Minzolini è antipatico, e ci siamo. Più di Sallusti ? Se la battono. Molti dicono che sia anche un bravo giornalista (alcuni anche tra i suoi avversari) . Sicuramente, fu un Direttore del TG1 schierato come in genere siamo abituati solo a vederne su Rai 3.
Questo spiega la diffusa soddisfazione per la notizia che sia stato rinviato a giudizio per il reato di "abuso d'ufficio".
"Il gup Rosalba Liso ha fatto sua la proposta di processo della procura. Secondo il pm Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo attivo dal 2011, Minzolini avrebbe tolto la conduzione alla Ferrario senza ricollocarla in redazione per circa un anno. I volti del telegiornale hanno mansioni di caporedattore."
Letto così, sembrerebbe che il problema non sarebbe stato, come Minzolini ha sempre detto, che la Ferrario era "da 28 anni, cioè quattro generazioni di giornalisti, in video e voleva continuare a starci" , ma che tolta da lì sarebbe stata messa non so in quale limbo, senza essere "ricollocata".
Io voglio sperare assolutamente che sia la seconda cosa, anche se non ben chiara, e non la prima, che veramente avremmo l'ennesimo caso di abuso giudiziario. Come altrimenti definire il fatto che sia il Magistrato a decidere cosa possa o meno fare un Direttore di una testata giornalistica nella determinazione dei ruoli e dei compiti ?
A dire la verità, quando il caso scoppiò, che la Ferrario fece l'inferno per essere stata tolta dall'amato video, sembrava che in effetti il problema fosse quello per lei, e non che si sentisse demansionata perché chiamata a fare diversamente il suo lavoro. Però, ribadisco, non lo so con certezza e quindi, siccome SPES ULTIMA DEA, voglio appunto sperare che i nostri giudici non stiano avallando e proteggendo il narcisismo di una bionda signora.
Nel frattempo però il Direttore (in realtà ex, del Corsera, ma a noi piace chiamarlo così) Pierluigi Battista non sembra avere dubbi e scrive un commento avvelenato ( e ineccepibile, se la premessa è corretta) che di seguito riporto.
"Casta dei giornalisti Diritti inalienabili"
È vero, è abbastanza detestabile chi ripete ossessivamente a proposito di un provvedimento giudiziario: «Ma quanto costa alla collettività?». Ma quanto costa alla collettività il rinvio a giudizio di Augusto Minzolini, secondo l’accusa reo, da direttore del Tg1, di «abuso d’ufficio» per aver deciso l’avvicendamento dopo alcuni lustri di una giornalista dalla conduzione del telegiornale? Quante carte, scartoffie, atti, convocazioni, spese di cancellerie, onorari per i legali, permessi, timbri, bolli, marchi, rinvii, attese, lungaggini non per un brutale licenziamento, non per un attentato ai diritti inalienabili dei lavoratori, ma perché un direttore di un giornale decide di distribuire il lavoro in un certo modo nella sua redazione?
Che poi magari sarà pure un modo sbagliato, chissà. Però magari un’altra parte della redazione avrà considerato sbagliato pure che per tanti anni, malgrado tutti i discorsi sul rinnovamento e sul male fatto dall’immobilismo, una stessa persona abbia occupato un posizione che, se procrastinata fino all’eternità, può persino apparire come un’opportunità sottratta ad altri colleghi, magari più giovani, e addirittura meritevoli. Ma insomma sarà pur diritto di un direttore scegliere di mettere una notizia in prima pagina o no? Oppure è abuso d’ufficio stabilire la lunghezza di un articolo anche se l’estensore lo vorrebbe più visibile? E può essere sottoposto a giudizio, con un cero esborso delle casse pubbliche, la scelta di un capo di organizzare al meglio le forze di cui dispone? Poi magari fa un errore. Ma sarà l’editore, in quel caso, a sanzionarlo. Non in un’aula di tribunale, con tutto l’arretrato che si accumula e impedisce di ottenere giustizia a chi ne avrebbe tutti i titoli.
Che poi, a ricasco, non ci fanno una bella figura i giornalisti, percepiti come beneficiari di un trattamento privilegiato, inimmaginabile per qualsiasi lavoratore «normale». Una «casta», per così dire, di inamovibili, che considera una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo un’apparizione negata nell’edizione di massima visibilità di un telegiornale. Che poi, ancora a ricasco, non ci fa una bella figura la Rai, percepita come un carrozzone in cui si fa carriera per motivi politici, in cui i destini dei singoli sono determinati dalla minore o maggiore sintonia «politica» con il direttore di turno. Che poi, davvero, sempre a ricasco, uno è costretto a chiedersi in che mondo vivano i magistrati, come credono che funzioni, in tutto le democrazie che prevedono un’ampia e, questa sì, decisiva protezione sindacale, l’organizzazione di un posto di lavoro. E perché dovrebbe essere un organo giudiziario a stabilire quanti minuti di video siano riservati a un giornalista e quanti eventualmente negati ad altri. Come se il momento della decisione fosse un reato da perseguire, addirittura un «abuso d’ufficio». Intanto la parola alle carte bollate, monumento imperituro dell’ennesima perdita di tempo. E di denaro pubblico.
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