giovedì 18 dicembre 2014

"SIAMO TUTTI AMERICANI". TORNA LA BANDIERA A STELLE E STRISCE ALL'AVANA



Ironicamente qualcuno si domanda come reagirà Gianni Minà alla ferale notizia degli americani che tornano a Cuba, creando i presupposti certi della fine del castrismo, peraltro già in atto da tempo.
Del resto, un regime che economicamente ha sempre avuto bisogno del sostegno di determinanti supporti esterni - fino a che è esistita, l'Unione Sovietica, poi il Venezuela -, doveva per forza trovare altre soluzioni stante la crisi dei propri protettori. 
Raul Castro aveva già avviato una serie di riforme, cercando di attuare la soluzione cinese : crescente libertà economica (piccole cose, del resto proporzionate ai mezzi dell'isola) senza che ad essa corrisponda quella politica. Con le porte aperte agli americani, e tutto quello che questo comporta a livello di prodotti utili per la diffusione popolare dell'informazione libera, non sarà affatto semplice conservare il regime, oltretutto privato del collante nazionalista e patriottica della resistenza contro gli "yankee". 
Fidel Castro è vecchio e malato, forse gli verrà risparmiato l'ultimo atto di un tramonto, quello del castrismo, in atto da tempo. 


IL LUNGO ADDIO AL CASTRISMO
di Franco Venturini


Non mi faccio illusioni, ha detto Obama. Con ragione, perché nessuno può garantire che il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, dopo mezzo secolo di ostilità, serva a portare la democrazia nell’isola. Ma se il capolavoro diplomatico di papa Francesco dovrà sottoporsi alla verifica dei fatti, è comunque impossibile non riconoscere sin da oggi che una pagina di storia è stata voltata. Eravamo all’inizio del 1961 e il líder máximo Fidel Castro aveva scelto l’alleanza con l’Unione Sovietica, quando vennero interrotte quelle relazioni diplomatiche che ora saranno ristabilite. Poi vennero in rapida successione il fallito sbarco alla Baia dei Porci, l’embargo economico-finanziario ora svuotato, la crisi dei missili che nel ’62 portò a un passo dallo scontro nucleare tra le superpotenze. È opportuno ricordarla, questa cornice storica, per capire cosa è davvero accaduto ieri. Davide e Golia si sono dati la mano, con reciproche concessioni (lo scambio di spie o presunte tali), con reciproca dignità, e soprattutto con una pragmatica constatazione, questa soltanto americana: cinquant’anni di inimicizia e di embargo hanno aiutato più che danneggiato il comunismo castrista, sono stati la sua stampella nei momenti difficili, hanno esaltato il nazionalismo che più dell’ideologia politica è da sempre la base del regime. Obama ha fatto quel che da tempo conveniva all’America. Ma non siamo sicuri, come lui, che le novità convengano alla dirigenza cubana. Sul piano economico finanziario certamente sì, perché Cuba ha l’acqua alla gola da quando il Venezuela zoppica. Ma la moltiplicazione dei contatti umani? L’accesso Usa alle banche dell’isola? E soprattutto, la vendita a Cuba di sistemi di comunicazione, di attrezzature per navigare su Internet? Raúl Castro, autore di riforme coraggiose ma non politiche, dovrà forse tirare il freno per restare dov’è e non far morire di crepacuore il fratello Fidel. Da mezzo secolo, questa è la prima volta che l’America sfida davvero il comunismo cubano.

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