giovedì 15 maggio 2014

"NESSUN COMPLOTTO". NEMMENO UNA COSA TROPPO TRASPARENTE PERO'.


 Sono sempre stato un estimatore di Giuseppe Turani, giornalista esperto di cose economiche, antesignano di uno stile chiaro ed esemplificativo che rendeva intellegibile e anche piacevole la lettura di una materia altrimenti ostica. Ha fatto scuola, che addirittura professoroni di economia, come Tremonti, Zingales, Alesina e Giavazzi (questi due un po' meno), sono diventati dei bravi divulgatori di economia. 
Faccio questa premessa per non essere sospettato di malevolenza quando dico che il "nostro" sta invecchiando male. A 73 anni ha perso ottimismo e ironia - che invece caratterizzano gli articoli di un suo collega, amico ed allievo, Alessandro Fugnoli - e le sue opinioni si sono tinte di fosco.
Ogni tanto poi si prende una "cotta" per qualcuno (tempo fa Monti, adesso pare il turno di Renzi) che spera salverà l'Italia, lo difende a spada tratta, e poi tace di fronte al fallimento, laddove sarebbe onesto, da parte di un'opinionista, dire anche "scusate, mi ero sbagliato". In questo, deve essere rimasto influenzato dal suo vecchio direttore, Eugenio Scalfari, che  si è sbagliato tante volte senza ammetterlo MAI.
Credo che Turani abbia perso il dono dell'obiettività, o almeno della ricerca della stessa. Ha i suoi pregiudizi, e sfrutta intelligenza e talento, che possiede in larga misura, per spiegarli e difenderli. 
In questa occasione, si è adoperato per sostenere che nel 2011 non ci fu nessun complotto per costringere Berlusconi a dare le dimissioni.
Tutte le considerazioni contenute nell'articolo, che trovate di seguito, sono corrette, perché corrispondono a dei fatti. Però Turani non entra minimamente nel merito delle affermazioni fatte ormai da più fonti : il libro di Friedman, l'intervista a Zapatero, gli articoli del FT e oggi il libro dell'ex ministro del tesoro americano. In base ad esse in Europa non ci si limitò ad esprimere preoccupazioni - ovvie e legittime - e ad esercitare pressioni sul diretto interessato - Berlusconi - perché adottasse provvedimenti ritenuti necessari, ma si studiò come COSTRINGERLO a farlo. E questa è cosa un po' diversa. Senza contare che ormai sono in molti, e non tra gli euroscettici, a spiegare come la difesa dell'Eurozona come la intendevano - e la intendono ancora, parrebbe - i vertici europei (escluso Draghi, che poi è quello che l'Euro l'ha salvato, finora) non è quella giusta.

Ma questo è un altro discorso, e ne parleremo commentando il libro di ZIngales appena uscito e appunto intitolato "EUROPA O NO".


Ma quale complotto?



Berlusconi e i suoi amici si sono gettati sulle parole dell’ex capo del Tesoro americano per gridare al complotto: in Europa hanno tramato per farlo fuori (cosa che poi è avvenuta). L’ex Cavaliere non lo dice ancora apertamente, ma è chiaro che indica in primo luogo il cancelliere tedesco (la signora Merkel) e subito dopo l’ex presidente francese Sarkozy. Insomma. Ha dovuto lasciare la guida del paese perché “tradito” da due paesi stranieri con complici in Italia.
Il solito Renato Brunetta ha addirittura chiesto che si faccia una commissione parlamentare d’inchiesta sull’intera vicenda.
In realtà, sui tratta solo di un gran polverone e niente di più. Per capirlo basta riflettere su alcuni punti:
1- Che nel 2010 e nel 2011 in Europa fossero tutti preoccupati per la situazione dell’Italia è noto. Non è un mistero, ne hanno parlato tutti i giornali. In Europa temevano, giustamente, che un collasso dell’Italia avrebbe avuto conseguenze molto serie sulla tenuta e la credibilità dell’euro. E questo, in un momento già difficile per l’economia internazionale, sarebbe stato un vero disastro.
2- A preoccupare tutti (stranieri e italiani) non era solo il fatto che l’economia italiana fosse sull’orlo del baratro, ma anche la circostanza che il governo Berlusconi (allora in carica) non aveva più una netta maggioranza in parlamento. Si reggeva sul soccorso di gente che passava da uno schieramento all’altro con una certa disinvoltura. Ma, in realtà, con l’uscita di Fini dal Pdl Berlusconi non aveva più una netta maggioranza.
3- Inoltre, è abbastanza noto che non correvano buoni rapporti fra lui e il suo ministro dell’economia, Giulio Tremonti. E questo aveva provocato più di un’incertezza nella politica economica italiana, nonostante le richieste (piuttosto secche) della Banca centrale europea e di Bruxelles.
4- Ma la prova regina del non-complotto viene fornita dallo stesso Berlusconi nel momento delle sue dimissioni. Non tenta nemmeno di andare in Parlamento per vedere se ha ancora una maggioranza oppure no. Va dal presidente della Repubblica e gli dice che vuole andarsene, pacificamente e senza fare storie. Nessuno lo obbligava a quel passo, se non il fatto che non aveva più una maggioranza netta e il fatto che, quasi certamente, l’Italia (incapace in quel momento di avere una politica economica seria) sarebbe finita sotto l’amministrazione straordinaria della Troika (Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea)
5- Va dato atto al Berlusconi di allora di aver capito quanto era grave la situazione e di essersi fatto da parte volontariamente per consentire una diversa gestione dei problemi italiani e un più stretto raccordo con Bruxelles e la Banca centrale europea, dove intanto era arrivato l’italiano Mario Draghi (proprio su designazione dello stesso Berlusconi).
In quel momento Berlusconi si è comportato da vero statista: ha capito che la sua stagione era finita, che alcuni rapporti con l’Europa e i mercati si erano irrimediabilmente guastati, e ha lasciato il campo. Non solo: ha poi garantito un buon appoggio al premier Mario Monti, che aveva preso il suo posto e che aveva trovato l’Italia con uno spread sopra quota 500, a un passo dal disastro e dall’intervento della troika.
Monti, poi e sempre con l’appoggio di Berlusconi, ha varato in pochi giorni una riforma delle pensioni che ha evitato il peggio e che ha consentito all’Italia di ragionare sui propri guai e di prendere qualche misura di risanamento.
In conclusione, non c’è stato alcun complotto. C’è stato, piuttosto, un certo insuccesso politico e economico di Berlusconi. La chiave della sua uscita da palazzo Chigi va cercata qui e non in trame da romanzo di spionaggio.

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