lunedì 27 maggio 2013

"ERA VIVA QUANDO LE HO DATO FUOCO" . FINE ORRORE MAI.


Se questo è un uomo....così scriveva Primo Levi descrivendo l'orrore dei campi di concentramento e la disumanità degli aguzzini che li conducevano.
Mi sono venute in mente queste parole leggendo l'agghiacciante resoconto di Goffredo Buccini, giornalista del Corriere della Sera, che riporta stralci della confessione resa ai carabinieri dall' assassino di Fabiana Luzzi.
Lei sedici anni, lui tra poco 18, non ho capito bene se fidanzato o ex, comunque capace di dare sette coltellate e poi di bruciare vivo un essere umano.
Orrore su orrore, che finisce per scuotere anche quella parte di mondo (il paese dei due giovani) che pure commenta "ognuno di noi porta con sé il coltello, e insomma ogni tanto una coltellata ci sta..." .
Magari questa bestia avrà pensato che era troppo banale uccidere la propria ragazza, o ex che fosse, come in tanti che si leggono sui giornali. Meglio distinguersi.
In effetti, c'è riuscito.
Questa la cronaca sul Corriere on line


Corigliano, «Fabiana mi chiedeva di
non farlo. Era viva quando le ho dato fuoco»

Il fidanzato: «L'ho accoltellata, poi sono andato dal benzinaio» Era a terra ferita e mi insultava ancora, "bastardo" mi diceva...

Fabiana Luzzi (Ansa)Fabiana Luzzi (Ansa)
CORIGLIANO (Cosenza) - In mezzo al tratturo c'è una macchia di sangue, ora segnalata dal cartellino numero uno: qui si sono fermati col motorino, dopo la scuola, «vieni con me, adesso chiariamo amore mio, adesso parliamo»; qui, forse, lei l'ha insultato, non voleva più saperne di tornarci insieme, «lasciami in pace, capito?»; forse l'ha schiaffeggiato per difendersi e lui l'ha accoltellata, sette fendenti, nessuno mortale. Qui, dove c'è il cartellino, lei è caduta. Nella polvere ecco i segni del corpo trascinato, diciassette metri e mezzo, fino al fico che fa ombra sul muretto d'angolo. E qui lui l'ha lasciata, tra i rovi, a dissanguarsi. Qualcuno passando avrebbe potuto perfino salvarla, ma era controra piena, chi vuoi che attraversi dopo pranzo questo viottolo sterrato in contrada Chiubbica, alle porte del paese nuovo e sotto le pendici della rocca storica di Corigliano? Così è rimasta per quasi un'ora la piccola Fabiana Luzzi, dieci anni di danza classica, un portento a Ragioneria, tre sorelle che l'adoravano, sedici anni da compiere il 13 giugno: un'ora infinita, lì, ad aspettare che tornasse il suo boia.
Lui diciotto anni li farà ad agosto, dunque siamo ancora costretti a coprirlo con le iniziali: «D. M.». Nei titoli i giornali lo chiamano «fidanzatino»: ogni tanto le cronache ci consegnano questi mostri veri o presunti, vezzeggiati da diminutivi incongrui; «l'assassinino», scrissero una volta di un famoso biondino poi assolto e ora di nuovo sulla graticola. Una tenerezza da Peynet e una ferocia da mostro di Firenze si mischiano in dirette tv che nulla spiegano. Il fidanzatino vaga in paese, in quella controra del venerdì, un'amica di Fabiana lo vede rosso in faccia sul motorino e quasi si spaventa. È uno bruciat'i capa , un mezzo matto, dicono del resto qui al bar di via Nazionale: due sospensioni all'istituto geometri, qualche pasticca di troppo, forse.
«Mi sono fermato all'Agip, ho riempito una tanica di venti litri, sono tornato indietro, volevo incendiare il corpo. Ma lei era ancora viva. Mi insultava ancora, "bastardo", mi diceva... Le ho versato la benzina addosso, ho dato fuoco, lei strillava, "non farlo!", io mi sono scottato mani e faccia. Ho buttato borsetta e cellulare tra i fichi d'india, e pure il coltello. Sono andato in ospedale a farmi medicare e mi sono inventato le storie che vi ho raccontato prima. Ma è tutto falso. L'ho ammazzata io, Fabiana, però l'amavo. Eravamo gelosi, tanto». L'orrore in questo lembo di Calabria dove i carabinieri fanno continue operazioni antidroga e la 'ndrangheta rinasce ogni volta come la fenice, sta nella confessione del fidanzatino , sabato notte. Con la gente fuori dalla caserma che premeva, «datecelo e lo mettiamo in un bidone a rosolare».
Bel ragazzone, dicono, matto ma non stupido; vuotato il sacco, ha implorato: «Portatemi direttamente in carcere, per Corigliano non ci voglio passare. E poi sono stanco, ho sonno, voglio andare a dormire». Qui ti bastonano per un'occhiata storta. Lui, tra le mille balle raccontate prima della confessione, ha anche provato a spiegare le ustioni su mani e faccia mettendo in mezzo un paio di ragazzi in odore di 'ndrina: «Mi hanno buttato addosso un liquido infiammabile e se la sono presa anche con Fabiana». Storie di marijuana, aveva detto, lui la vendeva senza permesso. Menzogne. Sostenute fino al crollo finale, davanti ai carabinieri, sotto gli occhi di sua madre: in lacrime, tremando, di colpo bambino.
Ma qui non l'hanno presa bene. «La mafia non aggredisce le ragazzine», dice uno deciso, ufficialmente «netturbino», in piazza San Pio da Pietrelcina, Corigliano Scalo, sotto casa dei Luzzi. Non è vero, in generale, ma non è il caso di contraddirlo. «Tutti giriamo col coltello, qua, una coltellata ci può stare... ma quel maledetto l'ha bruciata viva». In un palazzo dignitoso che dà sulla piazza, al primo piano, la porta dei Luzzi è spalancata al lutto, mezzo paese si riversa in silenzio nel salotto buono e umile, contaminato dall'angolo cottura, cristalli e specchi dove si può. Esce Mario, il papà, venditore di autoricambi, un primo negozio bruciato anni fa dal racket, un secondo dove gli affari vanno bene.
Vestito di nero, pallido, composto; le figlie grandi stanno sul divano con la faccia tra le mani. Testimoni di Geova, come la mamma di Sarah Scazzi. La fede non basta a perdonare, ovviamente, nessuna fede basta da sola. Subito, già nelle prime ore della scomparsa di Fabiana, hanno puntato il dito sul fidanzatino , «è stato lui». Si schiude mezza porta della stanza di lei, si vedono due grandi cuori di pezza, un peluche, dentro ci sono i carabinieri. «Stiamo facendo delle cose importanti», dice il papà abbracciando chiunque. Probabilmente si lavora sui diari, si cerca un perché alla ferocia, manca un movente vero. «Lui la picchiava», dice la gente a mezza bocca, salendo le scale del palazzo. «Una volta lei aveva la faccia gonfia».
Vai a sapere, lui non può difendersi. C'era stata una denuncia a gennaio, subito ritirata, non ne resta traccia, il ragazzo non ha pendenze. Si mollavano e si pigliavano da due anni, un anno fa se n'erano scappati a Bologna insieme per un abbozzo di fuitina, e qualcuno dice che lei si vedesse con un amico di lui. Venerdì, all'uscita di scuola, lei l'aveva scorto sul motorino e aveva provato a svicolare, lui l'aveva quasi rincorsa. E allora? È questo lo sfondo plausibile di una barbarie? Fabiana era una bambina, la cucciola di questa casa dove adesso le pareti sembrano vacillare assieme alle gambe di papà Mario. Su Facebook, come sempre accade in questi casi, è spuntata una pagina per lei, «piccolo angelo», quasi settemila contatti. Nei post, canzoni di Ramazzotti e brani di interrogatorio di lui, filtrati chissà come, ma più veri del vero nel delirio dei social network . L'orrore è pop, ormai.
La distanza tra le famiglie pare palpabile in questa storia. E forse ha pesato tra i ragazzi. I genitori del fidanzatino vivono in una palazzina in mezzo alla campagna, a Gallo d'oro, ai margini del paese, in una zona che le ruspe stanno sbancando per fare posto a brutte villette a schiera. I fratelli del padre si affacciano dai piani di sopra, insultano i cameraman che fanno capolino tra i campi, incauti: «Vi ammazziamo, avvoltoi». Papà cassintegrato, mamma casalinga, famiglia disgregata da una separazione in casa, dicono in paese. Basta questo? Nemmeno. E allora il fidanzatino ci consegna intatto il suo mistero alla fine di questa domenica da cani. «Una volta che perdeva a tombola ha rovesciato il tavolo e lo zio se l'è dovuto pigliare e portare via», ammiccano. Già, era un bruciat'i capa . Come se sul tavolo da rovesciare, stavolta, ci fossero la vita sua e di Fabiana. Al posto della tombola.

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