L'altro giorno avevo letto un post di Giacalone sul referendum prossimo venturo in materia di riforma costituzionale.
Oggi è il turno di Michele Ainis.
Entrambi bocciano l'impronta plebiscitaria che Renzi vuole dare alla cosa, oggi che i sondaggi lo danno vincente con buon margine.
Il problema, non politicamente irrilevante, è se quel 60% di sì si manifestassero in un contesto di astensione ben oltre il 50% dei cittadini chiamati ad esprimersi. Per fare degli esempi storici noti a tutti, al referendum per il divorzio partecipò quasi l' 88% degli aventi diritto !! mentre a quello sull'aborto nel 1981 l'80%.
La trasformazione del Senato, che modifica il bicameralismo, rendendolo imperfetto, ma forse in senso anche sostanziale, non scalda i cuori, e ci sta. Ma dal 46% all'87% c'è un MARE.
Una curiosità sul referendum del 1981. Erano presenti due opposti quesiti. Uno, proposto dai radicali, per l'abrogazione delle varie restrizioni previste nella legge che tuttora lo disciplina. Bene, i sì furono appena l'11%. L'altro, promosso dai cattolici del Movimento per la vita, e chiaramente finalizzato ad abrogare tout court la legge, impedendo l'interruzione volontaria della gravidanza, fu sì bocciato da un'ampia maggioranza, ma ottenne il consenso di un votante su tre. Quando ci si lamenta dell'equilibrismo mostrato da leader come Renzi e Grillo sulla stepchild adoption, con il placet alla libertà di voto dei parlamentari, bisognerebbe probabilmente riflettere su certi numeri.
Ma ci torneremo.
Rimanendo sulla questione referendum costituzionale, Giacalone è lapidario nel suo commento negativo :
" si fa passare una riforma costituzionale, il cui valore (negativo, non mi stanco di avvertire: quella roba è pericolosa) si chiarisce leggendola assieme al nuovo sistema elettorale, poi si vuole che il popolo si rechi alle urne confermando la prima, ma non avendo voce in capitolo sul secondo. L’obiettivo è il plebiscito. L’anticamera del voto politico, che eseguito con le nuove regole, porterà al monocolore. Una lama a doppio taglio, con la quale ci si sfregia inseguendo il trionfo, ma anche lasciando che in molti siano tentati dal tonfo. Perché, alla fine, non si vota pro o contro l’Ue o pro o contro la riforma, ma per elevare o affossare il furbo che s’è fatto venire in mente l’ida di approfittare del plebiscito. Né stupisce che chi ha il potere voglia comunque conservarlo, ma, come diceva bene Petrolini, infastidito da un loggionista rumoroso: non ce l’ho co’ te, perché così ce sei nato, ce l’ho con quello che te sta accanto e nun te butta de sotto" .
Più possibilista, nella sua critica costruttiva, Ainis.
Buona Lettura
Più quesiti per capire
la riforma
di Michele Ainis
Il festival della democrazia rischia di celebrarne i funerali. Succederà in ottobre, quando verremo convocati per esprimere un sì o un no alla riforma della Costituzione. Che grande invenzione, il voto: rende effettiva la sovranità del popolo, ci permette di scegliere i governi e i programmi di governo. Purché il voto sia libero, non sotto dettatura. Che grande invenzione, il referendum: rafforza il potere popolare, giacché consente ai governati di revocare le decisioni dei loro governanti.
Purché il quesito sia chiaro, univoco, puntuale. Altrimenti il voto diventa un plebiscito, una caricatura della democrazia. Ecco, il problemone che si staglia all’orizzonte è tutto in questi termini. Dopo di che, coraggio: ogni problema ha la sua soluzione. Ma per trovarla bisogna cercarla, bisogna accorgersi che c’è un nodo da recidere. Quanto ne sanno gli italiani della scelta cui verranno sottoposti? Secondo un sondaggio Ipsos eseguito per il Corriere (30 gennaio), soltanto il 7% è informato sui contenuti della riforma Boschi.
Molti sono al corrente, viceversa, degli effetti politici che s’accompagneranno al referendum: la sopravvivenza del governo, anzi della legislatura, anzi di Renzi, che ha annunziato di chiudere lì la sua avventura, se la riforma fosse respinta dall’elettorato. Effetti dirompenti, conseguenze capitali; ma non così importanti come il futuro della democrazia italiana, come il nuovo assetto delle nostre istituzioni.
Perché è di questo che si tratta: la revisione costituzionale che il Parlamento sta per licenziare tocca l’elezione e i poteri del Senato, dà una sforbiciata alle competenze regionali, abroga il Cnel e cancella le Province, investe i decreti del governo insieme alle leggi popolari, corregge il quorum per eleggere il capo dello Stato, confeziona nuove tipologie di referendum. E in ultimo affida a un referendum il suo stesso battesimo. Sennonché questo genere di consultazioni non ammette vie di mezzo: tutto o niente, prendere o lasciare. E se ti piace la riforma del federalismo ma non anche quella del bicameralismo? Dovrai sorbirti i dispiaceri per gustare i tuoi piaceri. Dunque il prossimo referendum sequestra la libertà degli elettori, ne violenta le scelte.
La prova? Qualora il voto cadesse su uno dei tanti referendum abrogativi che dal divorzio in poi sono stati sottoposti agli italiani,
Quindi l’unità di misura coincide con un Titolo della Costituzione, perché ogni Titolo sviluppa un unico argomento. Tuttavia quest’esigenza venne rispettata nel 2001 (con la riforma del Titolo V); non nel 2005 dal governo Berlusconi (55 articoli riscritti), non nel 2016 dal governo Renzi (40 articoli). Col risultato d’imprimere un carattere plebiscitario al referendum, per la genericità del suo quesito. La soluzione? Una leggina che permetta di spacchettare il referendum, intervenendo sulla disciplina regolata dalla legge n. 352 del 1970. Che del resto è stata già emendata cinque volte (nel 1975, nel 1995, nel 1999, nel 2000, nel 2001). E che anche adesso contempla la possibilità di svolgere più referendum costituzionali nella stessa giornata (articolo 20). Ma chi dovrebbe incaricarsi di suddividere il quesito? L’Ufficio centrale presso
Michele Ainis
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