Non ho scritto nulla sui disastri borsistici dei giorni scorsi perché aspettavo fiducioso l'articolo di Alessandro Fugnoli, uno dei pochi ottimisti della terra, e non sono rimasto deluso.
Sdrammatizzare è la sua parola d' ordine, il mondo domani sarà ancora in piedi.
Naturalmente non posso sapere se le sue analisi siano esatte (in passato mi sembra più spesso di sì) ma certo sono quelle a cui è più bello credere.
Buona Lettura
RICOMPONIAMOCI
Una brutta correzione, non la fine del mondo
Avevamo scritto, la settimana scorsa, che il petrolio sarebbe
andato sotto zero. Era una battuta, naturalmente, ma tre giorni dopo Bloomberg
ha pubblicato la notizia che la qualità più scadente di greggio del Dakota quotava 50 centesimi, con la precisazione che i 50
centesimi li doveva versare il venditore, non il compratore. Piccati e
risentiti, i giornali del Dakota hanno indagato a fondo e hanno scoperto che la
fonte citata da Bloomberg aveva rettificato la quotazione, riportandola a un
livello più dignitoso di un dollaro e mezzo sopra zero.
È perfettamente normale che le
qualità basse di greggio, quelle troppo ricche di zolfo, abbiano un forte
sconto rispetto alle qualità leggere, che richiedono meno raffinazione. Lo
sconto cambia nel tempo, ma 20 o 30 dollari non sono così rari. Il greggio
canadese, ad esempio, tratta a 20 dollari, quello iracheno arriva a 15 nella
versione meno pregiata. Altri, come abbiamo visto, sono ormai prossimi a zero.
A questi livelli qualcuno
comincia a levarsi di torno, liquidando le scorte e chiudendo i pozzi. È quello
che sta succedendo in alcune zone d’America. Opec e Russia continuano invece a
produrre più che possono, ma in questo caso sono i piani d’investimento ad
essere tagliati. Se non si investe abbastanza da sostituire i pozzi man mano
che si esauriscono la produzione presto o tardi cala. La vecchia massima per
cui il migliore rimedio per contrastare i prezzi bassi sono i prezzi bassi
stessi non ha smesso di funzionare ma lavora, nella prima fase, molto
lentamente, salvo accelerare nel tempo. Analisti molto avvertiti come Currie di
Goldman e Morse di Citi, che hanno correttamente previsto il ribasso, parlano
di un greggio a livelli più alti degli attuali già per la fine di quest’anno.
La stessa cosa, del resto, la ribadisce da giorni l’Arabia Saudita, il paese
che ha voluto
l’accelerazione del ribasso e
che ora vuole la stabilizzazione e una moderata ripresa nella seconda parte
dell’anno.
Il crollo del petrolio e delle
materie prime produrrà certamente una scia di vittime (bancarotte,
ristrutturazioni del debito, recessioni nei paesi produttori) e continuerà a
provocare vendite a qualsiasi prezzo di azioni e bond da parte dei fondi
sovrani dei paesi produttori (una causa importante della discesa dell’azionario
globale di questi giorni) ma continua a confermarsi come un problema di eccesso
di offerta e non è in nessuna misura (come invece insinuano giorno e notte
ribassisti e pessimisti) un problema di domanda. La domanda infatti continua a
crescere. I 23 milioni di auto venduti in Cina l’anno scorso (massimo storico)
e i 18 venduti in America (massimo storico) non vanno a energia eolica e
compensano, con la loro domanda di carburante, il calo del consumo per
riscaldamento (l’inverno è molto caldo) e il ridimensionamento continuo
dell’industria pesante cinese.
A proposito di auto, ribassisti
e pessimisti insistono molto sul fatto che le vendite in America, quest’anno e
i prossimi, saranno più basse. Questo terrà depresso l’intero settore
manifatturiero e permetterà di potere tirare fuori la parola magica,
recessione.
Guardiamo allora i dati. Il
ricambio fisiologico richiede 15-16 milioni di nuove auto ogni anno, il livello
di vendita del 2007. I 18 milioni del 2015 sono l’effetto degli acquisti
rinviati a tempi migliori nel 2009- 2010, quando si vendettero solo 9 milioni
di auto. Che si torni a 15-16 è quindi normale e non può essere contrabbandato
come l’anticamera di un nuovo 2008.
A fronte di questo declino, ben
noto e già scontato, verosimilmente, nelle quotazioni di borsa del settore, c’è
il fatto che chi cambierà la macchina, nei prossimi anni, la prenderà più
grossa. È quello che succede sempre quando il prezzo della benzina è basso. I
margini sui Suv sono notoriamente molto più alti di quelli sulle utilitarie,
per cui i profitti del settore non subiranno necessariamente contraccolpi seri.
Le vendite in Cina, d’altra parte, sono previste in costante aumento.
A proposito di Cina, gli stessi
che considerano spazzatura le statistiche cinesi hanno storto il naso per il
fatto che il Pil è cresciuto nel 2015 del 6.9 e non del 7 come previsto dal
piano. Obiettivo mancato, hanno detto, crescita in continua decelerazione,
gestione confusa e problemi strutturali intrattabili. Bene, i pessimisti
saranno lieti di sapere che dal 2016 al 2020 la Cina mirerà a stabilizzare la sua crescita sul
livello del 6.5 per cento l’anno. Sempre meno crescita, quindi, ma su una base sempre
più grande. Non sappiamo, ovviamente, se i policy maker cinesi riusciranno a
conseguire il loro obiettivo, sappiamo però che faranno di tutto per
raggiungerlo, come hanno fatto nel 2015 tra cori di gufi. Sarà terribilmente
impegnativo, dal momento che si cercherà di non usare più la facile leva del
credito a pioggia e di lasciare il più possibile al mercato il compito di
produrre crescita, ma la dirigenza cinese ci si dedicherà con tutte le energie
perché sa che su questo si giocherà il consenso e la legittimazione politica a
governare.
Sul fronte dei mercati registriamo
un certo esaurimento, quanto meno temporaneo, dei motivi di ribasso. Negli
ultimi giorni si è scesi per inerzia e non per ulteriori notizie negative. Gli
utili usciti in America non hanno riservato finora brutte sorprese e sono stati
anzi spesso migliori del previsto. Ora non c’è da augurarsi un brusco rimbalzo
(più tipico dei bear market che dei mercati normali) ma una stabilizzazione e
un graduale ritorno alla normalità alimentato da un flusso di dati
rassicuranti.
L’intervento delle banche
centrali è un elemento centrale di questa stabilizzazione. Draghi ha dato un
primo forte messaggio, indicando la disponibilità verso misure monetarie più
radicali e dissipando l’aria mefitica che era andata accumulandosi sul sistema
bancario italiano (in parte ad arte). Ricordiamo che l’Italia e Brexit sono in
cima alla lista dei punti deboli dell’Europa in molte delle previsioni più
negative sul 2016. Accelerare la soluzione dei problemi delle banche italiane
(senza per questo regalare o svendere i loro attivi) significa togliere una
mina lungo il difficile percorso che l’Europa dovrà affrontare quest’anno.
Quanto alla Fed, chi invoca
un’autocritica per il rialzo dei tassi di dicembre e un rapido ripensamento
deve portare pazienza. Ci sono prima di tutto motivi di immagine per cui una
banca centrale non può ammettere di avere sbagliato solo perché il mercato l’ha
presa male. Ci sono poi ragioni di sostanza. Dudley dice che nulla è cambiato
rispetto a dicembre e che il mercato, come al solito, se la suona e se la canta
da solo. La verità, probabilmente, sta a metà strada. La crescita americana si
è indebolita e la discesa delle borse può ritardare ulteriormente una
riaccelerazione. Dall’altra parte, però, è giusto che la banca centrale aspetti
di vedere qualche altra settimana di dati reali prima di cambiare la sua
strategia.
Quello di cui possiamo essere
certi è che questa Fed, molto più colomba che falco, cercherà in tutti i modi
di non cadere nella trappola del 1937 (stretta monetaria prematura e ricaduta
nella recessione) e procederà con la massima
prudenza. Possiamo anche essere tranquilli sul fatto che non ci sarà, per
l’economia americana, la doppia bastonata di un dollaro forte e di tassi in
rialzo. Se infatti il dollaro si rafforzerà ancora la Fed non alzerà i tassi (o lo
farà con esasperante lentezza). La
Fed , come in dicembre, alzerà solo se sarà sicura che questo
non faccia salire il dollaro.
Se il dollaro resterà fermo
(come pensiamo) la Cina
avrà meno problemi a mantenere stabile il renminbi, toglierà un motivo a chi
vuole portare i suoi soldi fuori dal paese e darà una ragione di ansia in meno
ai mercati internazionali.
Molti tra gli hedge fund più
aggressivi aspettano una discesa ulteriore del 10 per cento per entrare
massicciamente. Vedremo se i mercati si offriranno di accontentarli o se li
lasceranno a bocca asciutta. In ogni caso è di conforto sapere che esiste una
linea di supporto di compratori, sia pure sotto i livelli attuali. Nel
frattempo, nei portafogli, si può iniziare a lavorare per irrobustire la
qualità degli attivi, tanto azionari quanto obbligazionari. Se il 2016 sarà la
classica correzione che accade a due terzi di un ciclo economico (quando si
pensa erroneamente che il ciclo stia per finire) i titoli più solidi avranno
ottime possibilità di recupero quando ci si accorgerà che il mondo, a bufera
passata, sarà restato in piedi.
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