Ovviamente sono lieto dei risultati delle elezioni amministrative appena concluse, in particolare dello schiaffone di Genova, oltre al cappotto toscano, dove fioccano i comuni persi dal PD.
Sono contento anche per il flop grillino, che peraltro si era consumato al primo turno, con l'esclusione della quasi totalità dei candidati pentastellati dal ballottaggio, senza contare la trionfale conferma del primo "traditore" storico della saga ortottera, quel Pizzarotti che è stato rieletto sindaco a Parma, nonostante l'ostilità degli ex compagni di avventura. Ma il buonumore finisce qui, perché la sensazione forte che, esaurito l'effetto novità che a suo tempo aveva gonfiato le vele del rottamatore e poi del guru anti sistema, sia più l'indebolimento degli altri due attori del tripolarismo italico a far vincere il centro destra, in elezioni comunque di portata limitata, che la resurrezione del Cavaliere, rievocata da qualcuno (anche Stefano Folli, su Repubblica, usa il "rieccolo" di montanelliana memoria per adombrare la suggestione dell'ennesima resurrezione dell'uomo del Male ), o il carattere vincente dell'alleanza di centro destra, agonizzante solo fino a pochissimo tempo fa e che ha tutti i suoi nodi - programmatici e di guida - irrisolti.
Questo per quanto riguarda i vincitori "meno deboli".
Più in generale, non sono così incoerente da ignorare il dato dell'astensione, solo perché stavolta ha morso i polpacci degli avversari : il 60% al primo turno e ben sotto al 50% al ballottaggio non sono bei dati per la salute del sistema democratico che ha nel voto uno dei suoi momenti di espressione più importante.
Ho scoperto una cosa che non sapevo : nelle elezioni comunali ci sono ben due quorum di presenza elettorale per convalidare il voto.
A Trapani, con meno del 50% dei votanti e meno del 25% dei voti al candidato primo (in questo caso anche unico, ché il competitor si era ritirato per guai giudiziari...), le elezioni non sono valide ed il comune è commissariato, per cui viene garantita l'ordinaria amministrazione - che in verità, se fosse decente, sarebbe già TANTISSIMO - fino alle nuove elezioni.
Il principio è sacrosanto, smentisce i mentori delle "migliori minoranze" (tipo Sabino Cassese, pur insigne giurista, che in questo però si contrappone alla posizione della Corte Costituzionale che salvaguarda il principio di rappresentanza) , e anzi semmai a me pare molto svenduto al ribasso. Mettiamo conto che a Trapani il 50% fosse alla fine andato a votare e il candidato "vittorioso" avesse toccato quota 25%, quale sarebbe la fiducia ottenuta da questo "primo cittadino" ? Quella di 17 elettori su 100, nemmeno un quinto... Meglio, mille volte, la sola ordinaria amministrazione.
Un'ultima considerazione.
Una volta la sinistra, variamente declinata, aveva l'ossessione del Cavaliere : vederlo sconfitto non era una cosa ma LA COSA.
Ecco, per la sinistra non egemonizzata da Renzi, che va da MdP di Bersani e D'Alema, a Sinistra Italiana di Fratoianni ( un reduce del G8 di Genova, pensa che campione...) , passando per Pisapia e gli eredi dei girotondini, popoli viola e fax, per finire agli ortotteri ex Pci, Pds, Ds, PD, vedere sconfitto l'ex rottamatore ha la stessa libidine.
Lo vogliono morto, e il putto toscano deve ringraziare il cielo che questo desiderio al momento interessi solo la sfera politica; per il Cavaliere si era passati decisamente a quella fisica, ancorché non molti lo avrebbero confessato a voce alta (diciamo che sarebbero stati contenti che altri avessero fatto il lavoro, i giudici per esempio, con quantomeno un soggiorno bello lungo nelle patrie galere ).
Indubbiamente renzino ha perso il tocco e l'unico scenario dove ancora mostra lo smalto dei tempi belli è nelle primarie piddine.
Già quelle di coalizione..., sente puzza di bruciato, e non a torto.
I ballottaggi confermano di essere una cosa assai indigesta per il PD, che vede in essi più spesso saldarsi l'alleanza "contro" dei suoi avversari. Quelli di centro destra non ci pensano su nemmeno un minuto, gli ortotteri si dividono tra quelli che appoggiano il candidato anti pd, e quelli che non votano. Voti in appoggio, ai dem del Nazareno, assai pochi.
Pensa con l'Italicum professor D'Alimonte ! L'avevi combinata grossa !!
Una sinistra sorda mediti sugli errori
A oltre sei mesi dal referendum perso il 4 dicembre, la sconfitta in queste comunali è grave proprio perché capillare. Difficile pensare di cavarsela affermando che si tratta di “fatti locali”
di STEFANO FOLLI
IN FONDO alle urne di un secondo turno desertificato dall’astensionismo, c’è la vittoria del centrodestra.
Vittoria netta e indiscutibile, a cominciare da Genova, città simbolo di queste elezioni comunali. Era una storica roccaforte della sinistra, da oggi avrà un’amministrazione di destra, sull’asse Forza Italia-Lega- Fratelli d’Italia che già governa la regione con Toti.
Ma le liste berlusconiane e leghiste si affermano un po’ ovunque, da Nord a Sud. Berlusconi dimostra di essere politicamente immortale: un moderno “Rieccolo” come ha detto qualcuno ricordando la definizione che Montanelli aveva coniato per Amintore Fanfani. Ma è un Berlusconi che nel settentrione deve molto alla Lega e anche all’afflusso degli elettori Cinque Stelle (quelli che si sono scomodati per andare a votare, s’intende). L’esclusione del partito di Grillo da quasi tutti i ballottaggi — tranne Asti e Carrara — ha avuto l’effetto di rinforzare i candidati del centrodestra a scapito degli avversari strategici del M5S, vale a dire le liste del Pd. Certo, è una magra consolazione per il movimento anti-sistema, le cui ambizioni erano più alte e che si è ritrovato di fatto a spalleggiare uno dei protagonisti del sistema contro l’altro. Annoverando per se stesso solo la vittoria a Carrara.
Per il centrosinistra invece è una sconfitta cocente e molto dolorosa. A parte Genova, anche altrove i dati sono sconfortanti. Si è molto detto circa la pretesa di Renzi di essere autosufficiente, cioè non condizionato dai gruppi alla sua sinistra.
Ma le liste berlusconiane e leghiste si affermano un po’ ovunque, da Nord a Sud. Berlusconi dimostra di essere politicamente immortale: un moderno “Rieccolo” come ha detto qualcuno ricordando la definizione che Montanelli aveva coniato per Amintore Fanfani. Ma è un Berlusconi che nel settentrione deve molto alla Lega e anche all’afflusso degli elettori Cinque Stelle (quelli che si sono scomodati per andare a votare, s’intende). L’esclusione del partito di Grillo da quasi tutti i ballottaggi — tranne Asti e Carrara — ha avuto l’effetto di rinforzare i candidati del centrodestra a scapito degli avversari strategici del M5S, vale a dire le liste del Pd. Certo, è una magra consolazione per il movimento anti-sistema, le cui ambizioni erano più alte e che si è ritrovato di fatto a spalleggiare uno dei protagonisti del sistema contro l’altro. Annoverando per se stesso solo la vittoria a Carrara.
Per il centrosinistra invece è una sconfitta cocente e molto dolorosa. A parte Genova, anche altrove i dati sono sconfortanti. Si è molto detto circa la pretesa di Renzi di essere autosufficiente, cioè non condizionato dai gruppi alla sua sinistra.
Ma queste amministrative dimostrano che anche laddove il Pd si presenta come centrosinistra allargato, comprendendo quindi la sinistra radicale, il risultato è ugualmente negativo. Si veda il capoluogo ligure, appunto, ma non solo.
La sconfitta — con l’eccezione di Padova — riguarda un ventaglio di centri troppo ampio per non suggerire urgenti riflessioni al vertice del partito renziano.
Ci sono tutte le città che contano. C’è persino L’Aquila, che alla vigilia veniva data per acquisita alla sinistra come emblema di un ritrovato rapporto con l’opinione pubblica dopo gli anni travagliati del dopo-terremoto.
A questo punto il Pd deve considerare i suoi errori. A livello locale ma soprattutto nazionale. Sarebbe miope individuare qualche capro espiatorio o peggio denunciare inesistenti complotti. È evidente che il partito ha perso credibilità e non riesce più ad afferrare il bandolo della matassa. A oltre sei mesi dal referendum perso il 4 dicembre, la sconfitta in queste comunali è grave proprio perché capillare. Difficile pensare di cavarsela affermando che si tratta di “fatti locali”. Quando gli aspetti, diciamo così, locali esprimono lo sfilacciarsi di un tessuto politico e sociale tale da abbracciare una porzione così significativa del territorio, significa che la rotta è sbagliata. E non si tratta solo di alchimie, di alleanze da cercare a tavolino o di un ceto politico da riconnettere. A questo punto c’è una relazione con il proprio elettorato che va ripensata prima che sia troppo tardi.
Ammesso che già non sia tardi. In verità il segnale del 4 dicembre è stato ignorato e oggi il partito di Renzi paga le conseguenze di questa sordità. Senza peraltro che altri abbiano in tasca la soluzione della crisi.
Quanto al centrodestra vincitore, il limite è che si tratta di elezioni locali. Nel senso che Berlusconi e forse anche Salvini sono i primi a sapere che l’alleanza vincente a livello locale non può essere riproposta tale quale a livello nazionale. Soprattutto se il sistema elettorale sarà proporzionale, con ciò incentivando la presentazione di liste separate. E non è solo questo. La linea di Salvini verso l’Europa non è conciliabile con quella dell’ultimo Berlusconi, di nuovo vicino al Partito Popolare e ad Angela Merkel.
A questo punto il Pd deve considerare i suoi errori. A livello locale ma soprattutto nazionale. Sarebbe miope individuare qualche capro espiatorio o peggio denunciare inesistenti complotti. È evidente che il partito ha perso credibilità e non riesce più ad afferrare il bandolo della matassa. A oltre sei mesi dal referendum perso il 4 dicembre, la sconfitta in queste comunali è grave proprio perché capillare. Difficile pensare di cavarsela affermando che si tratta di “fatti locali”. Quando gli aspetti, diciamo così, locali esprimono lo sfilacciarsi di un tessuto politico e sociale tale da abbracciare una porzione così significativa del territorio, significa che la rotta è sbagliata. E non si tratta solo di alchimie, di alleanze da cercare a tavolino o di un ceto politico da riconnettere. A questo punto c’è una relazione con il proprio elettorato che va ripensata prima che sia troppo tardi.
Ammesso che già non sia tardi. In verità il segnale del 4 dicembre è stato ignorato e oggi il partito di Renzi paga le conseguenze di questa sordità. Senza peraltro che altri abbiano in tasca la soluzione della crisi.
Quanto al centrodestra vincitore, il limite è che si tratta di elezioni locali. Nel senso che Berlusconi e forse anche Salvini sono i primi a sapere che l’alleanza vincente a livello locale non può essere riproposta tale quale a livello nazionale. Soprattutto se il sistema elettorale sarà proporzionale, con ciò incentivando la presentazione di liste separate. E non è solo questo. La linea di Salvini verso l’Europa non è conciliabile con quella dell’ultimo Berlusconi, di nuovo vicino al Partito Popolare e ad Angela Merkel.
Prima di immaginare una lista unica del centrodestra alle politiche, qualcuno dovrà cambiare idee e posizioni in modo netto. Forse è più facile prevedere che ognuno vada per conto suo a raccogliere voti per poi discutere nel nuovo Parlamento.
Un Parlamento che a questo punto potrebbe anche avere una maggioranza di centrodestra. Chissà se è lo scenario preferito da Berlusconi. Forse no: l’idea di governare insieme a un Salvini trionfante non è proprio in cima ai desideri del “Rieccolo” di Arcore.
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