mercoledì 2 gennaio 2013

SVEZIA, FINLANDIA ? NO GRAZIE. MEGLIO PIU' LIBERTA'



Molto bello, da conservare, il pezzo di oggi di Piero Ostellino che , come ormai di consueto, si dedica alla riflessione sui modelli di Stato e di Società, su  come lui propugni quella liberale e di come in Europa, a parte poche eccezioni, si sia affermato il modello statalista dirigista. Di come ci siano profondi motivi storici e culturali che abbiano privilegiato questo o quel sistema, e la predilezione italiana per lo Stato padre padrone ha molto a che fare con l'irresponsabilità individuale che così tanto ci caratterizza.
Ostellino fa riferimento alla triste trasmissione di Floris, Ballarò, nella quale venivano esaltati i modelli di welfare di Svezia e Finlandia. Della seconda non sapevo, ma della prima conosco il mito da quando nemmeno facevo il ginnasio (roba vecchia quindi ).
La Svezia è il paese dove lo Stato ti prende per mano e ti accompagna dalla culla alla tomba. Tu rispetta le regole, e lui provvederà a te. Piace. Perché ? Non si vuole diventare adulti prima o poi ? liberi e responsabili delle proprie scelte ? Anche in Svezia sono liberi...beh fino ad un certo punto in un posto dove quello che guadagno viene preso dallo Stato che deciderà lui, al posto mio,. come meglio utilizzarlo.
Due considerazioni banali, già fatte in passato. La prima : perché tutti i campiono sportivi svedesi, diventati tali, cambiano residenza  ( Borg, Stenmark, Edberg....) ? Non sono grati al loro bel paese e contenti quindi di dare il 60 o non so quanto per cento dei loro guadagni al Papà ? La Svezia è paese grande più dell'Italia e con 5 milioni di abitanti. Quanti tutto il Lazio. Un po' più semplice organizzare, fare, anche controllare. E infatti i loro servizi, per cui spendono così tanto, FUNZIONANO. Già non è giusto pagare tasse così alte, se poi ad esse non corrispondono servizi efficienti, figuriamoci.
Non torno sulla questione dei suicidi che è argomento abusato e anche esagerato. E' un fatto statistico che da loro, e in Finlandia, si uccidano il doppio delle persone che lo fanno da noi.  Hanno ipotizzato che dipenda dal particolare clima, dalla poca luce, dalla scarsa densità abitativa che acuisce il senso di solitudine.
Ma ci  sono paesi in Europa dove il tasso è superiore, almeno in Svezia vivono meglio, prima di decidere di lasciare questo mondo.
Questo solo per dire che non sottovaluto le eccellenze scandinave, ma se scegliessi un paese in cui vivere, preferirei la Svizzera in Europa, di gran lunga, e il Canada o l'Australia nel mondo.
Mi piace la LIBERTA', e quindi un paese dove possa decidere della mia vita senza tutti i diktat, le norme , i controlli con cui stiamo strangolando la vita delle persone in nome della sicurezza, del costo sociale, della solidarietà obbligatoria ( che è poi un po' un controsenso unire due parole come solidale e obbligato...).
Non che alcuni di questi valori non siano importanti , si tratta di EQUILIBRI.
E nello Statalismo e Dirigismo attuali la Libertà PERDE.
In genere si pensa sia più conveniente la SICUREZZA. Magari per scoprire alla fine che si è certamente meno Liberi, e poi nemmeno così sicuri.
Buona Lettura


MODELLI

Lo Stato sociale moderno Leviatano
Si scambia la sicurezza con la libertà


A «Ballarò» mostrano due casi «esemplari», svedese e finlandese, di Stato sociale. Dovrebbe essere la celebrazione di un welfare giusto ed efficiente e, invece, ne è, di fatto, la demolizione. Ma nessuna delle belle, e loquaci, intelligenze presenti in studio se ne accorge e fa notare che lo Stato sociale è, ormai, un postulato ideologico che - salvo casi, circoscritti e circoscrivibili, di assistenza ai più bisognosi e dei quali si fa carico anche la cultura liberale di mercato - non regge alla prova empirica della realtà, dei «fatti» diligentemente raccontati dagli esempi trasmessi. 

Lo Stato che assiste il cittadino «dalla culla alla tomba» è, anche e, forse, soprattutto quando è efficiente: 1) un non senso logico; 2) una forma di paternalismo pubblico che deresponsabilizza l'individuo e lo fa regredire a uno stadio semi-infantile; 3) una macchina costosa, che brucia risorse, ingrossa, e ingrassa, la burocrazia che la gestisce; 4) una mistificazione politica che dirigisti e statalisti utilizzano per comprarsi il consenso elettorale a spese del contribuente-consumatore di beni sociali che potrebbe produrre l'iniziativa privata. I servizi di «Ballarò» - che tacciono sulla tassazione dei due sistemi fiscali; che, ancorché alta a livello individuale, non incide negativamente su produzione e accumulazione di ricchezza - mostrano che, in Svezia e in Finlandia, lo Stato preleva, con i contributi previdenziali (necessari e legittimi) e le tasse (eccessivamente alte) - che «pagano tutti» (vivo compiacimento dei presenti alla trasmissione) - una rilevante quantità di denaro che, poi, restituisce, in parte, persino in contanti e/o attraverso una quantità di prestazioni mediche, scolastiche e genericamente pubbliche agli stessi cittadini.
Ora, a parte il fatto che quei cittadini le prestazioni di cui godono le hanno già pagate, in anticipo, con contributi previdenziali e imposte, il meccanismo sociale - che preleva con un mano e restituisce con l'altra del denaro - è un non senso logico.

Tanto varrebbe lasciare (almeno) una parte dei soldi prelevati con le tasse nelle tasche dei contribuenti; che ne farebbero ciò che meglio credono e si pagherebbero privatamente molte prestazioni ottenute per via pubblica. La soddisfazione che mostrano, inoltre, svedesi e finlandesi per tale assistenza pubblica rivela che nessuno di loro si rende conto del non senso logico. E qui occorre fare una digressione sulle due differenti strade percorse dalla civiltà occidentale.

Da un lato, la strada anglo-americana il cui modello istituzionale i coloni giunti in America avevano importato dall'Inghilterra liberale; un modello incarnato nel diritto di proprietà e nel principio di rappresentanza, la cui autonomia era derivata dalla Riforma religiosa protestante. Dall'altra, la strada europea, incarnata, dapprima, nel feudalesimo istituzionale, economico e sociale, poi, nel razionalismo giacobino e elitario francese e legittimata dalla dipendenza dalle autorità ecclesiastiche imposta dalla Controriforma religiosa cattolica. L'una, quella anglo-americana, foriera dell'individualistico spirito di iniziativa, e del corrispettivo principio di responsabilità, che hanno dato vita ad un Paese autenticamente liberal-democratico, e che si sostanzia nell'amore per la libertà e la democrazia, per non parlare della ricerca del successo professionale e della legittimità del denaro guadagnato col duro lavoro. L'altra, quella europea, fondata sulla collettiva dipendenza dal potere politico, ispirata a una religiosità ecclesiale, l'una e l'altra ben poco inclini ai principi di libertà e di responsabilità individuali, e caratterizzate da uno scarso senso del dovere e del lavoro.

Occorre, però, aggiungere, per correttezza, che lo Stato sociale è figlio della stessa insicurezza e della stessa paura del futuro che furono alla base della teorizzazione, nell'Inghilterra dilaniata dalle guerre di religione, dell'idea di uno Stato assoluto. La sostanziale assenza di ricorso a una sanità privata e la dipendenza pressoché generalizzata da quella pubblica, sostenuta da una fiscalità eccessiva, sono il corrispettivo della totale devoluzione dei diritti e delle libertà individuali al potere di un sovrano che avrebbe garantito i suoi cittadini dalla ricaduta nello stato di natura, dove l'«uomo lupo dell'uomo» si faceva giustizia da sé (Thomas Hobbes: Il Leviatano , 1561). Gli Stati in cui vive l'uomo europeo sono, a loro modo, il Leviatano contemporaneo.

Dei costi finanziari della burocrazia che gestisce il welfare - e che si ripercuotono sul bilancio dello Stato e sulle tasse - e dei guadagni elettorali della classe politica, né svedesi né finlandesi interpellati dalla tv pare avessero coscienza.

Succede dappertutto ed è un prezzo che i cittadini-contribuenti pagano alla democrazia rappresentativa. A fare la differenza, fra un Paese di cultura democratico-liberale e uno di cultura collettivista e dirigista, dovrebbero essere la presenza, alta ovvero ridotta, dell'intermediazione pubblica nella sfera privata e il diverso livello di fiscalità. Ma la situazione è ovunque la stessa perché lo Stato del Novecento si è esteso oltre i limiti e i costi della sua burocrazia sono finiti fuori controllo.

Ciò non significa, ovviamente, che sia auspicabile, e tanto meno sia considerata necessaria dalla cultura liberale, per far fronte alle carenze dello Stato contemporaneo, l'eliminazione dello Stato sociale e persino dello Stato stesso. Quello democratico-liberale, oltre che la sola, accettabile, forma di convivenza civile, rimane una garanzia di equità, di giustizia e di eguaglianza delle opportunità per i più deboli. Non dovrebbe essere, come invece spesso è, una fonte di sprechi finanziari, di clientelismi politici, di corruzione pubblica. Si tratterebbe, dunque, di analizzare dimensioni e funzioni dello Stato e, in particolare, di quello cosiddetto sociale, alla luce degli evidenti parametri negativi che ormai lo caratterizzano e di porre rimedio alle molte disfunzioni con una corretta riforma modernizzatrice. Che a questa, peraltro, neppure pensino burocrazia e classe politica è nell'ordine stesso delle cose.

Ciò che è stupefacente è che se ne disinteressino la pubblica opinione e chi la dovrebbe rappresentare (i media). E qui sta tutta la differenza fra un Paese di cultura liberal-democratica e uno di cultura collettivista e dirigista quale è il nostro. Che, non a caso, relega l'Italia agli ultimi posti delle classifiche mondiali per efficienza produttiva, funzionalità amministrativa e tasso di libertà.





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