Dopo il clamore suscitato dal caso delle due baby prostitute, 14 e 15 anni, una con "ragioniera" degli affari la madre ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/10/la-specialita-della-casa-due-minori-di.html), con clienti della Roma bene, il Corriere della Sera ha deciso di avviare una inchiesta, la milionesima, sul sesso mercenario.
Nel leggerla, ci trovo la conferma di un dato noto ma volutamente ignorato dai paladini della lotta alla prostituzione tout court ( e non solo allo sfruttamento, com'è oggi) : la stragrande maggioranza di chi si prostituisce non lo fa per costrizione criminale. Esiste certo anche questa, ma è ormai assolutamente minoritaria (massimo 15% si legge nei dati presenti nella pagina dell'inchiesta). Certo, è anche vero che in molti casi chi si vende non parte da condizioni agiate, molte hanno avuto una vita sbandata, per famiglia, per povertà, e quindi non proprio una scelta fatta in situazioni ideali. Però, con cruda onestà, le intervistate spesso spiegano che di fronte ad una alternativa di un lavoro conisderato degradante ("pulire i cessi"...ma immagino che l'elenco si possa estendere ampiamente) e di pochi soldi, si preferisca un altro non più esaltante ma ben diversamente remunerato.
Del resto, chi ha visto di recente lo sceneggiato RAI dedicato alla Legge Merlin ricorderà il deprimente dialogo tra la figlia prostituta e la madre. La prima era fuggita dalla miseria di casa, dove l'onesto lavoro del padre a stento sfama una famiglia con troppi figli, e inizia il mestiere. Generosamente, passa buona parte dei soldi ai suoi, dicendo che ha trovato lavoro in una bottega di parrucchiera di alto livello. Il padre ci crede ( o fa finta), la madre no, e si addolora. PERO', quando la figlia felice le annuncia che presto si sposerà e finirà con quella vita, la madre s'incupisce : " ma a noi non ci hai pensato ?".
Insomma, meglio la figlia prostituta...
Poi ci sono le olgettine, intendendo la pletora di belle ragazze che scientemente preferiscono guadagnare 20.000 euro al mese (ma pososno essere molti di più), piuttosto che 1000-1200 facendo lavori normali.
Insomma, di fronte a certe cifre, la possibilità di regalarsi la vita delle pubblicità, quella piena di belle cose, se non basta lo squallore di unirsi con uno sconosciuto (che mica sono tutti signori di aspetto decente eh ?!) a fare da remora, figuriamoci le prediche sul mercimonio del corpo delle donne.
Intervenire con l'inasprimento delle pene, magari, come vogliono fare in Francia ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/10/le-prostitute-sono-un-diritto-rivolta.html ), multare i clienti, fingendo di ignorare che l'80% di queste donne SCEGLIE liberamente di vendersi, avrebbe come unico risultato l'aumento dello spazio delle organizzazioni criminali, come sempre accade scegliendo la strada proibizionista.
Aspettiamo comunque la seconda puntata, intanto ecco la prima
IL MERCATO DEL SESSO - INCHIESTA SULLA PROSTITUZIONE IN ITALIA
Contatti in Rete e incontri in casa
Le ragazze invisibili
Cinque telefonini a testa per gli appuntamenti. Il 10% è minore Cambiano spesso città o Stato: «La novità attrae più clienti»
stibile, vi aspetto». È l’ultima arrivata sul sito che raccoglie gli annunci delle escort. La foto della morettina, viso dolce e slip in pizzo con decor di roselline ai lati, piercing all’ombelico, i seni coperti pudicamente dalle mani, è una delle più caste della schermata. Ed è 100% verified, «genuina, approvata e confermata dallo staff». Scorrendo il suo annuncio si scopre che è ungherese, ha 23 anni, e ci sono pure peso, altezza, misure di busto-fianchi-vita, peli pubici e molto altro. Riceve in zona Vaticano, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Nella pagina di Firenze, Claudia si presenta senza chiaroscuri: «Sono semplicemente una bella donna italiana, non sono una ragazzina, né una bambola di plastica. Tutto naturale». E si conquista una recensione a cinque stelle: «Con lei ho avuto la sensazione di fare l’amore e non sesso, e non è una differenza da poco... è dolce, morbida, calda e non si tira indietro a niente...». 45 minuti, 120 euro. Tariffa medio-bassa per l’indoor, la prostituzione in casa. Qui i prezzi viaggiano tra 100 e 500 euro, più alti che per la strada, con punte fino a 2.000 euro per le offerte «premium» o «gold».
In Italia la prostituzione non è reato, quando coinvolge persone maggiorenni. La legge Merlin del 20 febbraio 1958, che abolì «case, quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso dove si esercita la prostituzione», punisce reclutatori, sfruttatori, proprietari o gestori di locali dove si esercita il meretricio. Non chi lo pratica né chi ne usufruisce, sempre che la prostituta non sia minorenne, come nel recente caso delle adolescenti ai Parioli. Una sentenza della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione (n.20384, 13 maggio 2013) ha stabilito che non è vietata neppure l’«attività diretta a pubblicizzare inserzioni di persone dedite alla prostituzione».
Via libera dunque ai siti di escort, annunci a luci rosse, forum di utenti che si scambiano impressioni, suggerimenti, indirizzi hot. Dalla strada alla casa: le donne che si prostituiscono indoor, pubblicizzandosi sulla Rete, sono sempre di più, decine di migliaia. Le stime non tengono il passo: chi è dentro non si vede, difficile contarle. La rivoluzione di Internet ha travolto anche il mondo delle «marchette», sempre più liquido, globalizzato, a portata di tutti. Bastano pochi clic per entrare senza filtri nella schermata giusta, scegliere dal catalogo virtuale il prodotto desiderato, quindi telefonare, incontrare, acquistare. Se hai una trasferta, prenoti online e trovi la sorpresa pronta in albergo, senza dover scendere dal concierge o al night. Il mercato non ha mai marciato così bene, uno dei pochi in Italia a non soffrire la crisi. E l’indoor garantisce pure l’anonimato: le prostitute, specie le italiane e le clandestine, si sentono meno esposte; la privacy del cliente è tutelata.
Un mondo sommerso abitato da sudamericane, est-europee, asiatiche ma anche tante italiane, che scivolano nella prostituzione come ultima ratio anti-crisi. «Erano stimate in un 10% del totale, oggi sono in aumento» spiega Mirta Da Pra Pocchiesa del Gruppo Abele di Torino. Donne come Lucia, 32 anni, tanto lavoro precario e poi il «mestiere», ma saltuariamente, «non a tempo pieno, quando serve» solamente. «Di andare a pulire i cessi della gente, io non ho voglia. Guadagno bene, non esagero, pago i conti e mi avanza anche per comprarmi qualche vestito firmato. Meglio che rubare, in fondo». Il motore non è la fame, spesso, ma il desiderio di migliorare il proprio status sociale o l’obbligo di mandare a casa i soldi, per le straniere. «Avevo già deciso di smettere. Ho frequentato un corso di cameriera ai piani. Ma dalla Romania chiedevano altro denaro, ho una figlia laggiù» e così Tatiana, 21 anni, ha rimesso l’annuncio online, convinta dalle promesse di un «fidanzato» italiano. «Dopo due giorni ho capito che m’imbrogliava».
Invisibili, ma vulnerabili. I clienti si innamorano, diventano ossessivi, violenti. Quello che succede dentro quelle quattro mura non è mai prevedibile: «Chiamano e arrivano un sacco di matti». E neppure fuori: «I clienti ti pedinano, ti inseguono», raccontano a mezza voce. Anche le cosiddette «indipendenti» devono avere qualcuno che le protegga. Li chiamano «persone che ci aiutano». In codice sono «i leonini». Altre sono blindate da vere e proprie organizzazioni criminali.
Per gli operatori della Fondazione Somaschi di Milano e delle Associazioni Lule, La Melarancia, Oltreconfine che hanno partecipato al progetto Fuoriluogo (finanziato dalla Fondazione Cariplo) l’approccio non è stato facile. Per tre anni hanno scandagliato gli annunci di 25 testate cartacee di Milano e altre province lombarde e oltre 100 siti internet, intercettato le prostitute al telefono (3078) offerto servizi sanitari, ascolto e informazioni sui programmi di protezione sociale: hanno ricevuto un sacco di no, alla fine hanno incontrato 499 donne. Solo quattro sono uscite definitivamente dal mercato del sesso a pagamento. Valerio Pedroni dei Padri Somaschi è comunque soddisfatto: «La prostituzione e lo sfruttamento sono un danno alla persona. Noi cerchiamo di ridurlo, offrendo opportunità di relazioni diverse. Dobbiamo sfatare il pregiudizio “salvifico” secondo cui queste donne dovrebbero finire tutte in comunità. A volte basta portare stimoli, sollecitazioni per fare scelte alternative: tornare in patria, scappare con un cliente».
Dalle sue parole e da quelle di Emanuele Omodeo Zorini dell’associazione Lule di Abbiategrasso esce l’identikit di una prostituzione nuova negli strumenti ma antica nella sostanza. Nelle «piccole case chiuse» ritornano le tenutarie, che spesso hanno scalato la gerarchia passando da controllate a controllanti. Le ragazze stanno in 2 o 3 nello stesso appartamento, ciascuna con 5 telefoni per gestire gli appuntamenti. Spesso si spostano da un appartamento all’altro ma anche da una città all’altra e perfino da uno Stato all’altro sui voli low cost, «in tournée», «perché chi rappresenta una novità è più attraente per i clienti». Il turn over è continuo. Le più difficili da intercettare sono le minorenni, che i Somaschi stimano in un 10% del totale, perlopiù rumene e albanesi, tra i 16 e i 17 anni. Come era Maria, oggi 19 anni, albanese: «Sono nata poverissima, a 17 anni sono partita per l’Italia, con un’amica, per cercar lavoro. Un uomo mi ha anticipato le spese di viaggio, solo quando sono arrivata mi ha spiegato cos’era il lavoro. Mi hanno fotografato, nuda, e hanno messo le immagini in Internet. Io stavo chiusa nell’appartamento, loro portavano i clienti. Ora voglio tornare in Albania, dimenticare».
Alcune donne esercitano «in autonomia», all’interno di appartamenti presi in affitto (a prezzo maggiorato), in genere in zone semi-centrali, comode per il parcheggio dei clienti, al primo piano per evitare al minimo gli incontri con altri inquilini. Rivolgendosi a terzi solo per la promozione e protezione. Altre lavorano in appartamenti affittati da un «amico» e pagano una diaria, in proporzione ai guadagni o prefissata. Molte vivono e lavorano in appartamenti gestiti da organizzazioni criminali, spesso in situazioni di grave isolamento e segregazione.
La presenza più massiccia è quella delle brasiliane, che prediligono l’indoor anche per non rischiare la retata, se clandestine. Seguite da rumene e albanesi che si spacciano per russe «perché fa più sofisticato». Tra le asiatiche il 60% è cinese, «impiegate» in centri massaggi più che in case. Nessuna di loro, probabilmente, ha mai letto gli scritti di Elisabeth Badinter, filosofa ed ereditiera francese, che rivendica il diritto alla «prostituzione libera, praticata da persone che decidono consapevolmente e senza costrizione di disporre del proprio corpo». Sono poche in effetti le donne totalmente ingannate e costrette a vendersi. Ma anche Emanuela Costa del Comitato per i diritti civili delle prostitute ammette: «Ho conosciuto davvero poche persone che hanno scelto liberamente di prostituirsi». Insomma, con buona pace della Badinter, il «mestiere più antico del mondo» è molto lontano dall’essere un passo avanti sulla strada dell’emancipazione femminile.
Mollare è difficile. Spesso la prostituzione è il punto conclusivo di una storia di marginalità, di botte o di abbandono. Dietro si nascondono sempre fragilità e disagio familiare. Come racconta una prostituta di 26 anni: «Sai cos’è il biliardo, no? Io ero come la palla nera, l’ultima a entrare in buca. Cioè non avevo un posto dove vivere. Una volta con mio padre, una volta con mia nonna, un’altra ancora con mia zia... Era così, tutto il tempo a rotolare sul tavolo da gioco».
«Tu ti senti come sporca», dice una «collega», rumena, che non riesce a pensarsi come qualcosa di distinto da quello che fa, «la puttana». Ritrovare un’identità: è uno degli obbiettivi principali dei progetti per l’accoglienza e la riduzione del danno, che ancora aspettano una decisione sui finanziamenti del Dipartimento Pari opportunità. L’anno scorso erano 8 milioni di euro, quest’anno chissà.
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