domenica 5 giugno 2011

LE GIOIOSE MACCHINE DA GUERRA


ANTONIO POLITO dal Corriere della Sera del 5 giugno 2011

Ma insomma: queste elezioni il centrodestra le ha perse a causa del «fattore B» come Berlusconi, perché ha esagerato, è invecchiato e non è più lui? O le ha perse a causa del «fattore B» come Befera, dal nome del direttore dell’Agenzia delle entrate che sta mettendo sotto torchio i contribuenti del Nord come neanche il mitico Visco riuscì a fare? La risposta a questa domanda è ovviamente decisiva per il futuro del Pdl. Eppure è cruciale anche per le sorti dell’opposizione. Se infatti l’elettorato sta semplicemente rigettando Berlusconi, se insomma il voto è indice di quella rivolta «civica e anche morale» di cui parla Bersani, allora il centrosinistra non ha molto da fare nei prossimi due anni. Se non ribadire la sua ripugnanza per un leader che corrompe la democrazia, dà il cattivo esempio ai giovani, e non conosce nemmeno il galateo che proibisce di toccare la manica a un re come Juan Carlos. Nel frattempo, può dal canto suo tirare per la manica Tremonti, aiutandolo a resistere alla pressione del premier e a non aprire i cordoni della borsa, fino a offrirgli i voti per un governo di transizione. Ma se invece un provvidenziale residuo marxiano permane nella sinistra italiana, essa si convincerà che Berlusconi perde le elezioni non per cause sovrastrutturali, ma perché il suo governo non sta consegnando i risultati economici che aveva promesso. E allora le cose cambiano radicalmente. Perché i ceti in rivolta contro la disciplina fiscale di Tremonti che hanno disertato le urne non si getteranno tanto facilmente tra le braccia della sinistra: in termini di stretta alla spesa e di lotta all’evasione, infatti, per loro si tratterebbe di passare dalla padella di Befera alla brace di un nuovo Visco. Il Pd di Bersani dovrebbe allora mettersi subito al lavoro per preparare una proposta di governo che spieghi come sia possibile mantenere il rigore di Tremonti offrendo in cambio quello sviluppo che il rigore di Tremonti è accusato di strozzare: cioè come si fa a produrre crescita senza spesa pubblica. Una risposta — dicono i democratici — sta nelle ultime considerazioni di Draghi: e cioè non tagli lineari, ma tagli mirati. Può essere. Ma il mantra delle piazze di sinistra in questi anni, su cui si è costruita l’opposizione al governo Berlusconi, è una sfilza infinita di: non solo non si tocca la Costituzione, ma non si toccano le pensioni, non si tocca il pubblico impiego, non si tocca la scuola, non si tocca l’università, non si toccano i piccoli ospedali e non si toccano le municipalizzate dell’acqua. Tagli mirati dove? Un esempio: Mario Draghi ha invitato a riequilibrare la flessibilità nel mercato del lavoro, «oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso» . Il che vuol dire che se ne deve avere di più in uscita, cioè dal lato dei licenziamenti. Ma, ovviamente, per la Cgil l’articolo 18 non si tocca. E allora? Come si fa a fare Befera e Keynes allo stesso tempo? Invece delle sirene del moralismo, bisognerebbe ascoltare la saggezza del filosofo Franco Cassano: «Io voglio che sia rispettata la legalità delle leggi esistenti, ma vorrei anche pensare alle leggi da fare» . Però pensarci ora è molto faticoso e anche molto pericoloso, nel senso che può rompere subito l’idillio tra Bersani, Vendola e Di Pietro, e dunque forte è la tentazione di non pensarci mandando al diavolo chi dovesse fare domande. Il «riformismo» , che consiste appunto nel «pensare alle leggi da fare» , pare già tornato a essere la «parola malata» di cui diceva Cofferati, di nuovo scacciata da maître à penser e demagoghi come si fa con gli incubi notturni: «La sindrome di Zelig della sinistra è finita, il riformismo come pratica del compromesso su tutto è morto» , sentenzia Nichi Vendola, l’expugnator di Milano. Ha scritto Claudio Magris su questo giornale che la sinistra rischia di fare la fine della «gioiosa macchina da guerra» del ’ 93, che vinse le amministrative e poi fu umiliata da Berlusconi nel ’ 94. Vero, e anzi segnalo la prima riapparizione ufficiale della metafora in un articolo di Nadia Urbinati sulla Repubblica, in cui si auspica «una macchina da guerra che operi attraverso il web» . Però può finire anche come nel 2006, quando l’Unione invece vinse, seppure di un pelo; ma avendo sprecato gli anni spensierati dell’opposizione, entrò nella stanza dei bottoni senza sapere che farne, e in pochi mesi naufragò.

In fondo la bella nota di Polito (ex deputato indipendente del PD, e già Direttore de IL RIformista, non proprio uno di destra su...) richiama un principio ben noto agli appassionati di sport ( e quindi valido anche per la boxe...) : a volte si vince più perché l'altro HA PERSO. 
 Posso vincere una partita, perché l'altro ha fatto autogol, posso vincerne un'altra perché ho segnato al 95°....ma questo può andar bene per una FINALE. Se sto giocando un campionato, e sto giocando MALE, non potrò sperare sempre SOLO sul fatto che l'altro giochi PEGGIO. Anche se magari per un po' vinco...
Sembra una banalità, ma non lo è, come non lo è l'avvertimento di Polito.





ve la ricordate ?
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