giovedì 21 gennaio 2016

RENZINO, BRUXELLES E' PIù DIFFICILE DA ROTTAMARE DI D'ALEMA E BERSANI

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Non acquisto più Libero, optando per La Stampa passata alla direzione di Molinari (apertura di credito non illimitata...) . Però Davide Giacalone non lo voglio perdere di vista e vado sul suo sito per tenermi aggiornato sulle sue riflessioni circo le cose italiche.
Ecco per esempio questa, pienamente condivisibile, sulla recente tensione tra renzino e UE.
In particolare, mi ha colpito la chiosa finale, che accenna ai fatti del 2010/2011, rievocati da diversi in questi giorni per una qual certa, apparente similitudine.
Anche allora l'Italia era nel mirino per il suo debito e per le sue lacune strutturali, e anche allora chi era al governo si opponeva a tirate di briglia. Sappiamo come andò a finire.
Giacalone mi pare osservi che, al di là dei modi, opinabili, la sostanza del tempo era inevitabile : avevamo tirato troppo la corda, e bisognava cambiare rotta.
Chi oggi siede al governo è figlio anche di quella stagione, stia attento, ché virate leggere sono auspicabile, di 180 gradi proprio no. E se ce ne freghiamo del nervosismo di Junker, probabilmente facciamo un errore, ma se estendiamo questo "non cure" a quello di Draghi, commettiamo un suicidio.

Rissa e conti

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I toni dovranno scendere e lo scontro rientrare, con una conseguenza: l’aggiustamento dei conti italiani. La condotta del governo Renzi è stata avventurosa, portando in sede istituzionale un atteggiamento già deprecabile nella propaganda. Le parole di Jean Claude Juncker sono state inammissibili, compreso il rilievo circa l’assenza di interlocutori italiani. Rilievo fondato, anche tenendo presente che il governo italiano ha fatto di tutto per rendere universalmente nota la lite da sottoscala, fra il commissario Mogherini e chi baccagliò per nominarla, ma non di meno rilievo che non andava fatto pubblicamente. Se si continuasse su questa strada vorrebbe dire una sola cosa: è già stata decisa la nascita di una Unione più ristretta, ove i confini Shengen coincidano con quelli della comune sorte finanziaria. Sarebbe un calcolo temerario, un dramma per l’Europa e una tragedia per l’Italia. Ragioniamo come se fosse chiara a tutti la necessità di evitarlo.

Il governo italiano ha commesso un gravissimo errore nell’aprire il conflitto sul fronte dell’elasticità, dove abbiamo tutti i torti. Le politiche europee sono già espansive. L’Italia s’è giovata più di tutti delle scelte compiute dalla Banca centrale europea. Averne approfittato per varare trionfalmente la politica dei bonus, passando per il pagamento del teatro agli insegnanti e giungendo ai regali di compleanno, è stata una provocatoria sciocchezza. Il crescere della spesa pubblica non ha alcun effetto produttivo, semmai deprime la crescita perché conferma l’accanimento nel commettere sempre gli stessi errori. C’è in giro troppa gente che crede d’essere keynesiana, ma in realtà è zaloniana.
Quella dottrina va corretta, rettificando i conti. Questo incredibile errore, figliato da un misto di arroganza e incoscienza, ha oscurato i temi sui quali gli interessi dell’Italia coincidono con quelli dell’Europa nel suo insieme, del suo crescere come mercato efficiente: immigrazione e banche.
Di errori ne abbiamo commessi tanti, compreso quello di autodenigrarci, ma noi abbiamo presidiato i confini esterni di Shengen, affrontando sacrifici economici, umani e culturali. Non dobbiamo farci dare lezioni, sia d’umanità che di convenienza, da chi ha solo confini interni a Shengen, quindi ignora, sottovaluta e talora dileggia l’enormità del problema cui, nel bene e nel male, abbiamo fatto fronte. Abbiamo le carte in regola per proporre politiche risolutive, consistenti non nella demolizione delle regole interne, ma nel comune presidio delle frontiere esterne. Per questo è autolesionista avere chiesto uno 0.2% di deficit in più, da spendere sul fronte immigrazione. Non solo non risolve nulla, non solo rimanda la soluzione seria, ma poi diventa debito che ci tocca pagare.
Le nostre banche sono le sole nelle quali non è stato trasfuso, durante la crisi dei debiti, un fiume di denaro pubblico. Non fu una scelta virtuosa, ma indotta dall’essere giunti a quell’appuntamento con un debito pubblico patologico. Ma resta il fatto. Il nostro sistema bancario è il solo interamente privato, il che, a regola di bazzica delle normative europee, sarebbe una virtù. Il sistema, però, è sottocapitalizzato e pericolosamente zavorrato da 200 miliardi di crediti inesigibili e 150 incagliati. Finita l’era dell’intervento statale (evviva), si deve trovare una soluzione diversa. Che può essere trovata in sintonia con le norme e le autorità europee, senza la cui copertura e azione, ricordiamolo, staremmo tagliando la spesa pubblica non per diminuire il debito, far scendere la pressione fiscale o fare investimenti, bensì per pagare il costo del debito.
Non sarà una passeggiata, ma quel cammino va fatto.
Se qualcuno pensa di risolvere usando la stessa tattica utilizzata per far fuori quattro compagnucci comunisti bolliti, dimostra solo di non avere capito quale materia ha fra le mani.
Vedo si fanno paralleli con il 2010-2011. Storia fin qui raccontata in un vociare tifoso e smemorato. Ma per l’esito di quella partita fu decisiva la consapevolezza di non potere esporre l’Italia a rischi insensati, scegliendo la strada dell’accordo con le autorità europee. In un contesto terribile e non cedendo altro che su quanto, comunque, era nostro dovere fare.
 Chi è arrivato al governo, senza passare per le urne, dicendosi interprete di quella linea, dopo la benedizione ricevuta dalla cancelleria tedesca, non può divenirne il sovvertitore. Non, almeno, prima di averlo chiesto al sovrano, gli elettori.

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