Non vorrei che le amiche lettrici - ne ho, e di preziose - pensino, leggendo il post odierno https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/09/emergenza-stupri-veramente.html che io sottovaluti la gravità di un reato odioso come lo stupro.
In realtà, fin da ragazzo, al liceo, rimasi colpito come le compagne di classe, tutte debitamente progressiste di sinistra, e quindi normalmente portate ad avere in uggia la polizia, le forze dell'ordine viste come "serve" della repressione di Stato (stiamo parlando degli anni 70, per gli smemorati od assenti, e lo slogan "Legge ed Ordine", era rigorosamente di destra),si irrigidivano in modo assoluto e determinato di fronte all'ipotesi della violenza sessuale, lo stupro.
Lì non c'erano garanzie, attenuanti, processi di sorta e la pena più evocata era la castrazione, e non quella chimica evocata da Salvini.
Dubito quindi che i 5 anni, che possono arrivare a 10, che pure l'avvocato Grosso ricorda come pene severe già esistenti contro questo tipo di reati (salvo aggravanti nel caso di minori) soddisfino la comprensibile richiesta di vendetta (la giustizia è cosa diversa, e non a caso il diritto viene definito pregevolmente "la vendetta che rinuncia") di chi subisce un simile danno.
Comprendendo tutto questo, continuo a pensare che il problema di base resti culturale, e questo concetto lo trovo ribadito nel racconto che pure riporto di seguito, sempre tratto da La Stampa, e che magari i colpevoli di simili reati veramente poi scontassero gli anni di prigione previsti.
Un pensiero, dolce e affettuoso, nel chiudere questo post va ad una preziosissima amica che anni fa, purtroppo, subì questa cosa.
Ne fu devastata, e per tanto tempo pensò di togliersi la vita.
Come tante, portava insopportabile il senso di colpa per quello che le era accaduto, e la vergogna e la paura le impedirono di denunciare chi le aveva usato violenza.
Oggi, ma sono passati ANNI, ha ritrovato un po' di serenità, credo si sia finalmente perdonata.
Non è bastato solo il tempo, ci sono voluti l'ascolto e l'aiuto di persone specializzate.
Quelle normali, cara Laura Sabbadini, temo non bastino, ammesso che siano capaci di un abbraccio e di un ascolto sincero.
Un bacio grande C.
“Io, stuprata dal mio fidanzato non riesco più a
innamorarmi”
Il dramma di Marianna: “Avevo 22 anni, mi fidavo di quel
ragazzo. Ho ricominciato a vivere quando ne ho parlato con le mie amiche”
LINDA LAURA SABBADINI
ROMA
È difficile per una donna parlare di violenze subite,
soprattutto se stupri. Marianna mi ha chiesto di farlo, vuole parlarne perchè
la sua esperienza possa aiutare altre donne. Marianna ha subito uno stupro dal
suo fidanzato. Aveva 22 anni, era felice, solare come tante ragazze della sua
età. Studiava all’Università, amava molto l’architettura.
Conosce un ragazzo, si fida di lui, comincia una storia
d’amore, almeno così lei credeva. All’inizio tutto sembra andare per il meglio,
ma con il passar del tempo la situazione peggiora. «Non voleva che mi vestissi
con le gonne corte. Poi mi vietava di frequentare alcuni amici». Tu sei mia
diceva. La storia degenera un giorno, quando Marianna si rifiuta di avere un
rapporto sessuale, e con sua terribile sorpresa viene stuprata dal suo
fidanzato. Una esperienza dolorosissima. «Non sono riuscita a reagire in quel
momento. E non potete capire quanta rabbia ho ancora dentro per questo. Ero
senza forze, senza energie. E dopo non volevo parlarne con nessuno». Qualche
giorno dopo succede di nuovo. E allora, completamente svuotata, distrutta,
riesce a trovare la forza di scappare dai suoi fratelli.
La fuga
«Ma non me la sentivo di denunciarlo, troppo doloroso
raccontare, troppo pesante spiegare tutto,dimostrare che non ero consenziente».
Chiede ai fratelli di tenere lontano il fidanzato, «Lo lascio per telefono, lui
urla, strepita, piange, si dispera, ma io non accetto l’ultimo appuntamento e
dopo pochi giorni me ne vado distrutta in un’altra città, ospite di una mia
lontana parente, per evitare di incontrarlo. Ma non ero più la stessa». Violata
nel profondo,violata nell’anima, nel cuore, violata nella più profonda
intimità. Si sentiva annullata. «L’ansia mi assaliva continuamente, pianti
disperati, incubi la notte, l’insonnia, la nausea permanente, la rabbia dentro
di me, i tremori , avevo paura di tutto e poi, non mi fidavo più di nessuno.
Sembra non ti interessi più nulla della vita... Tu sei il nulla». Lei, con un
carattere sempre aperto al mondo, si rinchiude in se stessa, diventa timorosa,
fragile. Non si apre con nessuno, chiusa nel suo guscio. «Volevo dimenticare.
All’inizio pensavo che fosse la cosa migliore, ma più stavo in silenzio, più
stavo male, il silenzio mi isolava dagli altri. Ho incontrato anche ragazzi
carini, gentili, ma non riuscivo più a fidarmi di loro. E ancora non riesco a
innamorarmi. Ho paura». A un certo punto decide di tornare nella sua città, si
sentiva troppo sola, e di raccontare tutto alle sue amiche con cui non aveva
più avuto contatti.
La rinascita
«E’ stato l’inizio della mia rinascita. Trovare loro così
vicine, così comprensive, così piene di complicità e di umanità, è stata la
cosa più bella della mia vita. Mi ha dato tanta forza per ricominciare. Loro mi
hanno convinto ad andare da una psicologa, con loro ho cominciato a rivivere
momenti spensierati, anche se lo stupro ti lascia un segno indelebile di morte
nel cuore». La vicinanza di altre donne è fondamentale dopo uno stupro. Ridà la
forza di vivere quando tutto sembra finito, Per questo i Centri antiviolenza
tengono molto a questo aspetto. Marianna non ha denunciato il suo ex fidanzato.
«Non ce l’ho fatta, mi sono risparmiata il doloroso iter delle denunce, delle
pressioni che una donna subisce anche dalla famiglia per ritirarle, dei
processi. Lo so, così il mio fidanzato non è stato né denunciato, né
condannato. Ma non potevo soffrire ulteriormente». E mi racconta di Adele, che
lei ha conosciuto dalla psicologa ed è diventata sua amica: «Quando si è recata
al commissariato del suo paese per denunciare gli stupri ripetuti di suo marito
non è stato facile per lei. La sua famiglia la pressava per non denunciare, per
rimettersi insieme a lui. L’appuntato le chiedeva se era proprio sicura di
quello che diceva, che in fondo era il marito. Adele si sentiva sola contro
tutti. E il processo… i dettagli, le domande indiscrete, gli ammiccamenti… le
pressioni a ritirare la denuncia... un vero incubo. Ecco perché io non ho
denunciato. Perché si riaprono continuamente le tue gravi ferite. Nessuno può
capire realmente quanto tu possa soffrire».
Parlare, parlarne, in continuazione, fra donne, con gli
uomini, tanto con i figli e con le figlie, senza paure, senza vergogna, parlare
anche se non e’ toccato a te, né alla tua famiglia, ma ad una che non conosci.
Tessere una rete di solidarietà femminile, di valori condivisi, di stigmatizzazione
sociale inappellabile, di ogni per quanto piccolo atto di sopraffazione del
bimbo sulla bimba, del ragazzo sulla ragazza, dell’uomo sulla donna. Dai
piccoli atti di prevaricazione, di non rispetto dell’altra, quelli su cui in
genere si soprassiede germina e si ramifica la subcultura della pretesa
superiorità maschile, e della donna come sua proprietà, quella che porta molti
ad oltrepassare la soglia della violenza, e alcuni dello stupro. Su questo
terreno siamo indietro uomini e donne, ed è ora che a partire dalle donne il
nostro sguardo esprima con chiarezza la nostra collera. Marianna e le donne
colpite ce lo chiedono.
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