martedì 12 luglio 2016

DALL'AIDA DI VERDI ALLA MARCIA (FUNEBRE) DI CHOPIN. COM'E' CAMBIATA LA MUSICA A PALAZZO CHIGI

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Ho più volte evidenziato l'impressione che su renzino Davide Giacalone, uno dei miei opinionisti preferiti ( ancorché meno conosciuto rispetto ai più noti Panebianco o Galli della Loggia) abbia vissuto la mia stessa parabola : speranzoso, molto, ai tempi delle prime due leopolde, quando l'uomo appariva come una novità non solo per lo spirito rottamatore della monolitica gerarchia democratica, poi perplesso e man mano deluso e anche irritato, in considerazione che il toscano non ha decisamente un carattere amabile.
Non credo che qualcuno dei suoi - tutti yes men e yes women dalla schiena poco dritta - abbia mai avvertito il leader che era forse meglio trovarsi una equipe più preparata sul piano della comunicazione, ché i modi saccenti quando non arroganti di Renzi stavano rapidamente alienando i favori iniziali.
Anche perché gli slogan ottimistici profusi per due anni - l'Italia che ricomincia a fare l'Italia, le riforme che avrebbero portato la crescita, le varie rivoluzioni dette (quello sì, avoglia !!) e fatte (ecco, qui magari...) - non hanno trovato riscontro concreto.
Specialmente in economia.
E qui apro una brevissima parentesi. A novembre mancano pochi mesi, dopodiché sarà un lustro dalla celebrata caduta del terzo governo Berlusconi, salutato con brindisi e abbracci.
Per carità, il tifo è tifo, e quindi come non comprendere l'entusiasmo di chi, in modo palesemente nevrotico, viveva la presenza a palazzo Chigi del Cavaliere, il Male in persona ??!!
Però dopo 5 anni, e vari salvatori all'opera - iniziando da Mario Monti, l' "unto dal Colle", oggi mediocre senatore a vita, padre ripudiato e ripudiante della sua disastrata creatura politica, Scelta Civica, per proseguire dal poco sereno Letta, emigrato in Francia per approdare all'affannato putto fiorentino - i numeri dell'Italia non sono migliorati, anzi, rispetto al principale concorrente e termine di paragone - la Spagna - sono peggiorati.
L'unica cosa che è rientrata è lo spread. Alzi la mano chi ha il coraggio di non attribuire al SOLO Mario Draghi, benemerito presidente della BCE (per fortuna il mandato è lungo, 8 anni, e quindi ce ne sono ancora 3..., poi arriverà un tedesco...), questa benefica riduzione che quantomeno ci fa risparmiare miliardi di euro di interessi sul mostruoso debito pubblico (che continua a NON scendere, anzi).
Questo certo non per dire che "si stava meglio quando si stava peggio", che non sono fazioso come i miei interlocutori, ma che avevo ragione io quando dicevo che Berlusconi non rappresentava una rottura - tragica, terribile - con un certo consociativismo di fine prima repubblica, piuttosto una dannosa continuità.
Insomma non eravamo peggiorati, eravamo rimasti UGUALI.
E tali siamo ancora, 5 anni e tre presidenti del consiglio dopo.
Ma vi lascio alla graffiante analisi di Giacalone sull'attuale mesto momento del capo del governo, reduce dagli sganassoni primaverili di Roma, Torino e parecchie altre, meno importanti, città (e a Milano si è salvato per un soffio !).
A me ha fatto sorridere, in più punti, mi auguro accada anche a voi.
Buona Lettura




Da trionfale a funebre

di DAVIDE GIACALONE
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Da Verdi a Chopin. Dalla marcia trionfale alla funebre. Come è successo? e come possiamo evitare il lutto collettivo? La marcia di Matteo Renzi verso la presa del governo era stata irresistibile. Partì con una sconfitta, giacché il designato fu Pier Luigi Bersani, che non ci arrivò mai. Poi la vittoria nel partito, la defenestrazione di Letta, la presa del palazzo e le elezioni europee, per compensare la mancata legittimazione elettorale, che sì non è prevista dalla Costituzione, ma, insomma, non averla non è una bella cosa.

Quindi la riforma costituzionale, con il passaggio di un testo che, in un frangente diverso, gli stessi che l’hanno votato l’avrebbero considerato uno scherzo. Di cattivo gusto.

Infine il referendum, il coronamento, l’apoteosi. A seguire il trionfo elettorale. Roba da coro verdiano, da incedere aidiano, da marcia nel sole splendente. Ma Chopin è magistrale nel ramo notturno, sembra gestibile, ma è travolgente.
La colpa non è solo di Renzi. Ha personalizzato il referendum, certo, ma, se è per questo, ha personalizzato tutto. Ci manca poco che sia suo il merito dell’estate sopraggiunta.
Poi anche il ministro Boschi ci ha tenuto a dire: vado via pure io, se perdiamo il referendum. Che son dispiaceri, ma anche tentazioni. Sei mesi fa consideravo disperata la battaglia referendaria, persa in partenza. La propaganda a tre palle un soldo avrebbe vinto, a colpi di: meno politica, meno politici, meno Parlamento. Poi i giovani condottieri ci hanno messo del loro, e il vento è cambiato. Ma, attenzione, capita anche perché le cose vanno male.
La ripresa è illusoria.
Non solo cresciamo la metà della media europea, ma poco più di quel che è indotto dalle scelte della Banca centrale europea. L’occupazione seguirà la ripresa, che non c’è ancora. Il Job Act è una buona riforma, ma serve a nulla se non c’è vera domanda di lavoro. I bonus aiutano i risultati elettorali, ma non i consumi, anche perché se ne vanno in aumenti delle tasse e delle tariffe amministrate (luce, acqua, gas, nettezza urbana, etc.) che crescono molto più dell’inflazione (che non c’è). Butta male, insomma.
Per Renzi il Brexit è stata una fortuna, che di suo è una follia, ma ti voglio vedere, dopo questa roba, a negare all’Italia un punticino più di pil in deficit, per convincere gli elettori. Ma prima è arrivato il problema delle banche. Le deroghe non possono essere infinte, i soldi non lo sono di certo.
Così, mentre Chopin avanza, la data del referendum, che si voleva immediata, s’allontana, e la Corte costituzionale, vista prima come una iattura, forse aiuterà a ridiscutere una legge elettorale che somiglia a una lotteria. Per giunta con le amministrative lì a dire che la riffa si può perderla. Eccome.

Così come un aereo non ha la retromarcia, il renzismo non è adatto a mediare. O vince o cade.

Già, ma noi, pubblico pagante, perché dovremmo rassegnarci al lutto? C’è una via d’uscita? C’è: a. il referendum diventa i referendum, perché è stato un abominio usare l’articolo 138 della Costituzione per riformarla in modo scombiccherato e disorganico, sarebbe ancor peggio proporre il pasticcio agli elettori, quindi meglio più quesiti, con il che cade la chiamata a sopprimere o glorificare una sola persona; b. la Corte costituzionale provvede alle condizioni per ridiscutere la legge elettorale; c. nel frattempo chi ha ancora una testa, e la tiene dalle parti delle spalle, s’accorge che non solo all’Europa, ma neanche ai mercati e alla gente interessa un fico secco di tutta questa roba, sicché il Nazareno, in tutti i sensi inteso, lo si cerca sul terreno economico. Il solo veramente decisivo.

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