di ora in ora.
Finalmente, alle 23:30, è arrivato il portavoce Dmitri Peshkov. Si è scusato per il ritardo, che ha attribuito a impegni di governo e ci ha detto che il presidente era pronto. Vladimir Putin è entrato dalla porta in fondo. Vestito di blu, camicia azzurra, cravatta blu con motivi stampati, fresco nonostante l’ora, il volto forse un po’ troppo levigato. Ha salutato cortesemente. Poi ci ha invitati a sedere. Signor presidente, la Russia ha avuto con l’Italia rapporti sempre intensi e privilegiati sia sul piano economico che politico. La crisi ucraina e le sanzioni però hanno gettato un’ombra su queste relazioni. La visita in Russia del presidente del Consiglio Matteo Renzi, nonché quella sua del 10 giugno a Milano possono invertire in qualche modo questa tendenza e a quali condizioni? «Non è stata colpa della Federazione Russa se i rapporti con i Paesi dell’Unione Europea si sono deteriorati. Non siamo stati noi a introdurre certe limitazioni nel commercio e nell’attività economica. È stato fatto contro di noi e siamo stati costretti ad adottare contromisure. Però i rapporti tra Russia e Italia effettivamente hanno sempre avuto carattere privilegiato sia in politica che nell’economia. Negli ultimi anni il volume dell’interscambio è cresciuto di 11 volte, toccando quasi 49 miliardi di dollari. In Russia operano 400 aziende italiane. Stiamo lavorando attivamente insieme nel settore dell’energia. L’Italia è il terzo acquirente dei nostri prodotti energetici.
Ma cooperiamo anche nell’alta tecnologia, dallo spazio all’aeronautica. Quasi 1 milione di turisti russi sono stati in Italia l’anno scorso e vi hanno speso circa 1 miliardo di euro. Sul piano politico ci sono sempre stati rapporti di fiducia. Fu un’idea dell’Italia, allora il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, la creazione del Consiglio Nato-Russia, un organo di consultazione che è diventato fattore importante di garanzia della sicurezza in Europa. In questo senso l’Italia ha dato e dà un contributo notevole allo sviluppo del dialogo tra la Russia e l’Europa e anche con la Nato in generale. Tutto ciò crea rapporti speciali tra i nostri due Paesi. E la visita dell’attuale presidente del Consiglio italiano in Russia è stata un segnale molto importante della disponibilità dell’Italia all’ulteriore sviluppo di questi rapporti. Noi siamo pronti e disposti ad andare avanti tanto quanto lo saranno i partner italiani. Spero che anche il mio viaggio a Milano serva a questi obiettivi». Lei ha conosciuto molti premier italiani: Prodi, Berlusconi, D’Alema, Amato, Monti, Letta, Renzi. Con chi di loro c’è stata più comprensione reciproca? E quanto incidono i rapporti personali nelle relazioni internazionali? «Quale che sia la carica che ricopriamo, siamo prima di tutto esseri umani e la fiducia tra le persone è un fattore molto importante nel lavoro, nella costruzione dei rapporti fra gli Stati. Ma come mi ha detto una delle persone che lei ora ha menzionato, “lei probabilmente è l’unico ad avere rapporti di amicizia sia con Berlusconi che con Prodi”. Per me non è stato e non è difficile. Le spiego perché: tutti i miei partner italiani si lasciavano guidare dagli interessi dell’Italia e del popolo italiano e consideravano che per garantirli nel modo giusto bisogna mantenere buoni rapporti con la Russia. Noi lo capivamo. Era la cosa più importante. Ho sempre sentito il desiderio davvero sincero di costruire rapporti interstatali indipendentemente dalla congiuntura politica interna». Vladimir Vladimirovic, il 10 giugno lei sarà a Milano in occasione della Giornata della Russia all’Expo 2015, il cui tema è «Nutrire il pianeta. Energia per la vita». Qual è il contributo della Russia a questa causa? E quale significato ha il tema dell’Expo per i rapporti tra gli Stati? «E’ senza alcun dubbio una delle questioni chiave oggi davanti all’umanità e molto bene hanno fatto gli organizzatori a scegliere questo tema, attirando l’attenzione a ricercare i modi per risolverlo. La popolazione del pianeta cresce, nel 2050 raggiungerà 9 miliardi. Già oggi secondo i dati dell’Onu 850 milioni di persone nel mondo soffrono della mancanza di cibo, praticamente fanno la fame, fra queste 100 milioni di bambini. Da come sarà risolta dipenderanno tante altre questioni.
Intendo l’instabilità politica di intere regioni del mondo, il terrorismo e così via, tutto è interconnesso. L’onda dei migranti illegali che sta investendo oggi l’Italia e tutta l’Europa è legata anch’essa a tutto questo. Quanto al contributo della Russia, noi spendiamo oltre 200 milioni di dollari per i programmi alimentari dell`Onu. Molti Paesi del mondo ottengono l’aiuto necessario usando risorse russe. Dedichiamo grande attenzione allo sviluppo dell’agricoltura. Nonostante tutte le difficoltà di oggi nell’economia russa, il nostro settore agricolo cresce a ritmi accelerati, l`anno scorso quasi del 3,4 -3.5%. La Russia è al terzo posto nel mondo per l’esportazione dei cereali. E infine il suo potenziale è colossale: abbiamo i campi arati più grandi del mondo e le più grandi riserve d`acqua dolce». Circola l’opinione che la Russia si senta «tradita dall’Europa come da un’amante». Cosa non va oggi in queste relazioni? Cosa si aspetta dall’Europa sulle sanzioni? «Se lei ha certi rapporti con una donna senza assumersi degli impegni, allora non ha alcun diritto di chiedere alla sua partner di assumersi a sua volta impegni nei suoi confronti.
Noi non abbiamo mai trattato l’Europa come un’amante. Ora parlo molto seriamente. Abbiamo sempre proposto rapporti seri. Ma oggi ho l’impressione che sia l’Europa a cercare di costruire con noi rapporti puramente su base materiale ed esclusivamente a proprio favore. Parlo per esempio dell’energia, dell’accesso sui mercati europei negato alle nostre merci nel campo nucleare, nonostante i tanti accordi. Oppure della riluttanza a riconoscere la legittimità delle nostre azioni e a collaborare con le unioni di integrazione nello spazio post-sovietico. Mi riferisco all’Unione doganale che ora è diventata l`Unione economica euroasiatica. Perché quando si integrano i Paesi europei è considerato normale, ma se noi nello spazio post-sovietico facciamo lo stesso si cerca di interpretarlo come il desiderio della Russia di ricostruire una specie di impero? Non capisco questi approcci. Tempo fa ho parlato della necessità di creare uno spazio economico unico da Lisbona a Vladivostok. Nessuno pone obiezioni, tutti dicono: bisogna cercare di farlo. Ma in realtà cosa succede? Prendiamo ad esempio l’Ucraina. Nell’accordo di Associazione Ucraina-Ue non si richiede a Kiev di integrare i propri sistemi energetici all’Europa, ma questa possibilità per il futuro è prevista. Se ciò dovesse succedere, saremmo costretti a spendere tra gli 8 e i 10 miliardi di euro per costruire nuove linee elettriche per garantire la fornitura interna alla Russia. Perché farlo? Questo partenariato orientale dell’Ue vuole integrare tutto lo spazio post-sovietico nell’unico spazio economico con l’Europa, lo ripeto, da Lisbona a Vladivostok, ovvero creare nuove frontiere tra la Russia di oggi e la restante parte occidentale, compre se Ucraina e Moldova?». Ma le vostre azioni in Ucraina sono all’origine di tutta la crisi nei rapporti con l’Occidente...
«Quali sono le origini della crisi in Ucraina? La causa, a quanto pare, non giustifica la tragedia di oggi, con un gran numero di vittime nel Sud-Est. Attorno a cosa è nata questa diatriba? L’ex presidente Yanukovich disse che aveva bisogno di riflettere sulla firma dell’Accordo d’associazione UcrainaUe, forse ottenere dei cambiamenti e consultarsi con la Russia, il partner principale dell’Ucraina. Sotto questo pretesto sono cominciati i disordini a Kiev, appoggiati attivamente dai nostri partner sia europei che americani. Poi è venuto il colpo di Stato, un’azione assolutamente anticostituzionale. Le nuove autorità hanno dichiarato di voler firmare l’accordo, rinviandone però l’applicazione al 1° gennaio 2016. Ma allora a cosa sono serviti il colpo di Stato, la guerra civile, la disfatta economica, se l’esito è stato lo stesso? Non eravamo contrari alla firma dell’accordo tra Ucraina e Ue. Però, certo, volevamo partecipare all’elaborazione delle decisioni finali, considerando che l’Ucraina fa parte della nostra zona di libero scambio e ci sono impegni reciproci che ne derivano. Come si può ignorare questo fatto e non rispettarlo? Lo chiedo a molti miei colleghi, inclusi europei e americani».
E che cosa le dicono? «Che la situazione è andata fuori controllo. Il 21 febbraio 2014 è stato firmato un accordo tra il presidente Yanukovich e l’opposizione sul futuro del Paese, incluse le elezioni. Se ne doveva ottenere l’attuazione tanto più che tre ministri degli Esteri europei lo hanno firmato come garanti. Se americani ed europei avessero detto a chi compiva azioni anticostituzionali, “non vi sosterremo in alcuna circostanza se andate al potere con un golpe, andate alle elezioni e vincetele”, la situazione si sarebbe sviluppata in modo assolutamente diverso. Quindi io credo che la ragione di questa crisi sia completamente artificiale. E l’accompagnamento di questo processo è inaccettabile. Ripeto, non era nostra intenzione, noi siamo costretti a reagire a quanto sta succedendo». Non le sembra che in Ucraina sia giunto il momento per la Russia di prendere l’iniziativa nelle proprie mani con un gesto di disponibilità? «Lo stiamo già facendo. Considero il documento concordato a Minsk, il cosiddetto Minsk 2, l’unica via per la risoluzione del problema. Non l’avremmo mai concordato se non lo considerassimo corretto, giusto, equo. Noi facciamo e continueremo a fare tutto quanto dipende da noi per influenzare le autorità delle Repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk. Ma non tutto dipende da noi. Oggi i nostri partner, sia in Europa sia negli Stati Uniti, devono esercitare un’adeguata influenza sulle autorità di Kiev perché facciano ciò che è stato cancellato....
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