Finalmente si sono decisi quelli del Parlamento. Grazie alla meritoria sentenza della Cassazione 11504 del 2017 dove finalmente si poneva fine all'orripilante principio dell'assegno di mantenimento parametrato al "tenore di vita precedente".
Caso unico nell'esistenza delle persone, a dispetto degli accadimenti, compresa la fine dell'unione coniugale, i giudici intervenivano per assicurare al coniuge "debole" NON un sostegno economico commisurato alle sue eventuali difficoltà, MA per assicurargli il medesimo tenore di vita avuto durante il (fallito) matrimonio .
Una simile abnormità ha portato a situazioni paradossali, quale quella nota della Veronica Lario, donna ormai ricca di suo, per l'oculata amministrazione della sua condizione di moglie del paperone di turno, aveva ottenuto un assegno plurimilionario (tre milioni al mese !! poi "ridotto della metà...) perché comunque abituata a vivere in un castello, con tanti servitori, ecc. ecc.
Una follia !
Ma a parte questi casi limite, comunque non infrequenti, al di là delle cifre, in generale si assisteva ad un teorico spoglio del marito a favore della moglie. Dico teorico perché poi certi provvedimenti rimanevano sulla carta, trovando modo e maniera gli obbligati di sottrarsi, di fatto, all'incombenza.
Però molti sono stati anche i casi con uomini che, a causa dell'ottusa applicazione del principio detto, si trovavano di colpo privati della casa - che normalmente restava assegnata in uso alla moglie madre, affidataria prima esclusiva e poi principale dei figli - e con l' onere di un doppio assegno che alla fine impoveriva significativamente il coniuge "forte", permettendo a quello "debole" di cavarsela meglio. Eppure il fallimento era di entrambi no ?
Ne abbiamo parlato tante volte su questo blog.
La legge che disciplinava le separazione è vecchia di oltre 50 anni, ed era stata immaginata su QUEL tipo di famiglia italiana, oggi più spesso scomparsa. AL solito, il legislatore è molto lento a cogliere i cambiamenti, i giudici sono, specie recentemente, più solerti, ritenendosi ormai investiti di un ruolo di supplenza - quando non proprio penandosi essi stessi una fonte legislativa di fatto - riempiendo a piacimento i buchi lasciati o insorti.
Dopo la sentenza citata, ecco quindi che la politica si sveglia e mette in cantiere una legge che finalmente la fa finita per sempre con il "tenore di vita" e detta altri parametri, più razionali.
E quindi l'assegno di mantenimento resta per il coniuge debole, ma limitato a consentirgli, come giusto, un livello di vita decente e NON quello goduto in passato. Dopodiché, come già aveva suggerito il professore ed avvocato Cesare Rimini (post https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/05/scompare-il-mantenimento-del-tenore-di.htm), commentando a suo tempo la sentenza, si introducono dei criteri eventuali di indennizzo che tengano conto della durata del matrimonio e del sacrificio della propria posizione economico professionale in funzione della cura prevalente dei figli e della famiglia.
Se una donna si sacrifica 20 / 30 anni, rinunciando alla propria realizzazione lavorativa a favore della famiglia, sarà giusto, presentandosi le opportune condizioni economiche dell'altro, che questa cosa abbia un indennizzo.
Ma appunto si parla di matrimoni duraturi, di famiglie con figli cresciuti prevalentemente dalla madre...cose piuttosto rare oggi, dove i matrimoni, se finiscono, non superano mediamente i 14 anni, e dove la cura dei figli non è più onere esclusivo della donna.
Comunque, il ddl è stato appena presentato, e la legislatura è al termine. Prima di vedere veramente la nuova legge, affidiamoci - purtroppo - alle interpretazioni, variabili, delle corti.
Assegno divorzio: in
arrivo l'addio al tenore di vita per legge
Il ddl all'esame della Camera propone un assegno divorzile
che compensi le disparità provocate nei coniugi dalla fine del matrimonio,
tenendo conto di una serie di parametri diversi dal tenore di vita
di Lucia Izzo -
Un assegno destinato a "compensare, per
quanto possibile, le disparità" provocate nei coniugi dallo scioglimento o
dalla cessazione degli effetti del matrimonio, la cui determinazione è
vincolata alla previa valutazione, da parte del Tribunale, di una serie di
parametri tra cui le condizioni economiche del coniuge alla fine del
matrimonio, l'impegno nella cura dei figli, la mancanza di un'adeguata
formazione professionale a causa dell'adempimento dei doveri coniugali.
È quanto previsto da una proposta di legge, la n. 4605 (qui
sotto allegata), assegnata alla Commissione Giustizia alla Camera per l'esame,
che prevede di modificare l'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno
spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile.
Le problematiche legate all'assegno divorzile
La relazione introduttiva pone in evidenza le problematiche
emerse dall'analisi dei casi giurisprudenziali, dovute, da un lato
all'eccessiva entità dell'assegno disposto a favore del coniuge "debole",
mentre, in altri casi, alle difficili condizioni di vita in cui vengono a
trovarsi gli ex-coniugi (generalmente i mariti) costretti a corrispondere un
assegno che assorbe parte cospicua del loro guadagno.
Situazioni derivanti, secondo i relatori, dall'interpretazione
che una consolidata giurisprudenza fa della norma sull'assegno post
matrimoniale, ravvisando come primo presupposto e criterio di determinazione
dell'assegno, l'assenza di un reddito sufficiente a mantenere il tenore di vita
di cui si godeva in costanza di matrimonio.
"Tenore di vita": il contrasto giurisprudenziale
dopo la sentenza n. 11504/2017
In giurisprudenza, tuttavia, un segno contrario a tale
interpretazione è giunto dalla Corte di Cassazione (sent. 11504/2017), che ha
abbandonato il criterio del "tenore di vita" per quanto riguarda la
concessione e determinazione dell'assegno divorzile, sostituendolo con la
valutazione dell'autosufficienza economica del partner, interpretazione
avvallata da molti giudici di merito (per approfondimenti: Divorzio: la Cassazione dice addio
al tenore di vita. Ecco le motivazioni).
In base alla nuova interpretazione, l'ex coniuge che non
percepisca quanto è strettamente necessario per vivere può pretendere solamente
gli alimenti, senza che si possa fare alcun riferimento al rapporto
matrimoniale ormai estinto (per approfondimenti: Divorzio: assegno solo se l'ex
coniuge ha bisogno).
Altre sentenze hanno, invece, escluso che lo stato di
povertà sia il necessario presupposto dell'assegno divorzile, perseguendo
ancora il criterio del tenore di vita (per approfondimenti: Divorzio: a volte
ritornano. La giurisprudenza lascia spiragli all'assegno all'ex).
L'intervento del legislatore, secondo i relatori, diviene
dunque necessario per risolvere il contrasto giurisprudenziale venutosi a
creare, fissando precise linee normative rispondenti all'esigenza di evitare,
da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito
arricchimento e, dall'altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge
economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio,
dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una
buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o
di impresa.
Un'esigenza in linea anche con quanto stabilito dagli
ordinamenti europei, tanto da avanzare una proposta volta a prevedere, anche
nel nostro ordinamento, una soluzione di equità familiare tanto attesa dalla
società civile.
La proposta: assegno divorzile per compensare le disparità
La proposta prevede di sostituire il sesto comma dell'art. 5
della legge 1° dicembre 1970, n. 898, prevedendo una serie di disposizioni che
andrebbero ad applicarsi non solo allo scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio, ma anche delle unioni civili.
In sostanza, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o
la cessazione degli effetti civili del matrimonio (o con il provvedimento che
scioglie l'unione civile), il Tribunale potrà disporre l'attribuzione di un
assegno a favore di un coniuge, destinato a compensare, per quanto possibile,
la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio
crea nelle condizioni di vita dei coniugi.
Nella determinazione dell'assegno, inoltre, il Tribunale
dovrebbe preventivamente tener conto di una serie di circostanze, ovverosia: le
condizioni economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine
del matrimonio; le ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili
del matrimonio; la durata del matrimonio; il contributo personale ed economico
dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di
ciascuno e di quello comune; il reddito di entrambi; l'impegno di cura
personale di figli comuni minori o disabili, assunto dall'uno o dall'altro
coniuge; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive; la mancanza
di un'adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento di
doveri coniugali.
Tenuto conto di tali circostanze, prosegue la proposta, il
Tribunale potrà predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la
ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o
comunque superabili. L'assegno non sarà dovuto, invece, nel caso in cui il
matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente
l'assegno, degli obblighi coniugali.
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