martedì 20 maggio 2014

PERCHE' NEL MONDO CIVILE UN ELETTO E' PIù "CITTADINO" DEGLI ALTRI

 
Ieri, commentando l'articolo ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/la-liberta-di-un-uomo-carne-da-campagna.html ) di Massimiliano Annetta che biasimava fortemente la vicenda Genovese, deluso in particolare dal "suo" PD,  un comune amico, piddino anche lui e più calato nella campagna elettorale,  osservava che non bisognava esagerare col garantismo (lui  garantista lo è, doc) che si correva il rischio di divenire fanatici. In ordine al problema specifico scriveva "Su Genovese ferma restando la mia avversione alla custodia cautelare mi sfugge xche' sia il parlamento a dover discutere dell'art 274 cpp e nn i giudici come per ogni mortale".
Bene, non amo Sergio Romano, ma oggi la sua risposta sul Corsera ad un suo lettore, che riecheggiava, con toni più casarecci, il fastidio per l"immunità politica", mi torna comoda.
Un eletto, un rappresentante del popolo che siede in Parlamento, gode di particolari garanzie, e questo in tutti i paesi dove lo Stato di Diritto ancora regna decentemente.
Il che vuol dire che nel nostro scricchiola, e da un bel po'. 
 


L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE
 NEI PAESI DELLA «COMMON LAW»



"Che cosa succede a un parlamentare indiziato per un delitto grave nel diritto anglosassone, la «common law»? Intendo per grave quello che loro chiamano «felony», vale a dire: omicidio, anche colposo, violenze, incendio doloso, evasione fiscale, frode, smercio di narcotici, intralcio alla giustizia, e cosi via. E come si comportano le democrazie che sono rette dal diritto «civile», di origine napoleonica, come quella italiana o francese? È diverso? Lo chiedo pensando ai parlamentari accusati di un delitto grave che rimangono al loro posto per anni, di appello in appello, fino al giudizio definitivo.
Frank Rizzo, Roma
Che a decidere l’ arresto di un cittadino italiano — in teoria con diritti pari ai miei e di chiunque altro — siano i parlamentari, mi suona come un’incredibile barzelletta. Stento a credere che anche negli altri Paesi del mondo (dittature a parte) esista questa sorta di immunità politica.
Franco Milletti
milletti@email.it

Cari lettori,
Le vostre lettere affrontano aspetti diversi di una stessa questione: il trattamento che un’Assemblea riserva a un parlamentare incriminato o condannato. Quella che Franco Milletti giudica, con riprovazione, una «immunità politica», è in realtà una delle garanzie che hanno permesso ai Parlamenti di tutelare la proprio indipendenza contro le intromissioni dei sovrani e le decisioni di una magistratura tradizionalmente al servizio del trono o del potere esecutivo. 

La diffidenza con cui molti italiani considerano oggi i loro deputati e senatori non dovrebbe autorizzarli a dimenticare che non vi è democrazia là dove il Parlamento non può garantire a se stesso un alto grado d’intangibilità. Il caso della Gran Bretagna è significativo. La magistratura britannica può processare un parlamentare e infliggergli una pena detentiva, ma non può impedirgli di partecipare ai dibatti ed esercitare il diritto di voto. Toccherà alla sua Camera, se mai, limitare con decisioni autonome le sue prerogative.
Il caso degli Stati Uniti è forse ancora più interessante. In linea di principio un candidato incriminato continua a godere dei diritti collegati alla sua funzione e può addirittura candidarsi al Congresso in una successiva tornata elettorale. Ma il Congresso, a sua volta, può diventare per lui una specie di magistratura straordinaria. Può impedirgli, anche nella fase che precede il processo, di presiedere una commissione o un gruppo parlamentare. Può condurre una indagine parallela. Può privarlo del diritto di voto se è condannato a una pena detentiva superiore ai due anni. La Camera dei rappresentanti, in particolare, può infliggergli una misura disciplinare: ammonimento, censura, riduzione del trattamento pensionistico nel caso dei reati di corruzione. Se il caso è particolarmente grave, la Camera dei rappresentanti può anche espellere un suo «congressman»; ma soltanto se la maggioranza è composta da due terzi dell’Assemblea.
In altre parole, cari lettori, nessun parlamento democratico può interamente rinunciare a essere giudice dei suoi membri. Se questo accadesse, il Legislativo smetterebbe di essere un potere e l’unico potere pressoché totalmente autogovernato sarebbe quello dei magistrati.

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