mercoledì 24 febbraio 2016

I 50 GATTI SPELACCHIATI DI BOLOGNA, CHE PURE FANNO TANTO RUMORE

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Ieri avevamo riportato la notizia dell'aggressione subita dal Professore Angelo Panebianco nella sua aula universitaria a Bologna ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/02/alluniversita-di-bologna-impedita-la.html ).
Avevo accennato, commentandola, ai nipotini  sperduti e miserelli del movimento del 1977, e oggi leggo un puntuto articolo di Marco Imarisio sul Corriere che ben sviluppa le mie impressioni : quattro gatti spelacchiati che se non facessero più rabbia potrebbero anche fare compassione.
Purtroppo però nel nostro paese anche un manipolo di facinorosi nostalgici (la nostalgia vale pure per il comunismo, che pensate ? ) possono agire indisturbati, dare luogo a episodi come quello denunciato, e trovare pure subito degli emuli, visto che un altro gruppetto ha pensato bene di fare il bis il giorno dopo, sempre prendendo di mira Panebianco.
In un altro post darà spazio alla riflessione di Adriano Sofri, sempre in reazione agli episodi di Bologna.
Intanto leggiamo insieme Imarisio



Quei 50 (su 80 mila)   orgogliosi di essere fermi al 1977

dal nostro inviato Marco Imarisio

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BOLOGNA «No, le mani addosso no, per favore». Il rettore Ivano Dionigi piegò la testa per evitare la gogna del cartello che il giovane studente stava cercando di appendergli al collo mentre i suoi compagni lanciavano finte banconote in aria dopo essere entrati alla riunione del consiglio di amministrazione dell’Ateneo. Era il 27 novembre del 2013, e il Collettivo universitario autonomo protestava così contro la mancata opposizione dell’Alma Mater alla riforma Gelmini, scordando il fatto che a suo tempo la loro università era stata l’unica a produrre un documento di dissenso rispetto alle decisioni prese dal ministro dell’Istruzione dell’ultimo governo Berlusconi.
Il momento, il modo e forse anche le premesse della contestazione erano sbagliate, in ritardo di almeno un anno.
Ma l’adesione ai tempi odierni non sembra essere una priorità, per un gruppo che nei suoi cartelli rivendica spesso con orgoglio il fatto di avere l’orologio puntato su un’epoca passata, indietro di quasi quarant’anni, più o meno nel Settantasette.
Il Cua è la diretta filiazione del centro sociale di ispirazione autonoma Crash, nasce come sua emanazione universitaria una decina di anni fa prendendo possesso di due locali dell’Ateneo, un soppalco della biblioteca di discipline umanistiche al numero 36 e un’aula al pianterreno del civico 38. Il primo è stato sgomberato pochi mesi fa, la seconda c’è ancora. I collettivi sopravvivono grazie alla benevolenza dell’istituzione che li ospita e che ogni tanto contestano, come avviene in questi giorni con il professor Panebianco. L’ultimo domicilio conosciuto di Hobo, il laboratorio dei saperi comuni che della contestazione all’editorialista del Corriere della Sera ha fatto una bandiera sventolata circa una volta all’anno, è in alcune serre abbandonate di via San Filippo Re, ma il punto d’appoggio universitario è sempre stato la famosa Aula C, occupata nel 1989 da un gruppo di ragazzi impegnati nella contestazione della riforma dell’allora ministro dell’Istruzione Antonio Ruberti e nel tentativo di lasciarsi alle spalle le macerie e il peso del ‘77 bolognese. Era la Pantera, divenne ben presto altro, il punto di ritrovo degli studenti più radicali, uniti dall’ispirazione anarchica.
«Noi siamo l’unico vero luogo tollerante di questa città» dice sotto i portici di via Zamboni uno studente di Storia che sostiene di fare parte del Cua e di chiamarsi Andrea. «Ma non possiamo accettare le idee reazionaria espresse da docenti come Panebianco. La persona non c’entra nulla. Sono le sue parole, che sostengono un sistema razzista che nega gli spazi di sopravvivenza a chi come noi cerca di fare argine al degrado morale dell’università e della società». L’obiezione sul significato della parola tolleranza viene lasciata cadere in fretta. «Gli impediamo di parlare? Quando scrive sul giornale non c’è nessuno che possa contestarlo, gode di una posizione di assoluto vantaggio. Così facciamo pari e patta. E continueremo a farlo». Alla fine sono cinquanta studenti su ottantamila.
Il passato prossimo di Bologna, dal remoto ’68 alla rivolta del ’77 passando per le occupazioni degli ultimi anni fa sempre scattare il riflesso pavloviano del paragone con quel che fu. Ma i numeri sono questi.
Non è una galassia, è improprio persino parlare di area. Sono pochi e non vanno neppure d’accordo tra loro.
Anzi, si menano spesso, e pure forte. Il Cua organizzava pullman per la Val di Susa quando in quella periferia boschiva d’Italia il ghiaccio era davvero sottile e nel nome della Tav c’erano assalti quotidiani agli agenti di guardia al cantiere. Hobo ha una dimensione più locale, meno ramificata. L’interesse comune e confliggente sta nella gestione degli spazi universitari, usati non per l’elaborazione teorica ma per organizzare feste che servono a pagarsi le attività e le spese, comprese quelle legali dovute alle decine di denunce raccolte durante i periodici scontri con le forze dell’ordine.
Le aule occupate ospitano spesso feste notturne con annessi disc jockey e impianti di amplificazione. Lo scorso gennaio il Consiglio accademico tentò una sortita annunciando provvedimenti disciplinari contro i responsabili di quello che veniva giudicato un uso improprio degli spazi universitari. L’unico risultato concreto fu la chiusura di qualche aula, e l’inizio di una faida per contendersi i restanti luoghi di autofinanziamento. I gruppi anarchici e quelli che si rifanno ai precetti della vecchia autonomia si ritrovano uniti quando c’è da fare casino. Gli scontri dell’estate 2013 in piazza Verdi, non a caso generati dalla mancata concessione del permesso di installazione dell’impianto stereo durante un pomeriggio autorganizzato, sono rivendicati con orgoglio da entrambi i contendenti, una specie di fiore all’occhiello comune.
La contestazione di ieri, fatta da Hobo, che aveva già dato nel 2014, non è altro che la risposta a quella di lunedì, attuata dai rivali del Cua. Panebianco è finito dentro una assurda gara a chi è più radicale che ha come premio finale una maggiore visibilità all’interno dell’antagonismo cittadino. E infatti ieri nell’atrio dell’università era facile trovare volantini di entrambi i collettivi, con lo stesso disegno, una rudimentale caricatura del professore bolognese, e tanto di bavaglio sulla bocca. Deve trattarsi del famoso confronto delle opinioni.


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