I leader indipendisti catalani, Mas ieri, Puigdemont oggi, non mi sono simpatici e quando parlano mi convincono poco. Del referendum catalano mi insospettisce poi la formula : nessun quorum di partecipazione, nonostante l'assoluta gravità della decisione in ballo.
Sospetta questa cosa da parte di chi è convinto di rappresentare la stragrande maggioranza dei catalani no ?
L'obiezione è che chi non va a votare delega di fatto la sua decisione ai votanti. Non è così manco nei condomini, figuriamoci quando si decide il destino di una Nazione.
Poi c'è la questione della palese illegalità, e non parlo di leggi dello stato, che possono cambiare in ragione delle maggioranze sempre mutevoli, ma della Costituzione, vale a dire la Carta fondativa dei principi che regolano (o dovrebbero farlo) la convivenza di una comunità.
Ebbene, lo sappiamo, la Costituzione spagnola, valida anche per la Catalogna, stabilisce un principio peraltro banale e comune in tutte le costituzioni : l'indissolubilità della Nazione.
Ma Madrid ha scelto la repressione per impedire che la gente votasse, invece di limitarsi a sostenere che il voto non sarebbe stato comunque valido...
Potevano farlo, certo, e sarebbe stato meglio probabilmente.
Però un dubbio mi viene. La legge italiana proibisce i raduni pubblici senza previa autorizzazione. La gente può manifestare, ma ci sono delle regole da seguire, per motivi vari di ordine pubblico.
Mettiamo - e succede, avoglia - che migliaia di persone ignorino queste regole, e senza alcuna autorizzazione, occupino una piazza. Che dovrebbe fare la polizia ?
Li invita a sgomberare giusto ? Loro non lo fanno.
Ah vabbé, se non lo fanno, rimandiamo i poliziotti a casa, che mica si può usare la violenza...
Certo, vedere picchiare dei civili inermi, come in qualche immagine proveniente da Barcellona si vede, non fa una bella impressione. Immagino però che non sempre gli aspiranti elettori, di fronte a dei cordoni che provavano a impedire l'accesso alle urne, siano stati pacifici.
E comunque, manganellate e proiettili di gomma no, ma idranti ?
Due opinionisti che stimo molto (il primo di più), Mauro Anetrini (in realtà avvocato di professione, ma le sue riflessioni in generale sono sempre preziose) e Davide Giacalone, hanno fatto la medesima riflessione provocatoria : sarebbe legale un referendum promosso al fine non di separarsi dallo Stato Centrale, ma per espellere una regione dallo stesso ?
Mauro cita il piccolo Molise, secondo me per tenere buoni gli spirti più agitati, ma certe divisioni tra Nord e Sud in Italia sono ancora molto vive, specie ora che non c'è più il benessere diffuso a tenere tutti di buonumore...
Davide Giacalone aggiunge una giusta riflessione su quella che chiama Urnocrazia, associata alla parimenti patologica urnolatria...termini inventati per indicare il mito del voto come panacea di ogni problema. Il voto, in democrazia, sicuramente è uno strumento fondamentale, ma non è una divinità di per sé.
Anche perché buon senso suggerisce che su certe materie il voto referendario sia difficilmente ammissibile ( e infatti da noi non lo è), e mi riferisco alla materia fiscale.
Ve lo immaginate un referendum che stabilisse di abolire le tasse ? E lo dice uno che l'agenzia delle entrate la detesta...però mi rendo conto - e tanti insieme a me - che in una società complessa una certa forma di tassazione, per determinate materie, è necessaria. Da liberale, queste materie sono poche, e i livelli di tassazione non dovrebbero superare il 30% - massimo - del guadagno di una persona. Ebbene, nemmeno un referendum "propositivo" di questo tipo sarebbe pensabile.
Tutto quanto sopra, mostra il mio sostanziale sfavore per la causa Catalana, con però una riserva, già espressa nel post di ieri ( https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/10/quanto-accade-in-spagna-conferma-non-ci.html ) : se veramente 2.600.000 catalani (in Catalogna in tutto sono 5 milioni, giù di lì) volessero l'indipendenza, sarebbe giusto (non legale : lo è) negargliela ?
E poi, come si fa ? Vedete quello che è successo a Barcellona, con scontri tra polizia spagnola e i vigili del fuoco che presidiavano i seggi, con i Mossos, la polizia catalana, che si è rifiutata di eseguire gli ordini del prefetto ? Una cosa del genere, prolungata, porterebbe a violenze ben maggiori di quelle viste domenica. Se un domani le due polizie si scontrassero, se ci scappasse il morto ?
I catalani evocano il franchismo, ma non sanno di cosa parlano, e del resto, la guerra civile spagnola si concluse nel 1939, durò 4 anni e vide centinaia di migliaia di vittime, di cui i civili rappresentarono la netta maggioranza rispetto ai combattenti.
Un orrore che, per alcuni storici, spiegò (insieme ovviamente alla neutralità della Spagna rispetto alla guerra mondiale) la sopravvivenza del franchismo alla caduta degli altri fascismi europei : finché fossero state prevalenti le generazioni che avevano vissuto quel'eccidio fratricida, nessuno in Spagna avrebbe avuto il coraggio di rischiare una nuova guerra civile.
Quelle generazioni oggi non ci sono più, eppure è impensabile che la civilissima Spagna (Catalogna compresa), paese comunque importante dell'Europa moderna, possa piombare in un baratro simile alla ex Yugoslavia.
Però, se un compromesso non si trova, e nessuna delle due parti cede, come si sistema 'sta cosa ?
Di seguito, propongo i due interventi di Anetrini e Giacalone
Buona Lettura
Stavo pensando a un paradosso. Com'è noto, i paradossi possono tornare utili per misurare la tenuta di teorie e verificarne il limite di praticabilità.
Il paradosso è questo. Chissà che cosa diremmo se oggetto di referendum fosse non già l'indipendenza della Catalogna, ma la sua espulsione dalla Spagna. Un referendum nel quale, per iniziativa degli spagnoli, si ponesse la seguente domanda: volete voi che la Catalogna sia cacciata fuori dal Regno?
Naturalmente, anche ai Catalani sarebbe consentito di esprimersi.
Sarebbe illegale questo stravagante referendum? Non lo so; anzi: forse no, visto che la Costituzione protegge l'indivisibilità della nazione, ma non la sua riduzione deliberata in conformità a Costituzione o sulla base di una revisione costituzionale.
Sarebbe giusto? Dipende: qualcuno, magari un bel po' di catalani, potrebbe prenderla male. Non è bella cosa essere cacciati di casa.
E' un po' come se qui da noi qualcuno decidesse di escludere il Molise dalla Repubblica italiana e chiamasse tutti al voto.
Si può fare.
Secondo me, con una buona campagna elettorale, si può vincere, trasformando i molisani in apolidi. Perchè dobbiamo essere solidali con loro? Noi – le altre Regioni – produciamo di più e sosteniamo il Molise. Ora basta. Ci siamo stufati. Se ne vadano per conto loro.
Mi sembra che funzioni. Legale e democratico.
Peccato sia solo un paradosso.
Urnolatria & urnocrazia
Il pasticcio catalano, impastando la demagogia indipendentista e la spropositata reazione del governo, pone due problemi a tutti: la gestione dei separatismi e delle consultazioni popolari. La loro portata è generale, non solo ispanica. Anticipo la conclusione: con il diffondersi dell’urnolatria, nella sciocca supposizione che tutto possa essere governato con l’urnocrazia, la democrazia non trionfa, ma tonfa.
Tre brevi premesse. 1. I separatismi, in Unione europea, sono europeisti. Quei separatismi sono l’opposto dei nazionalismi sovranisti. La cosa curiosa, in Italia, è che una forza nata come separatista, evolutasi in federalista, la Lega, è poi divenuta nazionalista. Da un opposto all’altro. I separatismi sono europeisti ed euristi (cultori dell’euro) perché solo dentro un più ampio e omogeneo contenitore possono sostenere le loro posizioni. Fuori da quello sarebbero sciocchezze allo stato puro.
2. Chi punta alle urne referendarie, per far valere la secessione, abbraccia la tesi secondo cui se c’è un pronunciamento popolare, essendo il popolo sovrano, nulla può fermare un tale trionfo della democrazia. Confondere le urne con la democrazia è una colpevole leggerezza. Si votava in regimi che non erano affatto democratici, come le repubbliche socialiste europee, poi a furor di popolo abbattute non appena l’impero sovietico crollò. Il voto e la democrazia vanno a braccetto quando si rispettano le regole del diritto. Ad esempio: è sano e democratico l’articolo 139 della nostra Costituzione, che esclude si possa cambiare la natura repubblicana del nostro Stato. E se il popolo volesse la monarchia? Dovrebbe organizzare il colpo di Stato, perché la Costituzione esclude (giustamente) tale possibilità.
3. Tutti i separatismi hanno appigli nella storia. Quello catalano fa appello al 1714. Ma da noi, punto da tenere a mente per il proseguo, il Regno delle due Sicilie è finito dopo. Roma divenne capitale dopo essere stata espugnata in armi, nove anni dopo l’Unità d’Italia (1861). Se si prende questo andazzo si può sperare nel ritorno di Napoleone, sempre che non risorga prima Carlo V (il tema della Scozia è diverso, perché è Nazione costitutiva del Regno Unito).
Con queste premesse, si pongono due problemi: l’atteggiamento delle istituzioni europee e la legittimità dei referendum. A. Come al solito, non sapendo che altro dire, anche in occasione del guaio catalano s’è sentito: le istituzioni europee (solitamente dicono “l’Europa”, segno già evidente di confusione mentale) sono state latitanti. Non è vero, perché, in casi diversi, hanno ripetuto: l’essere oggi parte dell’Unione europea non comporta, in caso di separazione, un diritto a rimanerne componenti. E’ una posizione molto forte, proprio perché i separatismi seri sono tutti europeisti. Tale posizione s’è indebolita nel caso della Scozia, ma perché è l’unità regnante di cui fanno parte che ha deciso di uscire dall’Ue. Posto che i separatismi ce l’hanno principalmente, per non dire esclusivamente, con i governi nazionali, dire o fare qualche cosa di più significherebbe mettere i piedi nel piatto degli affari interni. Considerato che a lamentarsi sono quelli che ritengono l’Ue già troppo invadente, ecco un ulteriore segno di rarefazione del raziocinio.
B. A stabilire la legittimità dei referendum sono le relative legislazioni nazionali. Quelli in programma in Lombardia e Veneto, ad esempio, sono regolari e previsti dalla Costituzione (sempre dalla pessima riforma del 2001, voluta da una sinistra cieca e irresponsabile). Comunque non solo sono consultivi, ma presuppongono la conferma dell’Unità nazionale. In pratica Lombardia e Veneto vorrebbero diventare come la Sicilia. Auguri. Ma mettiamo di volere superare l’ostacolo della legittimità interna, che in Catalogna era certa illegittimità. C’è una legittimità ideale? Manca. Primo: come si stabilisce chi ha il diritto di voto? Solo quelli che vogliono andare via, o anche gli altri? Roma potrebbe ricacciare i bersaglieri e, con il sostegno dei romani, chiedere d’essere ricompresa nello Stato Vaticano? Voterebbero solo i romani, o anche gli italiani che hanno in Roma la capitale? Secondo: quale è il limite spaziale per organizzare la consultazione? Regionale, provinciale, comunale, di quartiere, d’isolato, di condominio? Nella storia si possono trovare appigli per tutte queste possibilità. Chi stabilisce dove ci si ferma? Terzo: se il popolo è sovrano nel disporre di volere andare via è sovrano anche nel cacciare. Si potrebbe organizzare un referendum contro Roma capitale, invitando gli italiani a votare affinché l’Urbe sia posta fuori dalla Repubblica e riconsegnata al papa? Sono solo i siciliani a potere votare per la loro indipendenza, o anche gli italiani per liberarsi della Trinacria? Sempre sovranità del popolo sarebbe.
Starete pensando: questo è pazzo. Può darsi, ma forse è folle supporre che votare basti a dire che sovranità e democrazia trionfino. Il culto dell’urna, l’urnolatria, il supporre che votando possano affrontarsi questi problemi, l’urnocrazia, sono malattie dell’animo democratico. Covanti fra gente che s’è dimenticata cos’è la democrazia, avendola ricevuta in dono dalla storia e non avendo mai speso non dico una lacrima, ma una goccia di sudore, non dico per difenderla, ma anche solo per capirla.
Tre brevi premesse. 1. I separatismi, in Unione europea, sono europeisti. Quei separatismi sono l’opposto dei nazionalismi sovranisti. La cosa curiosa, in Italia, è che una forza nata come separatista, evolutasi in federalista, la Lega, è poi divenuta nazionalista. Da un opposto all’altro. I separatismi sono europeisti ed euristi (cultori dell’euro) perché solo dentro un più ampio e omogeneo contenitore possono sostenere le loro posizioni. Fuori da quello sarebbero sciocchezze allo stato puro.
2. Chi punta alle urne referendarie, per far valere la secessione, abbraccia la tesi secondo cui se c’è un pronunciamento popolare, essendo il popolo sovrano, nulla può fermare un tale trionfo della democrazia. Confondere le urne con la democrazia è una colpevole leggerezza. Si votava in regimi che non erano affatto democratici, come le repubbliche socialiste europee, poi a furor di popolo abbattute non appena l’impero sovietico crollò. Il voto e la democrazia vanno a braccetto quando si rispettano le regole del diritto. Ad esempio: è sano e democratico l’articolo 139 della nostra Costituzione, che esclude si possa cambiare la natura repubblicana del nostro Stato. E se il popolo volesse la monarchia? Dovrebbe organizzare il colpo di Stato, perché la Costituzione esclude (giustamente) tale possibilità.
3. Tutti i separatismi hanno appigli nella storia. Quello catalano fa appello al 1714. Ma da noi, punto da tenere a mente per il proseguo, il Regno delle due Sicilie è finito dopo. Roma divenne capitale dopo essere stata espugnata in armi, nove anni dopo l’Unità d’Italia (1861). Se si prende questo andazzo si può sperare nel ritorno di Napoleone, sempre che non risorga prima Carlo V (il tema della Scozia è diverso, perché è Nazione costitutiva del Regno Unito).
Con queste premesse, si pongono due problemi: l’atteggiamento delle istituzioni europee e la legittimità dei referendum. A. Come al solito, non sapendo che altro dire, anche in occasione del guaio catalano s’è sentito: le istituzioni europee (solitamente dicono “l’Europa”, segno già evidente di confusione mentale) sono state latitanti. Non è vero, perché, in casi diversi, hanno ripetuto: l’essere oggi parte dell’Unione europea non comporta, in caso di separazione, un diritto a rimanerne componenti. E’ una posizione molto forte, proprio perché i separatismi seri sono tutti europeisti. Tale posizione s’è indebolita nel caso della Scozia, ma perché è l’unità regnante di cui fanno parte che ha deciso di uscire dall’Ue. Posto che i separatismi ce l’hanno principalmente, per non dire esclusivamente, con i governi nazionali, dire o fare qualche cosa di più significherebbe mettere i piedi nel piatto degli affari interni. Considerato che a lamentarsi sono quelli che ritengono l’Ue già troppo invadente, ecco un ulteriore segno di rarefazione del raziocinio.
B. A stabilire la legittimità dei referendum sono le relative legislazioni nazionali. Quelli in programma in Lombardia e Veneto, ad esempio, sono regolari e previsti dalla Costituzione (sempre dalla pessima riforma del 2001, voluta da una sinistra cieca e irresponsabile). Comunque non solo sono consultivi, ma presuppongono la conferma dell’Unità nazionale. In pratica Lombardia e Veneto vorrebbero diventare come la Sicilia. Auguri. Ma mettiamo di volere superare l’ostacolo della legittimità interna, che in Catalogna era certa illegittimità. C’è una legittimità ideale? Manca. Primo: come si stabilisce chi ha il diritto di voto? Solo quelli che vogliono andare via, o anche gli altri? Roma potrebbe ricacciare i bersaglieri e, con il sostegno dei romani, chiedere d’essere ricompresa nello Stato Vaticano? Voterebbero solo i romani, o anche gli italiani che hanno in Roma la capitale? Secondo: quale è il limite spaziale per organizzare la consultazione? Regionale, provinciale, comunale, di quartiere, d’isolato, di condominio? Nella storia si possono trovare appigli per tutte queste possibilità. Chi stabilisce dove ci si ferma? Terzo: se il popolo è sovrano nel disporre di volere andare via è sovrano anche nel cacciare. Si potrebbe organizzare un referendum contro Roma capitale, invitando gli italiani a votare affinché l’Urbe sia posta fuori dalla Repubblica e riconsegnata al papa? Sono solo i siciliani a potere votare per la loro indipendenza, o anche gli italiani per liberarsi della Trinacria? Sempre sovranità del popolo sarebbe.
Starete pensando: questo è pazzo. Può darsi, ma forse è folle supporre che votare basti a dire che sovranità e democrazia trionfino. Il culto dell’urna, l’urnolatria, il supporre che votando possano affrontarsi questi problemi, l’urnocrazia, sono malattie dell’animo democratico. Covanti fra gente che s’è dimenticata cos’è la democrazia, avendola ricevuta in dono dalla storia e non avendo mai speso non dico una lacrima, ma una goccia di sudore, non dico per difenderla, ma anche solo per capirla.
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