Alla fine l'articolo del sempre bravissimo Fugnoli lo riporto per intero, perché è sempre interessante leggerlo, per me, forse meno ai lettori che non hanno in simpatia le cose di economia e finanza, ma la parte che maggiormente mi ha colpito, come al solito direi, stavolta un po' di più, è la premessa.
E' sempre nel cappello che Fugnoli cela il coniglio, ed è abilissimo in questo, catturando subito la curiosità del lettore, che poi, quasi per inerzia, finisce per leggere tutto l'articolo.
In questo caso non potevo non rimanere impressionato nel ritrovare così chiaramente ed esemplarmente riprodotto quanto personalmente meditato, nelle settimane scorse, nel leggere le polemiche sull'abbattimento, fatto o richiesto, di statue di personaggi storici del passato Americano (Jefferson, Washington e anche il nostro Cristoforo Colombo ).
Per un appassionato di Storia, vedere la riscrittura della stessa su basi retoriche e pretestuosamente etiche, del tutto decontestualizzate, fa venire il voltastomaco.
Lui lo scrive meglio.
Buona Lettura
Estrapolare è umano, ma può anche diventare diabolico
Benedetto Croce non è più di moda da un pezzo (oggi lo è
molto di più Gentile) ma la sua idea che la storia è sempre storia
contemporanea è viva e feconda.
La passione iconoclasta con cui in America
vengono distrutte le statue di Cristoforo Colombo e imbrattate quelle di
Jefferson e perfino di Washington (Jackson era già caduto in disgrazia da mezzo
secolo) è l’ennesima dimostrazione che l’hegeliano tribunale della storia
giudica sempre sulla base del diritto presente e mai su quella del diritto
vigente all’epoca in cui si svolsero i fatti. E in questa trappola cade perfino
il politicamente corretto, che nasce relativista e contestualizzatore e finisce
oggi con l’essere l’applicatore più zelante del giudizio di valore assoluto
sovraimposto a un passato totalmente decontestualizzato.
La tesi di Croce è talmente penetrante da valere non solo
per la storia del passato, che viene continuamente riscritta, ma anche per la
storia del futuro. La fantascienza, anche quella che tenta di spingersi nel
futuro profondo, è sempre, in filigrana, narrazione dei sogni e degli incubi
del presente in cui è concepita. La fantascienza degli anni Cinquanta è cupa e
paranoica, ma nel decennio successivo la prima serie di Star Trek è libertaria
e scanzonata e applica lo spirito della Summer of Love anche agli alieni. La
seconda e la terza serie diventano più composte ma conservano l’ottimismo
reaganiano e clintoniano dei loro anni. L’ultima, la più noiosa, diventa
finalmente politicamente corretta e rispettosissima della diversity di tutte le
forme di vita della galassia, ma per le troppe prediche fa crollare l’audience
e chiude ingloriosamente.
I poveri signori del Fomc si infliggono ogni tre mesi
l’esercizio di raccontare nei dettagli la storia del futuro, anche se i
dettagli sono limitati ai tre anni successivi. Non si accontentano, come fanno
tutte le altre banche centrali, di prevedere inflazione e crescita, ma si
spingono a immaginare il percorso puntuale dei tassi d’interesse nel triennio
considerato. Sarebbe già molto, ma,
osando l’inosabile, fanno anche di più e indicano il tasso
terminale di equilibrio, il tasso che la fine dei tempi lascerà in eredità
all’eterno.
Questo tasso verrebbe da immaginarlo scolpito nella pietra e
riportato eternamente uguale a se stesso in libri sapienziali fin dall’alba dei
tempi e invece cambia ogni sei mesi o quasi. Era del 4.25 nel 2012, scese al 4
nel 2013, al 3.75 nel 2014 e poi, sempre più velocemente, al 3.25 nel marzo
2016, al 3 in
dicembre e al 2.75 di oggi. È chiara la natura estrapolativa e non realmente
previsiva di queste stime. Se negli ultimi sei mesi l’inflazione e la crescita
sono state più basse di quello che mi attendevo, allora saranno più basse per
sempre e richiederanno un tasso finale più basso.
Per carità, ci mancherebbe, non è che umanamente si possa
fare di più. Già Popper dimostrò che, non essendo lo sviluppo della scienza
prevedibile, nemmeno può esserlo quello della storia, di cui la storia della
scienza è una componente. E figuriamoci quello dei tassi.
Il problema non è la fallibilità delle stime (solo chi non
fa non sbaglia). Il mercato, consapevole o inconsapevole, fa stime sul futuro
continuamente e quindi continuamente sbaglia e si corregge. Il problema è che
non sempre è chiara la differenza tra l’estrapolazione (la stima del futuro
esclusivamente sulla base di ciò che è noto oggi) e la previsione (la stima del
futuro sulla base
di ciò che è noto, ma anche delle incognite note e di quelle
ancora ignote).
Il discorso può sembrare astratto, ma ha implicazioni
terribilmente concrete. Oggi i mercati vedono un mondo in apparente equilibrio
e praticamente perfetto. L’inflazione è bassa e stabile (per la Bce fra due anni sarà
esattamente come oggi e per la Fed
sarà fra tre anni solo di 0.4 punti più alta), la crescita è regolare e il
tasso di disoccupazione, almeno in America ha smesso di avvicinarsi troppo al
livello che fa partire l’inflazione salariale e si è posizionato di recente in
un punto tranquillo e non pericoloso. In questo contesto le banche centrali,
pensa il mercato, avranno solo da fare ogni tanto modesti ritocchi all’insù dei
tassi, ma non così ampi come la
Fed continua a indicarci.
In un mondo bello e stabile, è sufficiente la forza
d’inerzia per fare salire le borse attraverso un rigonfiamento dei multipli. E
la forza d’inerzia, finché in tanti, non ha senso vendere adesso solo
perché i prezzi sono astrattamente cari. Se arriveranno ostacoli ci
ripenseremo, ma perché rinunciare a mesi, trimestri o anni di ulteriore
possibile rialzo?
Il problema è che fin da oggi sappiamo che il 2018 porterà
un ostacolo quasi certo e due interferenze poss ibi l i , non necessariamente
negative ma probabilmente destabilizzanti.
Il primo ostacolo quasi certo è che la liquidità globale
cesserà di crescere per la prima volta dal 2009 e si preparerà a scendere a
partire dal 2019.
Quanto alle due interferenze, parliamo della riforma fiscale
americana, che forse ci sarà e forse no, e della nuova Fed trumpiana, che forse
sarà uguale a quella di oggi e forse avrà invece un orientamento completamente
diverso.
Se ci sarà la riforma ma la nuova Fed sarà simile a quella
che conosciamo allora la borsa salirà, ma i tassi e il dollaro saranno più alti
di quello che pensiamo oggi. E prima o poi, tassi e dollaro da una parte e
borsa dall’altra entreranno in rotta di collisione.
Se poi ci sarà la riforma e la Fed cambierà registro e
diventerà (o ridiventerà) ultraespansiva, allora avremo borsa inizialmente
forte ma bond lunghi in serio affanno, perché le attese di inflazione
riprenderanno a orientarsi al rialzo.
Quella della Fed sarà per Trump una scelta difficile tra
establishment e consenso elettorale. Sarà difficile anche trovare, Yellen a
parte, un candidato repubblicano che non si sia bruciato, durante la campagna
elettorale dell’anno scorso, invocando una normalizzazione rapida della
politica monetaria, ovvero tassi molto più alti.
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