martedì 18 dicembre 2012

QUELLI CHE " SE STANNO IN GALERA, UNA RAGIONE CI SARA''. VOGLIONO PURE STARCI COMODI ? "

IL PENSIERO DEI PIU' 

La questione carceraria è delicata in quanto impopolare. Per tanta gente, temo la maggioranza, vale la convinzione : peggio per loro, se lo meritano. La disumanità delle carceri è cosa che poco appassiona  , anzi. Poi certo, se la spieghi un po' più da vicino, qualcuno ci riflette un attimo di più e quindi un po' rimane impressionato nel leggere che oltre il 40% dei detenuti non sono stati giudicati colpevoli. Tali si è dopo una condanna definitiva. Solo allora, per la nostra Costituzione - che tanto piace quando a invocarla sono gli amici - le porte della prigione si possono aprire. NON prima. Certo, sono previsti dal codice casi eccezionali, le esigenze "cautelari". La previsione di questi casi è assolutamente legittima e opportuna. E' il loro ABUSO che non lo è.
Questo abuso, così come la reticenza ad usare sistemi alternativi alla sanzione carceraria, la mancanza di una riforma della giustizia che tutti dicono di volere ma che poi mai si riesce a fare (sembra il Porcellum...) , produce la condizione sub umana che solo Pannella e i radicali denunciano.
Sulla questione, riporto due interventi letti oggi e che , a mio avviso, toccano i punti più importanti della delicatissima questione. Il primo è di Mattia Feltri, viglio di Vittorio, l'altro è di Davide Giacalone
Buona Lettura


urlo disperato di Pannella per gli ultimi
MATTIA FELTRI
 
Pochi di noi sono scampati al sospetto che gli scioperi della fame e della sete di Marco Pannella servano al dimostrante per mettersi al centro delle sue stesse dimostrazioni. Ancora di meno sono scampati alla sensazione che le periodiche, reiterate e accavallate proteste siano soprattutto stucchevoli e lagnose, elencate quotidianamente con implacabile costanza dalla Radio radicale; che riguardino il leader o i suoi, in solitaria o a staffetta.

Sono sospetti e sensazioni che andrebbero messi alla prova - almeno oggi - delle disastrose condizioni di salute di Pannella, dopo sette giorni di astensione totale dal cibo e dall’acqua. Inoltre sono sospetti e sensazioni che avrebbero un senso se si parlasse di rimpiazzo dei giudici costituzionali o di riforma delle legge elettorale, ma non ne hanno alcuno poiché si parla cristianamente e laicamente dei diritti degli ultimi, i carcerati.

Anche in questo caso sembra prevalere nella discussione il «chi» o il «come» piuttosto che il «che cosa». Un erroraccio. Le questioni sono tali, e hanno una dignità o un rilievo indipendentemente da chi o come le sollevi. E se non fosse per Pannella, per il suo coraggio o cocciutaggine o persino vanità, chiamatela come volete, ci avvieremmo verso Natale a fauci spalancate, con la preoccupazione residua dello smaltimento del cotechino a fine feste. In quello stomaco così accogliente, invece e per fortuna, ci arriva il cazzotto di Pannella, a dieci anni esatti dalla visita di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano a domandare agli eletti un gesto di carità verso i detenuti. Dieci anni dopo siamo alle solite.

Il Libro Verde sull’applicazione della normativa Ue sulla giustizia penale elenca i dati vergognosi. La popolazione carceraria oggi è di circa settantamila detenuti; di questi, il 43/44 per cento sono in attesa di giudizio. Significa che oggi abbiamo in galera trentamila persone tecnicamente innocenti. Pare poco? La media europea è del 28 per cento. Quella tedesca - Paese con una certa tradizione di severità - è del 15 per cento. Ci si può divertire anche coi numeri sul sovraffollamento. In Italia, la densità penitenziaria in rapporto con la capacità ufficiale è del 153 per cento; traduzione: ogni due carcerati ce n’è uno di troppo. Peggio di noi, in Europa, c’è soltanto la Bulgaria col 155 per cento, mentre la media continentale è del 107 per cento e in Germania dell’89. Coltivare la pretesa costituzionale (a proposito della Costituzione più bella del mondo) della rieducazione del reo in celle dove ci si mette i piedi in testa, dove si dorme uno sopra l’altro, si va al bagno en plein air, è effettivamente un bella pretesa.

Alla disperata richiesta pannelliana dell’amnistia si replica ancora oggi che sarebbe meglio costruire nuove prigioni, sebbene non le si costruiscano da mai: quelle vecchie si inzeppano sempre più, fino al primo abborracciato provvedimento di clemenza e la storia va avanti da decenni, in condizioni che si definiscono disumane ormai in automatico, che si fa fatica a iscrivere alla voce che gli compete, la voce «tortura».

Il nostro Grande Capo radicale ci ha ricordato l’obbrobrio, ed è un risultato pagato caro ma raggiunto. Almeno qualcuno ne parla.
E sarebbe davvero ora - che bella speranza natalizia - di ragionare seriamente sui reati, se tutti debbano davvero comportare la detenzione in carcere, se qualcuno non sia espiabile ai domiciliari, su quali pene alternative vogliano introdurre, su quali depenalizzazioni siano percorribili. Un Paese che si pretende civile non ha il diritto di essere fuorilegge e tantomeno di eludere una questione soltanto perché è poco popolare. Che ci abbia obbligato a scriverlo, è un merito di Pannella scolpito nel marmo.



Morte e amnistia


Marco Pannella è tornato a gettare la vita, anzi, la propria morte, dentro al piatto vuoto delle chiacchiere politicanti. Conosce a menadito l’arte della politica e sa bene che comporta una dose massiccia di cinismo, cui non si sottrae. Sa, dunque, che la sua decisione può essere commentata sia come ricatto, come sceneggiata, che come ostinazione, prima o dopo, a incontrare la fine nel corso di una battaglia. Non solo l’ha messa nel conto, ma forse ci conta. Spero che non accada, ma non per altruismo, bensì per egoismo, giacché, in quel caso, resteremmo noi a morire di sete e di fame, non fisicamente e non per volontaria privazione, ma civilmente e per generale imposizione, che, oramai, la politica non ha più nulla di commestibile, né è più deglutibile.
Accanto al cinismo, che lo rende imperturbabile innanzi al pericolo più immediato, Pannella incarna un disperato candore. I suoi scioperi si sommano nel tempo, tanto che taluni fanno confusione su quale sia la causa del giorno, la battaglia per la quale s’incammina ancora verso l’ipotetico non ritorno, ed è questa la cosa che mi colpisce di più: in un’Italia che ha cancellato la malagiustizia dall’agenda politica, che l’ha soppressa anche nella cronaca, con un mondo politico oramai appecoronato al più bieco giustizialismo, diffuso come sifilide fascistoide per ogni dove, fra i legittimi eredi del fascismo come fra gli eredi della sinistra comunista, che fuori dai confini del comunismo realizzato fu garantista, accompagnata, quella politica, da un giornalismo che ha traslocato nelle pagine nobili le mentalità ignobili del rotocalchismo da parrucchiere, nel mentre il Parlamento si occupa di giustizia solo per varare un immondo riordino dell’ordinamento forense, che chiameremmo controriforma se solo qualcuno si fosse prodotto in una riforma, negli stessi giorni in cui il centro destra attacca il governo Monti (un attimo prima di offrire a Mario Monti la guida del centro destra medesimo) perché non rispetta i patti sulla giustizia, intendendosi per tali non una radicale riforma che restituisca diritto all’Italia, ma una leggiucola che cambi, in modo inutile e sbagliato, le regole delle intercettazioni telefoniche, quando i magistrati che imbastiscono inchieste farlocche vanno a sostenere l’accusa presso la cassazione televisiva, in un’Italia in cui tutti si sono scordati che senza giustizia non c’è mercato, ma solo mercimonio, Pannella che fa? prova a crepare per la sorte dei carcerati. Prova a far diventare pietra il proprio sangue e vetro il proprio piscio per denunciare il girone infernale delle carceri italiane, laddove la gran parte dei nostri concittadini sono pronti a rantolare sbavando che al Tizio o al Caio, nonché a tutta intera la classe dirigente, null’altro si può augurare se non la galera. Ovviamente senza processo e sulla base della sola accusa, perché questo è il grado d’inciviltà cui il popolo bue è stato condotto per mano, a cura di qualche vacca sacra, con o senza toga.
Chiedo alla sorte un privilegio: scrivo la sera di lunedì e conto che la mattina di martedì possa giungere a Marco Pannella il mio dissenso: sono contrario all’amnistia. O, meglio, sono favorevole. Sappiamo tutti benissimo che solo l’amnistia potrà evitare il crollo definitivo della giustizia italiana, e chi lo nega non è neanche un ipocrita, ma un falso nel midollo. Ma l’amnistia dobbiamo farla per salvare una seria riforma dallo stramazzare sotto al peso di decenni senza diritto, senza diritti e senza giustizia. Non dobbiamo farla per far sfiatare la pentola a pressione carceraria. Anche Pannella sa bene che se ci limitassimo a quello non faremmo altro che rinviare il problema, inevitabilmente destinato a ripresentarsi tale e quale. E, del resto, ciò è esattamente quanto scrissi quando un Parlamento di bugiardi sostenne di varare l’indulto per rendere omaggio alle parole di un pontefice. Previsione azzeccata. E non ci voleva niente.
L’amnistia è un provvedimento d’enorme ingiustizia, perché lascia senza giustizia i colpevoli come gli innocenti. E’ un prezzo altissimo, che può essere pagato solo innanzi a un valore più alto. Quindi dovremo pagarlo, per onorare il diritto e rimettere la giustizia in cammino. Non possiamo pagarlo lasciandola violentata e boccheggiante, preda delle bassezze corporative e in balia delle cordate corruttive. Chiedendo l’amnistia qui, ora e in queste condizioni Pannella sostiene quel che non condivido. Né mi fa cambiare opinione l’agitarsi della sua morte. E nel mentre lo scrivo, nel mentre spero che gli giunga il rispetto e l’ossequio di tale dissenso, penso alla disgraziata Italia in cui possiamo, anzi dobbiamo litigare fra noi, che della giustizia abbiamo un’idea la cui altezza la rende irraggiungibile dai tanti guitti che s’agitano per sé, con sé e per avere a sé.
Non gli chiedo di smettere, perché tanto ha già deciso (qualsiasi cosa abbia deciso) e neanche Giove gli farebbe cambiare idea. Testone egocentrico ed esasperante. Guarda a cosa s’è ridotta la politica italiana e non gettare una perla nella palta.



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