Leggendo questa notizia ho avuto un senso di malessere misto a malumore...La storia è brutta e va bene. La figlia malmenata dal fidanzato di cui è succube, ma volontaria, i genitori che, per contrastare questa relazione malata e pericolosa, finiscono per perdere ill rapporto con la ragazza e ovviamente ne soffrono.
Tutto comprensibile, compreso il rancore verso chi ha concausato tutto questo (e già perché NON può essere LUI l'unico responsabile...se la figlia è una seducibile e soggiogabile da un uomo violento...sicuramente è il più odioso, in qualità di carnefice).
Quello che stona è : che c'entra il Tribunale ?
Perché la cosa lì è finita. A me sta benissimo che in caso di violenze attribuibili ad una persona, il fatto che la vittima non denunci il suo persecutore non osti a che lo facciano terze persone o si proceda d'ufficio (era già così per le lesioni gravi, immagino che col nuovo decreto sul cd. femminicidio la cosa si sia inasprita ed estesa ad ogni tipo di lesione, però non lo so con certezza). E quindi va bene che siano i genitori a fare questa denuncia, se la figlia si astiene. Ma poi la costituzione di parte civile ? I danni morali per l'alterazione del rapporto familiare ?? Voglio sperare che non sia questa la motivazione, come invece si ipotizza nell'articolo ripreso dal Corriere della Sera . A meno che non ci sia un precedente e/o contestuale accertamento della manipolazione (quello che un tempo era il reato di "plagio") della volontà della ragazza, ormai adulta per la legge, le cui capacità di intendere e volere siano state seriamente compromesse.
Al di fuori di questa ipotesi, vi immaginate le denunce che potrebbero fioccare per un'ipotesi di "danno morale"del genere ?
Quante migliaia e migliaia di matrimoni ci sono in cui i figli si staccano completamente dalle famiglie d'origine perché "fagocitati" dal coniuge ??
E lì non ci sono rapporti compromessi ? Dolori ? Dice, ma non c'è nessun reato...Perché avete poca fantasia ! E se sostengo che a causa di questa diaspora mio figlio ( o mio padre, o mia madre...) hanno fatto venir meno l'assistenza dovuta per legge in caso di necessità ?
La sensazione è il "Panpenalismo", l'idea che si fa affermando che OGNI vicenda della vita umana, che ci comporta una qualche sofferenza, abbia una valenza giudiziaria, addirittura Penale, stia dilagando.
E i giudici, non archiviando questo tipo di querele e denunce, prestano il fianco a questa deriva.
Poi non si lamentino dei carichi di lavoro e della litigiosità degli italiani. Loro così la incoraggiano.
Certo, come sempre, le motivazioni potrebbero fornire spiegazioni rassicuranti, ma se la cosa è finita sul giornale è perché comunque ci si trova di fronte ad una vicenda insolita.
Il che conferma la sensazione di cui parlavo, in umile attesa di ragguagli dai colleghi della materia, che forse hanno già una loro, più valida, interpretazione.
Ecco comunque la notizia come postata sul Corriere.it
La figlia 19enne picchiata dal partner
Risarciti i genitori per «danni morali»
Il 28enne fidanzato manesco della figlia 19enne, che succube
continua a difenderlo e quindi non chiede alcun risarcimento, condannato
invece dal Tribunale a risarcire i genitori della ragazza: per cosa?
Per la sofferenza psicologica provata da papà e mamma
nel perdere la figlia dalla propria sfera affettiva sotto l’influenza
dominante del fidanzato: è il contenuto della sentenza con la quale il
Tribunale di Milano ha condannato il fidanzato per il reato di «atti
persecutori» a 3 anni e 4 mesi di reclusione e a un risarcimento di
10.000 euro per i danni morali ai genitori della vittima del reato, che
vittima però non si sente essere. A 19 anni la giovane viveva nella casa
dei genitori in armonia. È solo con il fidanzamento, sgradito a papà e
mamma, che i rapporti si deteriorano, specie quando i genitori si
accorgono che la loro figlia viene trattata male dall’uomo.
Provano con le buone, provano con le cattive (anche allontanando da casa la figlia), ma la ragazza insiste a negare di essere a volte anche picchiata, difende strenuamente il fidanzato, e interrompe qualunque pur minimo rapporto con i genitori. Naturalmente si rifiuta di denunciare il fidanzato per le percosse subìte, e così sono i genitori a fare la denuncia che innesca il procedimento giudiziario approdato ieri in Tribunale. Il pm Stefano Ammendola imputa all’uomo il reato di «maltrattamenti in famiglia» concretizzatisi in un trauma cranico facciale, in una frattura del pavimento orbitario, e in ossessivi controlli e telefonate a tutte le ore del giorno e della notte.
La gip Alfonsa Ferraro, ritenendo che il legame sentimentale tra i due (senza convivenza) non integri una famiglia neppure di fatto, derubrica il reato da quello di «maltrattamenti in famiglia» a quello di «atti persecutori» (stalking), che il senso comune collega a una vittima che si dichiari tale, ma che invece la giudice valuta possa calzare anche al caso in cui la vittima non si percepisca come parte lesa. L’uomo, che si trova agli arresti domiciliari, in rito abbreviato (e dunque con lo sconto di un terzo sulla pena) è condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione.
Non c’è risarcimento alla fidanzata picchiata, perché la giovane continua a negare di esserlo mai stata e non si costituisce parte civile contro il fidanzato. Ma nelle more del procedimento sono i suoi genitori a proporre con gli avvocati Patrizio Nicolò e Nora Lisa Passoni una domanda di costituzione di parte civile finalizzata a chiedere il risarcimento dei «danni da lesione del rapporto parentale». La categoria ricomprende i danni non patrimoniali prodotti dalla rescissione o menomazione dell’ordinaria dinamica affettiva che ciascuno instaura con i congiunti, tanto più se genitori, figli o fratelli; ed è una casistica ormai ampia, ad esempio nei casi di morte o di gravi lesioni fisiche riportate da una persona a causa di un fatto illecito commesso da altri (come in un incidente stradale o infortunio sul lavoro).
Qui però la situazione è differente. Ed è diversa anche da un caso nel quale pochi giorni fa la stessa giudice aveva già condannato il violentatore di una ragazza a risarcire con 20.000 euro di danni morali a due sorelle della vittima per il trauma patito al momento della condivisione del dramma della congiunta.
Nel caso di ieri, e in attesa delle motivazioni, pare infatti di capire che per la giudice le condotte violente, manipolatrici e vessatorie imputate al fidanzato manesco della 19enne abbiano inciso sulla vita di tutti i familiari della ragazza, causando ai genitori un danno morale consistente prima nel patema d’animo del dover assistere impotenti alla coartazione e all’annullamento della volontà della loro figlia, e poi quindi nell’impossibilità (a causa dell’interferenza della relazione malata con il fidanzato violento) di mantenere con la figlia, incapace di autodeterminarsi, rapporti affettivi ormai del tutto compromessi.
Provano con le buone, provano con le cattive (anche allontanando da casa la figlia), ma la ragazza insiste a negare di essere a volte anche picchiata, difende strenuamente il fidanzato, e interrompe qualunque pur minimo rapporto con i genitori. Naturalmente si rifiuta di denunciare il fidanzato per le percosse subìte, e così sono i genitori a fare la denuncia che innesca il procedimento giudiziario approdato ieri in Tribunale. Il pm Stefano Ammendola imputa all’uomo il reato di «maltrattamenti in famiglia» concretizzatisi in un trauma cranico facciale, in una frattura del pavimento orbitario, e in ossessivi controlli e telefonate a tutte le ore del giorno e della notte.
La gip Alfonsa Ferraro, ritenendo che il legame sentimentale tra i due (senza convivenza) non integri una famiglia neppure di fatto, derubrica il reato da quello di «maltrattamenti in famiglia» a quello di «atti persecutori» (stalking), che il senso comune collega a una vittima che si dichiari tale, ma che invece la giudice valuta possa calzare anche al caso in cui la vittima non si percepisca come parte lesa. L’uomo, che si trova agli arresti domiciliari, in rito abbreviato (e dunque con lo sconto di un terzo sulla pena) è condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione.
Non c’è risarcimento alla fidanzata picchiata, perché la giovane continua a negare di esserlo mai stata e non si costituisce parte civile contro il fidanzato. Ma nelle more del procedimento sono i suoi genitori a proporre con gli avvocati Patrizio Nicolò e Nora Lisa Passoni una domanda di costituzione di parte civile finalizzata a chiedere il risarcimento dei «danni da lesione del rapporto parentale». La categoria ricomprende i danni non patrimoniali prodotti dalla rescissione o menomazione dell’ordinaria dinamica affettiva che ciascuno instaura con i congiunti, tanto più se genitori, figli o fratelli; ed è una casistica ormai ampia, ad esempio nei casi di morte o di gravi lesioni fisiche riportate da una persona a causa di un fatto illecito commesso da altri (come in un incidente stradale o infortunio sul lavoro).
Qui però la situazione è differente. Ed è diversa anche da un caso nel quale pochi giorni fa la stessa giudice aveva già condannato il violentatore di una ragazza a risarcire con 20.000 euro di danni morali a due sorelle della vittima per il trauma patito al momento della condivisione del dramma della congiunta.
Nel caso di ieri, e in attesa delle motivazioni, pare infatti di capire che per la giudice le condotte violente, manipolatrici e vessatorie imputate al fidanzato manesco della 19enne abbiano inciso sulla vita di tutti i familiari della ragazza, causando ai genitori un danno morale consistente prima nel patema d’animo del dover assistere impotenti alla coartazione e all’annullamento della volontà della loro figlia, e poi quindi nell’impossibilità (a causa dell’interferenza della relazione malata con il fidanzato violento) di mantenere con la figlia, incapace di autodeterminarsi, rapporti affettivi ormai del tutto compromessi.
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