mercoledì 22 luglio 2015

UNA VISIONE DIVERSA DELLA GERMANIA. LA SOLIDARIETA' STRADA A DUE VIE

 Risultati immagini per stereotipi e pregiudizi

Mi risulta che quelli di Radio Radio, segnatamente Stefano Molinari, sfoglino il Corriere della Sera. Lo so perché qualche giorno fa il conduttore di "Un giorno Speciale" , trasmissione della mattina, sputava livore contro l'articolo di Danilo Taino (il giornalista non veniva però citato, magari temendo di imbattersi in qualche querela) che proponeva un ritratto di Schauble, il ministro delle finanze tedesco, accusato di essere una velina prona e slinguazzante...
A Molinari risulta che il Corriere sia finanziato dalla Germania ? Ah, probabilmente si tratta del complotto dei soliti poteri forti...
Sia come non sia, chissà cosa penserà del commento odierno a cura di Smaghi, che prende in esame i vari stereotipi anti germanici e cerca di dare una visione diversa dei tedeschi ?
Magari sbaglia l'autore dell'articolo, però intanto lo si potrebbe leggere, con mente possibilmente aperta.


L'ETICA TEDESCA DELLA SOLIDARIETA'

Regole e valori. 
La Germania offre aiuto e chiede cambiamenti.
I legami molto stretti con la Francia e la riluttanza 
all’egemonia derivano dalla volontà di non ripetere
gli errori del Novecento
I Paesi del Nord non sono vassalli e il Parlamento 
è sovrano. 
 



Come viene spesso ricordato in questi giorni, la crisi greca ha accentuato la sfiducia all’interno dell’Unione Europea, tra Paesi e cittadini. Tuttavia, per fare un passo avanti più deciso verso una vera integrazione politica, legittimata a prendere decisioni e non solo a imporre regole, è necessario ricostruire la fiducia. Ciò può essere fatto solo se si fa lo sforzo di capire le ragioni degli altri. Sembra semplice ma non lo è, perché in un sistema dove la legittimazione viene stabilita prevalentemente a livello nazionale si cade facilmente nella tentazione di rappresentare le opinioni degli altri attraverso stereotipi, esacerbando le contrapposizioni e allontanando le opinioni pubbliche dal dibattito.
Un caso tipico è rappresentato dalla Germania, le cui posizioni vengono spesso rappresentate in modo approssimativo, anche nel dibattito pubblico italiano. Considero brevemente cinque esempi.
Il primo riguarda la mancanza di leadership o di egemonia tedesca in Europa. Molti, non solo in Italia, vorrebbero una Germania più propositiva nel disegnare il processo di integrazione europeo. «Lead or Leave», scrisse provocatoriamente George Soros in un recente articolo sul Financial Times . Qualsiasi tedesco interrogato su questo punto risponderebbe tuttavia allo stesso modo, come gli è stato insegnato a scuola, ossia che l’esperienza storica nega il ruolo di leader (in tedesco «führer») alla Germania. Giusta o sbagliata che sia, la risposta non cambierà, perché è radicata nell’analisi critica che la Germania ha fatto del suo passato. E se la leadership tedesca appare talvolta troppo forte, il problema deriva soprattutto dal vuoto intorno.
Il secondo punto che è difficile da capire in Italia riguarda la partnership franco-tedesca. Da noi si sente e si ama spesso dire che è superata, che non funziona più, per scoprire poi che senza l’accordo tra i due paesi non ci sono soluzioni durature. Non è una condizione sufficiente, ma necessaria. Nasce dalla scelta, sancita oltre 50 anni fa con il trattato dell’Eliseo, dei due di non andare mai contro l’interesse vitale dell’altro. È una scelta difficilmente comprensibile per chi non conosce la storia o non ha mai visitano i cimiteri di guerra in Alsazia o in Lorena. L’illusione di spezzare tale intesa, o di sostituirla (con cosa?), che spesso circola negli ambienti della provincia politica italiana, è appunto un’illusione.
Il terzo punto, che spesso ci aliena l’amicizia di molti altri Paesi dell’Europa del Nord e del centro è di considerarli «vassalli» della Germania, che riflette una insufficiente conoscenza di quelle realtà e della loro storia. Le assonanze, soprattutto sulle questioni economiche, nascono dal simile grado di apertura alla concorrenza internazionale e dalla conseguente scelta di porre al centro della politica economica la competitività, piuttosto che la difesa delle posizioni di rendita sull’esiguo mercato interno. Molti di questi Paesi, alcuni con un livello di reddito più basso della Grecia, hanno in genere visioni molto più radicali di quelle tedesche, in particolare sul ruolo della finanza pubblica, ma non per questo si ritengono assoggettate al volere della Germania.
Il quarto punto che si ha difficoltà a (o si fa finta di non) capire in Italia è il ruolo svolto dal Parlamento tedesco nelle scelte di finanza pubblica, che segue il principio del «No taxation without representation». Fin quando la sovranità sulle finanze pubbliche rimane nazionale, il parlamento tedesco intende esercitare le sue prerogative. Questo è il motivo per cui il pacchetto di aiuti alla Grecia è stato sottoposto al voto del Bundestag (sarebbe stato interessante vedere come avrebbe votato il Parlamento italiano se gliene fosse stata data la possibilità). Se si vuole fare l’integrazione fiscale europea, bisogna prima trasferire, attraverso cambiamenti istituzionali e costituzionali, i poteri a un vero Parlamento europeo.  

Chi propone di creare degli eurobond o strumenti fiscali europei, senza prima prevedere una pari cessione di sovranità, non è credibile.
Il quinto punto di incomprensione riguarda il concetto di solidarietà, che in Germania e nella maggior parte degli altri paesi europei è una «strada a due vie», ossia aiuti contro l’impegno ad un cambiamento strutturale del sistema per assicurare che l’assistenza sia temporanea e non permanente, evitando che diventi assistenzialismo e deresponsabilizzazione.
Cercare di capire le posizioni altrui non significa condividerle ed essere sempre d’accordo. Ma è un punto di partenza necessario per costruire insieme. 

Denigrare o stereotipare è invece il modo migliore per distruggere.

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