Le occupazioni scolastiche sono un pochino in ritardo e mi sto preoccupando per questa disattenzione degli studenti italiani...se ci vengono tolte anche le poche certezze rimaste...
Per fortuna ci pensano il Dipartimento delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate a non farci mancare un assoluto ever green : la comunicazione che i dipendenti guadagnano più degli imprenditori.
Abbiamo il livello di tassazione alle imprese più alto del mondo, cui corrisponde un basso livello di retribuzione dei dipendenti. La media di questi ultimi viene certo alzata non dalle buste paga di quelli che lavorono nel settore imprenditoriale, ma da quelle dei funzionari e dirigenti pubblici (conteggiando anche i magistrati per esempio, che pure loro appartengono al pubblico impiego). Un costo del lavoro così alto, causa imposte e costi dell'energia elevatissimi, ci rende non competitivi in un mercato che, con la globalizzazione, è diventato feroce ( fatela voi concorrenza a paesi dove non sanno cosa siano i sindacati occidentali, italiani in particolare), taglia fuori una miriade di imprese, e il fatto che alcune, probabilmente grazie a particolari livelli di eccellenza e/o peculiarità dei prodotti, riescono ad esportare con successo, ha dell'eroico oltre che del miracoloso.
Resta che sono decine di migliaia le aziende, specie medio piccole (che le altre, le tengono su con vari imbrogli) scomparse negli ultimi due anni, anche per colpa dell'asfissia fiscale.
Eppure il ritornello arriva puntuale, come se in questi anni anche un solo centesimo sottratto all'evasione, tramite tutti queste gabbie e gabbiole (la riduzione del contante, la fine del segreto bancario, gli accordi con la Svizzera e potremmo proseguire a lungo) sia mai servito a ridurre il livello della tassazione, che anzi è sempre aumentato. In due suoi bei libri (La Repubblica delle tasse e La Sfida) Luca Ricolfi spiega molto bene queste cose : il peso insostenibile sulle imprese della imposizione fiscale (le aliquote scandinave, non parliamo di quelle, oniriche, irlandesi, ma anche le aliquote scandinave sono ormai migliori !) e la falsa narrazione dell'evasione fiscale. "In Italia l'evasione fiscale ha due facce" scrive il professore di statistiche e scienze sociali " Quelli che le tasse le potrebbero pagare e non lo fanno per guadagnare di più. La puoi combattere con più controlli ed aliquote ragionevoli. , che i maggiori controlli hanno come risultato un aumento dei prezzi. C'è poi un secondo tipo di evasione fiscale, di sopravvivenza e di autodifesa:" Il libro è di ottobre 2011. Dopo due anni questa cosa la dicono anche Fassina e , udite udite, Befera !
Nonostante questa consapevolezza, regolare arriva l'informazione ingannevole , favorita dalle forze politiche governative (ma non solo) che così distraggono l'opinione pubblica dai loro guasti e inefficienze, che trova nell'evasione il comodo capro espiatorio.
"Ma è un grande inganno. Se la lotta all'evasione viene condotta unicamente per aumentare le entrate è inevitabile che produca effetti recessivi. : disoccupazione (specie al Sud), aumenti di prezzo, contrazione dei consumi.". Tra l'altro, nemmeno è detto che in questo modo alla fine si abbia più gettito, perché quello che si prende in più è compensato, in negativo, da quello che si perde a causa dei fallimenti e al passaggio all'economia sommersa. Concludeva saggiamente Ricolfi che il "mostro" dell'evasione ha due genitori. E se la madre possiamo individuarla nella scarsa cultura civica, il padre sicuramente è il fisco oppressivo.
Alle sagge parole di Ricolfi, fa eco un altro conoscitore della materia, Davide Giacalone, che mette in guardia anche dai pericoli che nascono dall'aizzare l'invidia sociale. Non solo. Rammenta anche un'altra questioncina non da poco: il numero dei lavoratori produttivi e il peso che devono sopportare per campare gli altri
Da leggere
Incoscienza fiscale
Ogni anno è la stessa storia, con il Dipartimento delle finanze (ministero economia) e l’Agenzia delle entrate che diffondono un comunicato stampa sempre uguale: i dipendenti guadagnano più degli imprenditori. Quando il presidente della Repubblica si rammarica per il brutto clima che s’avverte, e meno male che lo avverte, farebbe bene a interessarsi anche degli uffici governativi che soffiano sul fuoco. Perché questo è l’unico effetto di quella prosa: scatenare la guerra fra contribuenti, fomentare l’invidia sociale, avvalorare l’idea che quel che manca a me dipende dal fatto che un altro lo ruba. Una guerra fra beoti, in realtà. Resta da stabilire se i sobillatori rientrano nella categoria, o s’iscrivono a quella di chi ne approfitta.
Dire: i dipendenti guadagnano più degli imprenditori non ha senso. Anzi, è disonesto. Fra gli imprenditori non ci sono solo, né prevalentemente, i proprietari di grandi aziende, ci sono anche molte imprese familiari, nelle quali si divide il reddito fra diversi soggetti. E non si tiene conto del fatto che il salario ai dipendenti è dovuto, mentre il reddito dell’imprenditore è una variabile del mercato. Ce ne sono tanti, ma tanti, che stanno stringendo i denti e resistendo. Come ce ne sono troppi non più in grado di reggere la pressione fiscale sull’impresa, figuriamoci di prendere per sé più di quel che prendono. Stringono i denti perché sperano in tempi migliori, ma anche perché considerano i dipendenti come dei familiari. E non si tiene conto del fatto che se la finanza profittatrice prende le aziende per spolparle e dissanguarle, portando via valore, il più numeroso plotone dei piccoli e medi imprenditori reinveste per crearlo, il valore. Sicché da una parte si dà loro addosso perché non investono abbastanza, dall’altra perché non guadagnano abbastanza. Ma il reddito d’impresa non è mica come lo stipendio dei burocrati che stilano questo genere di comunicati stampa: non basta fare lo scioperetto per averne di più, si deve lavorare, vendere, competere e far quadrare i conti.
Non solo: in un’economia globalizzata il grande imprenditore non è più il panzuto cumenda con il sigarone in bocca, ma una società di partecipazioni finanziarie, sicché quei redditi, quando non sono radicati dove il fisco è meno satanico, non compaiono nella lista delle imprese. Dove, invece, trova posto chi ha aperto un’officina meccanica e ha due collaboratori; chi ha aperto un negozio e paga quattro commessi; chi produce impianti elettrici e va a venderli o istallarli di persona. Se il suo reddito medio si ferma a 20.469 euro non è perché si tratti necessariamente di un evasore, ma perché più di quello non può permettersi di portare via (o considera conveniente lasciarlo in azienda, e che il cielo lo benedica). E se il reddito medio dei dipendenti è 20.680 è anche perché fra questi compaiono i non pochi burocrati pubblici che guadagnano assai di più. Per poi pubblicare ogni anno lo stesso comunicato stampa, destinato a far rodere il fegato agli altri.
Ciò, naturalmente, non significa che non esista l’evasione fiscale. Certo che c’è. Ma il modo migliore per non combatterla è quella di lisciare il pelo della rivalsa sociale e del moralismo un tanto al chilo.
Il dato interessante, anche questo non nuovo, è un altro: il 48,7% dei contribuenti sono lavoratori dipendenti e il 34,1 pensionati. Non ci vuole un genio delle tabelle attuariali per capire che troppo pochi ne mantengono troppi. Da una parte c’è l’invecchiamento della popolazione, che già di suo è un problema, dall’altro c’è che molti sono andati in pensione quando avrebbero potuto ancora lavorare, talché, oggi, 22 milioni di italiani lavorano e ne mantengono 38. L’Inps s’è accorto che i conti non tornano e l’equilibrio futuro è in pericolo. Peccato che lo negasse qualche mese addietro. Posto che chi lo dirige è pagato a peso d’oro e che compare nella lista dei dipendenti.
Solo il 5% dichiara un reddito prevalente da impresa. Questo, per un Paese come l’Italia, la cui ricchezza è data dal tessuto connettivo delle botteghe e delle imprese piccole, è un allarme. Ma i comunicatori ministeriali lo suonano per sollecitare la rivolta finalizzata a farli pagare di più. E’ vero l’esatto opposto: imprese e imprenditori sono troppo tassati.
Nessun commento:
Posta un commento