Buona Lettura
DEMOCRAZIE
L'equivoco giustizialista che penalizza la sinistra italiana
Il disincanto ha ragioni comprensibili e comuni a molti
altri Paesi democratici: il crollo di alternative politiche radicali - chi
pensa sia oggi possibile e desiderabile l'eliminazione di una economia di mercato?
- e il rafforzamento dei vincoli internazionali alle politiche perseguibili da
singoli Stati nazionali in un contesto di globalizzazione - la democrazia è
ancora un affare puramente nazionale - hanno di fatto avvicinato molto i
programmi dei partiti con ambizioni di governo, siano essi di destra o di
sinistra. Il disprezzo e la sfiducia - ai livelli impressionanti che le
indagini europee rivelano - sono invece una poco invidiabile caratteristica
italiana, che ha origini antiche ma si manifesta con violenza nel trauma
politico che ha subito il nostro Paese all'inizio degli anni Novanta. Il trauma
che ha portato alla distruzione dei due grandi partiti che avevano governato la
Repubblica nei trent'anni precedenti, il democristiano e il socialista, all'emersione
di due nuovi partiti con forti tratti personalistici e populistici (Lega e
Forza Italia), al cambiamento di nome e pratiche politiche di tutti gli altri:
chi non ricorda le monetine del Raphael contro Craxi o i cappi agitati dai
leghisti in Parlamento durante Mani Pulite? La Seconda Repubblica, i vent'anni
che ci separano da quei tragici avvenimenti, avrebbero potuto attenuare questi
sentimenti antipolitici se si fosse affermato un sistema politico civile,
capace di affrontare i problemi che l'Italia ereditava dal passato, quelli che
tuttora ci trasciniamo appresso. Così non è avvenuto e gli italiani si sono
divisi in due tifoserie scalmanate, pro o contro Berlusconi: dalla tifoseria al
disprezzo dell'avversario, alla delusione cocente, al «sono tutti ladri,
corrotti e incapaci» il passo è breve.
Ma veniamo alla sinistra e alla «rissa» che la sta
attraversando. Come la destra, la sinistra si è sempre divisa in una componente
più radicale e in una più moderata. Quando alternative di sistema erano pensabili,
la divisione era tra riformisti e rivoluzionari, una divisione che in Italia si
è trascinata più a lungo che altrove a seguito della sciagurata spaccatura tra
comunisti e socialisti. Ma anche quando alternative di sistema non sono più
pensabili, la divisione tra una componente più dura e antagonistica e una più
moderata e governativa è destinata a rimanere, e di fatto rimane in gran parte
dei Paesi europei. E questo è sicuramente uno dei motivi della «rissa»: qui è
in gioco l'appoggio che la sinistra deve (per alcuni) o non deve (per altri)
dare al governo Monti. Ma in Italia ad esso si aggiunge, e forse su di esso
prevale, un altro motivo, che deriva dalla storia di antipolitica cui ho prima
fatto cenno: il motivo giustizialista, quello che esprime l'avversione diffusa
per i politici e i potenti, il desiderio che essi siano puniti per le loro
malefatte. Questo è un motivo che poco ha a che fare con la divisione tra
destra e sinistra, il cui conflitto riguarda questioni economiche e sociali:
non c'è alcuna ragione per cui una persona di destra seria debba essere meno
esigente di una persona di sinistra seria sul fatto che le leggi vadano
applicate a tutti, ricchi e poveri, umili e potenti. I principi basilari dello
Stato di diritto dovrebbero essere comuni a entrambe.
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