giovedì 11 dicembre 2014

I NOSTRI AFFARI CON QUEI CATTIVI DELLA GERMANIA



Sicuramente il grado di simpatia degli italiani (non solo loro) nei confronti dei tedeschi in questo momento non è precisamente ai massimi, e le ragioni le sappiamo : alla Germania rimproveriamo di essere gendarme arcigno ed eccessivo del rigore dei conti, con Diversi osservatori economici, anche italiani, contestano questa narrazione, dividendosi a loro volta in due scuole di pensiero : una che dice che dopo aver fatto le cicale per decenni, vivendo al di sopra delle nostre possibilità, indebitandoci in modo insostenibile, ora dobbiamo pagare il prezzo della nostra follia, l'altra che auspica gli eurobond, ma come strumento per finanziare vere riforme che favoriscano, nel tempo, sia la crescita che l'abbassamento dei debiti. 
SI tratta comunque di una minoranza, ancorché non esigua.
Danilo Taino, nel suo articolo di oggi sul Corriere, ricorda opportunamente come Germania e Italia abbiano importanti interessi economici in comune, rappresentando l'una per l'altra fondamentali mercati di esportazione ( da notare : per noi di più, visto che la Germania è il primo paese per volume di nostre esportazioni, mentre per loro noi siamo il settimo). Il volume di questi affari, pur in tempo di crisi, macina cifre ragguardevoli, e la politica deve stare attenta a soffiare sul fuoco dei rimproveri e delle recriminazion reciproche.



L’alleanza politica da ricucire
tra i due motori dell’europa



Qualche giorno fa, l’amministratore delegato di una banca tedesca notava che la distanza tra Milano e Francoforte (o Monaco) non è di molto superiore a quella tra Milano e Roma. E soprattutto che, in termini di business e di comprensione reciproca, l’Italia del Nord è molto più vicina alla Baviera e al Baden-Württemberg che non a una buona parte delle altre regioni italiane. C’è in effetti uno strabismo tra realtà e percezione nel rapporto italo-tedesco. Non è sempre stato così e a provocare questa divaricazione non è stata solo la Grande Crisi degli scorsi sei anni: c’è di più. Il convegno di oggi e domani a Torino — l’Italian-German High Level Dialogue organizzato dall’Ispi, che sarà aperto dai presidenti Gauck e Napolitano — è un’occasione per capire cosa non funziona tra Berlino e Roma. Forse, per iniziare a ricucire la relazione.
Dal punto di vista dei fatti, il rapporto è straordinariamente forte. Per l’Italia, la Germania è il primo mercato di esportazione, per la Germania (campione mondiale di export) l’Italia è il settimo. Ma l’interscambio è così bilanciato da non creare distorsioni e conflitti: le merci e i servizi che attraversano le Alpi da Sud a Nord valgono 49 miliardi, quelle in direzione contraria 54 (dati 2013). Si tratta delle due economie europee in cui l’industria riveste il ruolo maggiore: 490 miliardi (dato 2011) il valore aggiunto manifatturiero tedesco, 208 quello italiano, ben più di Francia, Gran Bretagna, Spagna. Nella meccanica non elettronica, nella manifattura di base e nelle apparecchiature elettriche, la Germania è il primo esportatore al mondo e l’Italia il secondo; nel tessile, le posizioni sono invertite. Germania del Sud e Italia del Nord sono, integrate, il maggiore cuore industriale del continente.
Due economie che spesso avanzano di pari passo: le imprese della Baviera e del Baden-Württemberg hanno livelli di integrazione profondissimi con imprese lombarde, trivenete, piemontesi, emiliane che forniscono loro componenti, automazione e tecnologia sofisticata. Si tratta di relazioni decennali fondate su consuetudine, contrattualistica e standard così elevati da non essere state messe in discussione nemmeno dalla crisi e dalle difficoltà italiane ad affrontarla. Non solo: nella Penisola operano duemila imprese tedesche con un fatturato di quasi 60 miliardi di euro e 125 mila occupati. E gran parte di esse stanno rafforzando la loro presenza, da Deutsche Bank ad Allianz, da Bayer a Basf.
In politica, però, la relazione, inattaccabile sul versante economico, è entrata in confusione. In parte per ragioni contingenti. A Berlino si ritiene che, dalla nascita dell’euro, l’Italia non abbia fatto le riforme che si era impegnata a fare e non abbia tenuto sotto controllo i conti pubblici con il risultato di creare tensioni nell’intera eurozona. A Roma si critica la rigidità e l’inflessibilità dell’ortodossia tedesca in fatto di stabilità finanziaria. Differenze di interessi immediati e di impostazione politica. Alla base di queste incomprensioni, c’è però di più delle divergenze su Eurobond, patto di Stabilità europeo e ruolo della banca centrale. C’è che i rapporti politici, che per quattro decenni del Dopoguerra hanno cementato la relazione tra Italia e Germania e sono stati uno dei pilastri della costruzione europea, dagli Anni 90 si sono azzerati.
In precedenza, i rapporti tra le due democrazie cristiane, Cdu-Csu e Dc, erano profondi e continui, a cominciare dall’intesa tra Adenauer e De Gasperi: due partiti se non fratelli almeno cugini stretti e collaborativi. Lo stesso si può dire dei socialdemocratici tedeschi e dei socialisti italiani, con una coda importante negli incontri tra la Spd e l’Eurocomunismo (dei quali Napolitano fu protagonista). È anche su queste gambe che ha camminato a lungo l’integrazione europea. Tutto è però finito nei primi Anni 90 con il crollo dei partiti storici in Italia e con la trasformazione della Germania Occidentale di Bonn nella Germania unificata di Berlino, più rivolta a Oriente. Oggi, l’unica comunicazione politica stabile tra le due capitali è quella perseguita con pervicacia dal presidente Napolitano (oltre a quella tra il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier e Federica Mogherini, che però non parla più a nome dell’Italia). È una relazione da ricostruire: è il motore stesso dell’industria europea a chiederlo.
PS: non è detto che aiuti a rafforzare la fiducia tra Germania e Italia il fatto che il vertice di Torino si tenga, nella sua seconda giornata, domani, in concomitanza con lo sciopero generale di Cgil e Uil. E con la manifestazione e il comizio di Susanna Camusso che si svolgeranno proprio nel capoluogo piemontese.

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